Le troppe contraddizioni della politica estera italiana

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La linea dura tenuta contro Mosca si scontra con una certa tolleranza verso altri regimi dell’area ex sovietica

Dalla sua breve tappa in Turkmenistan della scorsa settimana, Matteo Renzi è tornato a casa con tutta una serie di accordi bilaterali che non potranno non giovare al nostro export. Renzi è a Palazzo Chigi da meno di un anno, eppure ha già messo nel carniere un rafforzamento dei rapporti economici con alcuni Stati nati dalla dissoluzione dell’Urss: il Kazakhstan, l’Azerbaijan e ora il Turkmenistan hanno in corso con l’Italia importanti trattati commerciali in diversi settori, il che vuol dire possibilità di lavoro e di occupazione per le nostre aziende che hanno rapporti economici in quelle aree. Una boccata d’ossigeno per quel made in Italy assai gradito nello spazio ex sovietico, che sta patendo non poco il contraccolpo della guerra commerciale tra l’Ue e la Russia.

Pur consapevole del rischio (poi concretizzatosi) di ritorsioni russe contro il prodotto italiano, l’esecutivo non ha battuto ciglio quando l’Europa gli ha chiesto di approvare sanzioni contro l’autocrate Putin per l’annessione della Crimea e per l’ingerenza di Mosca nel conflitto ucraino. E pazienza se il Sistema-Italia ci rimette qualche miliardo di euro in mancate esportazioni: la libertà e i diritti sono valori universali che non possono essere ridotti a mero mercimonio. Proprio per questo motivo, sarebbe da lodare il coraggio politico di Matteo Renzi, se non fosse per un piccolo particolare: non sempre il governo italiano utilizza questo approccio nei confronti di alcuni discutibili leader politici dell’area ex Urss, che sono forse liberisti in economia ma per nulla liberali in politica.

Partiamo proprio dall’ultimo, che pochi giorni fa con il nostro premier ha siglato vari accordi in campo energetico: il presidente turkmeno Gurbanguly Berdyhuammedov, signore e padrone del Turkmenistan, piccola repubblica affacciata su quel colossale giacimento di idrocarburi che è il Mar Caspio. Oggetto di un massiccio culto della personalità, nominato Presidente “a vita” dopo la morte del “padre della patria” Nyazov, dal 2007 governa un Paese dove di fatto vige il monopartitismo.

Dirimpettaio del Turkmenistan è l’Azerbaigian, con il quale i rapporti economici hanno assunto un carattere strategico da quando l’Italia ha firmato il trattato per la costruzione del Trans Adriatic Pipeline (TAP), il  segmento finale del colossale gasdotto Corridoio Southern Gas, che a partire dal 2020 trasporterà il gas azero in Europa fino al terminal di San Foca, vicino Lecce, da dove verrà poi smistato in altre nazioni dell’Europa Occidentale tramite Snam-Retegas. L’irrigidimento dei rapporti tra l’Ue e la Russia sullo sfondo della crisi ucraina ha imposto un’attenta revisione del nostro rapporto con le fornitura energetica russa, alla quale il gas azero può essere una valida alternativa: peccato che così facendo si finisca per rafforzare il presidente azero Ilham Aliyev, “rampollo” della famiglia che dall’epoca sovietica è al potere a Baku, che ha ereditato nel 2003 il potere dal padre Heydar, ex burocrate del Pcus e poi fautore dell’indipendenza azera. In questi undici anni Human Rights Watch e altre organizzazioni per i diritti civili hanno denunciato numerose violazioni dei diritti umani in Azerbaigian: dalle elezioni di facciata alla stretta sulle manifestazioni di piazza, dalla repressione nei confronti dell’opposizione alla persecuzione della stampa indipendente.

«L’Italia è il nostro più grande partner commerciale e d’investimento: rappresenta il 13 per cento del fatturato totale del commercio estero del Kazakhstan e il volume totale degli investimenti italiani nella nostra economia è di 6,5 miliardi di dollari. Inoltre, l’Italia è il più grande consumatore di petrolio kazako»: con queste parole il presidente Nursultan Nazarbayev accoglieva lo scorso giugno Matteo Renzi in visita nella capitale Astana, la prima di un premier italiano dopo il pasticcio diplomatico del caso-Shalabayeva, in cui si era ficcato il governo Letta.
Il Kazakhstan è ormai il cuore finanziario dell’Asia Centrale, grazie anche ad un clima economico molto favorevole al business e all’imprenditorialità, che indiscutibilmente ha avuto ripercussioni positive anche sulla qualità della vita, decisamente migliore rispetto alle altre nazioni dell’Asia ex sovietica. Questo progresso economico non ha però riguardato la politica: da questo punto di vista, il Paese è rimasto al 1991, anno dell’indipendenza dall’Urss. Da allora Nazarbayev è oggetto di un vero e proprio “culto della personalità“: ininterrottamente al potere dall’epoca sovietica, alle ultime elezioni presidenziali del 2011 è stato rieletto con circa il 96 per cento dei voti, incluso quello di un candidato avversario, che lo riteneva molto più adatto di lui per guidare il Paese.

Ad inizio novembre il quotidiano russo Kommersant ha rivelato di un incontro segreto a Mosca tra una quindicina di top manager tedeschi, inclusi i rappresentanti di colossi come Siemens e Wintershall, con il vicepremier russo Shuvalov e il ministro degli Esteri Lavrov. Oggetto dell’incontro – riferisce il quotidiano – il rilancio delle relazioni commerciali russo-tedesche, seriamente compromesse dal braccio di ferro Ue-Russia. In poche parole, la Germania sta cercando qualche scappatoia per aggirare le sanzioni che ad agosto scorso le sono costate il -26,7% delle esportazioni verso il mercato russo.

L’Italia, che pure in Russia di interessi economici ne ha tanti, sta rinunciando a  questi ultimi per la tutela di nobili valori universali. Che poi va ad ardere sull’altare del profitto in Turkmenistan, Azerbaigian e Kazakhstan.

Alessandro Ronga

Foto © European Community, 2014

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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