Il successo è relativamente recente, ma in pochi decenni il pubblico è stato ampiamente fidelizzato. L’Europa predilige la firma Gucci, seguita da Prada, Versace e Armani
Insieme al cibo, l’eccellenza italiana più famosa e apprezzata nel mondo è senza dubbio legata a doppio filo all’Alta moda. Anche se sulla cresta dell’onda da decenni, molti marchi si sono adeguati alle nuove tendenze e tecnologie. Su Instagram, il social network più visuale e quindi più facilmente adattabile alle esigenze fashion, l’Italia è rappresentata da ben quattro brand nella top ten per numero di follower: Dolce&Gabbana è al quarto posto, Gucci quinto, Prada settimo e Valentino nono. Subito a ridosso ci sono Versace e Armani, in dodicesima e tredicesima posizione. Se invece si prendono in considerazione gli hashtag, cioè le citazioni, Prada è seconda solo a Chanel, Gucci è al quarto posto davanti a Hermès. Valentino, stabile, è nono.
Ma quali sono i luxury brand italiani in ambito moda e fashion più ricercati in Europa? Dalle indagini svolte da Manzetti, multi-brand store online, emerge che i cittadini europei sono più attratti da Gucci, il marchio di moda italiano più ricercato tra i 15 Paesi coinvolti. La ricerca è stata fatta negli ultimi 12 mesi ed è stato utilizzato lo strumento di Google AdWords “Keyword Planner”. Nella classifica, subito dopo Gucci seguono Prada, Armani e Versace. Anche se in ogni Paese del Vecchio Continente ci sono delle boutique dei grandi marchi dell’Alta moda, è inutile dire che gli europei preferiscono il viaggio in Italia per fare gli acquisti direttamente nella Penisola.
Già durante il fascismo fu istituito, era il 1935, l’Ente nazionale moda, ma gli sbocchi che il mercato dell’epoca consentiva non permisero ancora un grande sviluppo del settore, tantomeno la fama internazionale. Prima data cardine nella svolta fu il First Italian High Fashion Show del febbraio 1951, organizzato a Firenze dal conte Giovan Battista Giorgini. I media non pubblicizzarono troppo l’evento, ma l’Italia iniziò a farsi conoscere all’estero. Del resto il settore tessile è sempre stato, storicamente, un punto di forza dell’industria manifatturiera italiana.
Impulso fondamentale arrivò dalla fioritura del cinema di Hollywood, dalla “bella vita” e dalle “vacanze romane” (o italiane) che le star e i paparazzi al seguito si concedevano. Roma, Milano, Torino e Firenze iniziarono una rivalità per il sopravvento dell’una sull’altra, fino a che si specializzarono rispettivamente in Alta moda, abiti di confezione (Milano e Torino) e moda-boutique, la prima a penetrare realmente nel mercato statunitense. Per battere la concorrenza francese l’Italia doveva valorizzare l’artigianato di qualità, le piccole botteghe che riuscivano a produrre a basso costo. Situazione che colpiva particolarmente l’immaginario d’Oltreoceano. Fu solo con la crescente domanda che la moda-boutique divenne anche Alta moda.
Il boom economico degli anni ’50-’60 ebbe le sue ripercussioni anche nella moda. Più soldi da investire, più attenzione allo stile, esplosione di nuove tendenze. Le sartorie dovevano adeguarsi ai tempi. Una mano la diede, eccome, l’editoria. Ed è qui che Milano si impose come capitale della moda. La grande editoria aveva principalmente sede nel capoluogo lombardo, di conseguenza le pubblicazioni di riviste di settore avvenivano lì. Figura centrale era poi quella del fotografo specializzato, come Oliviero Toscani e Aldo Fallai, che formatisi con Vogue Italia avrebbero poi fatto la fortuna di campagne pubblicitarie rispettivamente per Benetton e Armani.
Giornalismo, moda, imprenditoria, saloni che ospitavano manifestazioni, l’emergere delle tv private portarono a quel periodo controverso della cosiddetta “Milano da bere”, ricca di soldi e glamour, criticata da molti, agognata da altri. Era esploso il made in Italy, industria culturale fra la manifatturiera e l’intellettuale, supportato da nuove tecniche di comunicazione e marketing, rivolta soprattutto ad un’altra industria, quella cinematografica degli Stati Uniti. Le sfilate si sono spettacolarizzate, le modelle diventavano “top”, famose nel mondo, quasi più delle attrici stesse. E tutto ebbe i crismi dell’ufficialità quando l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga ricevette una delegazione dei maggiori stilisti italiani, Armani, Versace, Ferrè, Valentino, Fendi, Krizia e Ferragamo, per conferire loro onorificenze.
Nonostante la crisi socio-politica dei primi anni ’90, lo sfaldamento della “Milano da bere”, i grandi marchi italiani hanno conservato anche nell’immaginario e nella percezione dei consumatori un’alta reputazione. La fidelizzazione del cliente passa anche dal racconto, dallo storytelling che pone il prodotto non come una semplice operazione commerciale ma svelando le emozioni che sono alle sue spalle. Il Reputation Institute ha stilato una classifica sul gradimento dei brand di tutti i settori. Tra i primi 100 ci sono Armani e Benetton, rispettivamente al 21° e 86° posto. Ovviamente gli altri in classifica, sono beni alimentari!
Raisa Ambros
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