Presidente della Commissione europea, Alto Rappresentante e Commissario responsabile per il mercato interno e l’industria. Le Istituzioni dell’Unione europea sembrano non avere dubbi circa l’importanza della costituzione di un esercito europeo. Ma, nelle parole di Junker, l’obiettivo di dotare l’Unione di una capacità di difesa comune rimane un obiettivo “di lungo termine”.
Un termine lunghissimo, se si considera che di difesa militare europea si parla fin dal trattato di Bruxelles del 1948, atto fondante della Ueo, l’Unione europea occidentale, un’organizzazione regionale di sicurezza militare e cooperazione politica. L’organizzazione però non venne mai implementata , rimanendo dormiente per decenni e assistendo alla nascita e al rapidissimo declino di un altro tentativo di armare l’Europa, ossia la Ced.
La Comunità europea di Difesa nacque in una situazione storico-politica complessa: gli anni sono quelli della guerra di Corea e il timore è quello dell’invasione dell’Europa da parte dell’Urss. La Francia, da sempre avversa all'”ombrello americano”, spinse i leader europei affinché si creasse un esercito europeo. Si pose subito una spinosa questione: il riarmo della Germania, che in regola ai trattati di pace della Seconda guerra mondiale non poteva avere un esercito. La Francia, se si mostrò di certo ostile verso gli Stati Uniti, soprattutto in seguito alla disfatta in Indocina proprio di quegli anni, era acerrima nemica storica della Germania. De Gaulle preferì dunque abbandonare il progetto piuttosto che concedere a Berlino fucili e cannoni.
Un elemento che sicuramente ha ostacolato i progetti di creazione di un esercito europeo è la presenza della Nato. La stragrande maggioranza dei Paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica erano membri della Cee e sono membri dell’Ue. La Nato, sostenuta dagli Stati Uniti, ha sempre dato garanzie di protezione all’Europa: in fin dei conti, c’era davvero una ragione valida per formare un’altra organizzazione di difesa?
Ma gli scenari politici cambiano. Siamo nel 1984 quando l’Ueo venne “riattivata“. E i compiti che gli vennero attribuiti furono diversi da quelli pensati all’origine: scopo dell’Ueo diventano le cosidette “missioni Petersberg“, ossia le operazioni di peace keeping, peace building e le missioni umanitarie. Il giudizio sulla validità di questo tipo di interventi, in particolare su quelli svolti durante gli anni ’90, è quanto meno controverso. Almeno per quanto riguarda i tempi di azione, i numerosi tentennamenti previsti all’invio delle forze europee e la qualità e quantità di mezzi impiegati.
Ad ogni modo, l’Unione europea occidentale nel 2001 venne inglobata dal Trattato di Nizza all’interno delle competenze dell’Ue, ad integrazione di quello che avrebbe dovuto essere un rafforzamento della politica estera europea attraverso l’implementazione di Pesc e Pesd. Ma il problema rimane: nonostante tanti siano i nuovi mezzi militari pensati dai trattati (dai Rabbit ai Battle groups, ossia team di soldati scelti da far intervenire tempestivamente per missioni ad hoc) poco è passato dalla carta alla realtà.
Il problema potrebbe essere la debolezza della politica estera europea, da sempre dibattuto. O la onnipresente mancanza di fondi. O la presenza ingombrante della Nato. Quale che sia il motivo, l’esercito europeo sembra non trovare abbastanza spinta e supporto per una sua effettiva costituzione.
Questi rallentamenti potrebbero tuttavia essere positivi, perché potrebbero portare ad una soluzione più ponderata, basti pensare ai problemi che la costituzione di un esercito sovranazionale finirebbe per creare: potranno mai gli Stati europei, da sempre gelosi della propria sovranità, riuscire a gestirlo? Sarebbe davvero un esercito paneuropeo, o si trasformerebbe ben presto in un esercito “a due velocità” con ufficiali tedeschi e truppe greche e polacche? Quali tipi di missione potrebbe compiere? Ma soprattutto: siamo proprio sicuri che serva?
Gli interrogativi sono molti, e di difficile risposta. Sostenere la creazione di un esercito europeo solo per attenuare l’influenza della Nato, come certa parte del dibattito sostiene, potrebbe essere un rischio e rivelarsi controproducente. Lasciare che, in caso di necessità, intervengano gli eserciti nazionali, eventualmente operando in straordinario comando congiunto, potrebbe coglierci impreparati. Fra terrorismo, crisi, Isis e immigrazione, la risposta a tutte queste domande forse meriterebbe di essere “di breve termine”.
Ilenia Maria Calafiore
Foto © European Community, 2015