Julien Gracq, scrittore immenso e solitario

0
1116

Torna in Italia “La riva delle Sirti”, capolavoro dimenticato che fruttò al suo autore il premio Goncourt, rifiutato in quanto espressione di un mondo nel quale non si riconosceva

«Una certa naturale inclinazione alla fantasticheria» abita l’animo di Aldo, giovane rampollo di una famiglia aristocratica di Orsenna volutamente esiliatosi in una terra di frontiera, nella misteriosa provincia delle Sirti. Una breccia si apre nel suo animo come una parete crollata sotto la spinta di un sogno, rivelando territori sconosciuti. Il protagonista della Riva delle Sirti di Julien Gracq sceglie di affrontare una «incognita lontananza» pur di sfuggire il tedio di un’esistenza del tutto futile, percorsa da piaceri che presto rivelano una precoce decrepitezza. Un senso di decadimento infesta la Signoria di Orsenna, sorta di Venezia il cui splendore è ormai definitivamente alle spalle, mentre il futuro appare già piagato dai bacilli della morte.

All’uscita del romanzo, nel 1951, molti stigmatizzarono la condotta della trama, per alcuni versi affine a quella del Deserto dei Tartari. Fu lo stesso Buzzati a trarre d’impaccio Gracq il quale, con la sua proverbiale riservatezza, non avrebbe certo perso tempo a confutare i suoi detrattori. Paradigmatica in tal senso la vicenda del premio Goncourt. Gracq aveva già espresso con chiarezza la propria idiosincrasia nei confronti dei concorsi letterari e dell’ambiente a loro collegato. Nella Letteratura senza vergogna aveva demolito il panorama editoriale del suo Paese, definito corrotto e afflitto dalla bulimica e affannosa ricerca di cosiddetti grandi scrittori. Un atteggiamento che ci ricorda un altro corrosivo libercolo dedicato all’argomento da Thomas Bernhard, scrittore ugualmente caustico e intransigente. Gracq dunque, una volta investito di tale somma onoreficenza, da uomo di rara coerenza, non poté far altro che rifiutarla, con grande scandalo dei benpensanti.

Tornando alla vicenda Buzzati, certamente il dualismo fra noi e gli altri regge entrambi i testi. La paura del diverso, l’attesa di un qualcosa che non si manifesta, in questo caso l’atavica ostilità fra la Signoria di Orsenna e la contrada del Farghestan, rappresenta la condizione naturale dell’uomo moderno (e ci asteniamo dal chiamare in causa Samuel Beckett per non complicare ulteriormente la questione). Quello che individua la peculiarità della Riva delle Sirti è lo stile, la specificità di una prosa pervasa costantemente da una qualità onirica (che si mantiene sempre a livelli altissimi), l’atmosfera irripetibile che permea il romanzo.

Sfogliando le pagine del volume, meritoriamente sottratto all’oblio nel quale era caduto dalla casa editrice L’Orma, sembra di sentire quello scricchiolio di ossa costantemente evocato. Anche la metafora della malattia compare con costante evidenza: «… sentivo sorgere in me quella leggera e progressiva atonia del senso dell’orientamento e della distanza, che ci immobilizza, prima d’ogni altro indizio, come lo stordimento precursore di una malattia»La patologia è l’humus nel quale maturano le ossessioni dell’uomo contemporaneo, come testimonia ad esempio quel grande poema dell’isolamento e della malattia che è La montagna incantata di Thomas Mann.

Altrettanto frequenti le immagini di sogno, retaggio del Surrealismo francese (al quale peraltro non aderisce ufficialmente avendo in spregio qualsiasi stringente disciplina). I personaggi stessi non appaiono reali, ma simboli di una dimensione altra che viene occultata dall’apparente naturalità delle cose. Vanessa ad esempio non è una donna in carne e ossa, ma un miraggio che pare scaturito dalla fantasia morbosa di Edgar Allan Poe, o semplicemente dall’animo incline alle fantasticherie del protagonista. Non a caso il loro incontro amoroso avviene su un’isola che potrebbe essere stata delineata dal pennello magico di Böcklin«Passammo certo lunghe ore in quel pozzo di oblio e di sonno; … sotto quella luce artificiale di cripta in cui l’ombra venire a diluirsi come in un’acqua profonda»Sonno e veglia, notte e giorno si alternano in atmosfere debitrici nei confronti del Tristan wagneriano. Un velo di decadentismo si distende sulla narrazione come una nebbia, rendendo tutto incerto e confuso. Riflessi lunari e bagliori acquatici completano il quadro, colmando i sensi di un sentimento di incipiente irrealtà.

Il progressivo rilassamento dei costumi, testimone di una temuta imminente catastrofe, simboleggia «un cedimento profondo dell’uomo». « … ad ogni istante può comparire nella storia un condensatore per mezzo del quale milioni di desideri sparsi e inconfessati si concretano mostruosamente in volontà» La morte del capitano Marino, ultimo baluardo contro l’irrompere di forze irrazionali, appare come il cedimento improvviso di una diga. Il romanzo ci lascia sul limitare del disastro, nella sospensione assoluta del tempo. L’atto imprudente commesso da Aldo, spintosi con il suo naviglio fino in faccia alle rive del Farghestan, ha messo in moto forze più grandi di lui.

«Ed era il rischio che attirava. … Forse ci sono momenti in cui si corre all’avvenire come ad un incendio, in disordine, senza calcolare niente: momenti in cui esso intossica come una droga, cui non resiste più un corpo debilitato». Pochi hanno saputo descrivere con tale poetica efficacia il precipitare inevitabile degli eventi, come l’improvviso scuotersi di una montagna prima della valanga che travolgerà tutto. Gracq condensa qui la tragedia di un secolo devastato da ben due conflitti mondiali, al cui deflagrare molti si rifiutavano di credere. Forse il solo Stefan Zweig ha saputo rendere, in maniera tanto chiara quanto diversa, il delinearsi delle crepe che preludono al collasso del mondo. In Gracq predomina comunque il senso dell’irreale e del fantastico, quel fluttuare di sagome che appare come un gioco di ombre cinesi. Il romanzo è un palcoscenico, uno scenario destinato a riempirsi di eventi che volutamente non vengono narrati. L’arte dell’elusione raggiunge qui il suo apice. L’errare del sonnambulo si interrompe sull’orlo del precipizio. Il lettore si ritrova in bilico, come un temerario acrobata, mentre un abisso insondabile e periglioso si stende sotto di lui.

Riccardo Cenci

***

Julien Gracq

La riva delle Sirti

L’orma editore

Traduzione di Mario Bonfantini

pg. 333 euro 21,00

Articolo precedenteBulgaria alla presidenza del semestre, «l’Unione fa la forza»
Articolo successivoErdogan puntava a distensione con l’Ue, ma sono scintille con Macron
Riccardo Cenci
Riccardo Cenci. Laureato in Lingue e letterature straniere moderne ed in Lettere presso l’Università La Sapienza. Giornalista pubblicista, ha iniziato come critico nel campo della musica classica, per estendere in seguito la propria attività all’intero ambito culturale. Ha collaborato con numerosi quotidiani, periodici, radio e siti web. All’intensa attività giornalistica ha affiancato quella di docente e di scrittore. Ha pubblicato vari libri (raccolte di racconti e romanzi). Attualmente lavora come Dirigente presso l’Enpam.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui