La libera circolazione dei lavoratori nell’Unione europea

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Quadro normativo

La libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Ue costituisce, insieme alla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, uno dei principi fondamentali dell’Unione europea. Il diritto di stabilirsi, senza particolari formalità amministrative, in uno Stato membro per esercitare un’attività economica o lavorativa è l’espressione concreta dell’esistenza di cittadinanza europea. Rende possibile l’obiettivo di un mercato unico senza ostacoli tale da soddisfare, da una parte, le necessità economiche degli Stati membri, dall’altra, garantire al lavoratore la possibilità di migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro.

Le prime disposizioni in materia sono state dettate dal Trattato Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio, firmato a Parigi nel 1951, per l’eliminazione delle restrizioni fondate sulla cittadinanza all’occupazione nei settori del carbone e dell’acciaio e dal Trattato istitutivo della Comunità economica, firmato a Roma nel 1957, per la realizzazione del mercato comune.

Kuzma_petrov-vodkin,_lavoratori,_1926Con il regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, la libertà di circolazione è stata estesa a tutti i lavoratori permanenti, stagionali e frontalieri e a quelli interessati all’esercizio di una loro attività in occasione di una prestazione di servizi. Ad essi è stato garantito uguale trattamento agli altri lavoratori comunitari nell’ambito dell’Unione europea riguardo l’accettazione ed esecuzione del lavoro subordinato; la negoziazione e conclusione di contratti di lavoro; l’accesso al mercato del lavoro; l’accesso ai servizi prestati degli uffici di collocamento e le condizioni per la presa in servizio e assunzioni. L’atto comunitario ha inoltre introdotto il fondamentale principio di non discriminazione fra i lavoratori degli Stati membri in ragione della nazionalità, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, le agevolazioni sociali e fiscali, il diritto alla formazione, rieducazione e riadattamento eccetera, fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

L’accordo e la convenzione di Schengen, firmati rispettivamente il 14 giugno 1985 e il 19 giugno 1990, hanno definito le condizioni di applicazione e le garanzie inerenti all’attuazione della libera circolazione con la realizzazione di uno spazio senza frontiere, l’abbattimento dei controlli tra gli Stati membri e l’aumento di quelli alle frontiere esterne.

1889_Rolletscheck_Die_Vertriebenen_anagoriaNel 2004, la direttiva numero 2004/38/CE, ha raccolto in un unico testo il complesso corpus legislativo esistente nel settore del diritto d’ingresso e di soggiorno dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri, facilitando l’esercizio di tali diritti sia per i cittadini che per le amministrazioni nazionali, con il riconoscimento di maggiori tutele e garanzie anche dal punto di vista socio sanitario.

Il Regolamento (UE) n. 492 del 5 aprile 2011, che in ben 42 articoli tocca tutti gli aspetti delle attività necessarie per garantire il diritto alla circolazione dei lavoratori, ha operato il riordino di una materia che, dalla sua prima disciplina, ha subito diverse modifiche, dovendosi coordinare con altri provvedimenti successivi che hanno sancito una più generale libertà di circolazione e soggiorno per i cittadini dell’Unione.

Diritto di soggiorno.

Per i soggiorni inferiori a tre mesi, ai cittadini dell’Unione, è sufficiente il possesso di un documento d’identità o di un passaporto valido senza ulteriori condizioni o formalità.

Central_European_Migrant_Workers_(Strawberry_Pickers)_at_Leisure_-_Moguer_-_Andalucia_-_SpainDopo i primi tre mesi, ai cittadini dell’Unione, potrebbe essere richiesta dallo Stato membro un’iscrizione presso la competente autorità. La normativa comunitaria prevede, tuttavia, che per potersi stabilire in un altro Stato membro i cittadini dell’Unione esercitino un’attività economica o, in caso di persone non attive, dispongano di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi tali da non diventare un onere per il Paese ospitante.

Il diritto alla libera circolazione si estende anche al familiare extracomunitario del lavoratore dell’Unione purché in possesso di un passaporto valido e, se richiesto, di un visto di ingresso. Il visto non è necessario per il familiare straniero già in possesso di una carta di soggiorno per familiare di cittadino comunitario.

MIGRANTS_WEED_SUGAR_BEETS_FOR_$2.00_AN_HOUR_-_NARA_-_543858Vengono considerati “familiari” del cittadino dell’Unione il coniuge o il partner, qualora l’unione registrata se riconosciuta dalla legislazione, i discendenti del cittadino o del coniuge di età inferiore a ventuno anni o a carico e gli ascendenti diretti a carico del cittadino o del coniuge.

Dopo cinque anni di soggiorno legale e continuativo, nello Stato membro ospitante, il cittadino comunitario e i suoi familiari acquisiscono un diritto di soggiorno permanente e incondizionato e quindi gli stessi diritti, sussidi e vantaggi dei cittadini nazionali. Tale diritto si perde a seguito di assenze dallo Stato ospitante di durata superiore a due anni consecutivi. Gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

I lavoratori e la mobilità nell’Ue.

La normativa comunitaria, con l’art. 1, lettera b del regolamento n. 1408/71/CEE identifica il «lavoratore frontaliero» in colui il quale si reca sul territorio di uno Stato membro per rendere la propria attività lavorativa e fa rientro ogni giorno o almeno una volta alla settimana (criterio temporale) sul territorio dello Stato di residenza (criterio politico). Il settore è stato oggetto di riordino con i Regolamento n. 883 del 2004 ed il Regolamento d’attuazione n. 987 del 2009. Conserva, altresì, la qualità di frontaliere il lavoratore che non può ritornare ogni giorno o almeno una volta alla settimana nel luogo di residenza per un periodo non superiore a quattro mesi. Non vengono considerati frontalieri gli imprenditori e i professionisti.

Ernst_Siegling_with_his_employeesA differenza del lavoratore migrante, che stabilisce la propria residenza nel Paese dove lavora, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale, una per il luogo di residenza e una per il luogo di lavoro ed è tenuto a versare i contributi previdenziali e le altre prestazioni assicurative presso l’Ente previdenziale dello Stato membro in cui svolge la prestazione lavorativa.

Ha diritto agli assegni anche per i familiari residenti in un altro Stato e in caso di malattia il lavoratore frontaliero, compresi i suoi familiari, possono decidere di usufruire delle prestazioni o nello Stato di residenza o in quello in cui lavora. Può richiedere l’indennità di disoccupazione nello Stato di residenza ove, dall’ente competente, potrà ricevere le prestazioni nonostante non siano stati versati contributi previdenziali.

Oerlikon_-_'Gleis_9'_während_der_Gebäudeverschiebung_2012-05-22_13-27-35_(P7000)Viene definito invece «lavoratore stagionale» colui il quale si reca nel territorio di uno Stato membro diverso da quello in cui risiede per effettuarvi, per conto di un’impresa o di un datore di lavoro di tale Stato, un lavoro a carattere stagionale per un periodo non superiore ai 12 mesi. Affinché non venga superato il limite temporale, i lavoratori stagionali, potranno estendere i loro contratti o cambiare datore di lavoro.

Le richieste di lavoro stagionale devono specificare le condizioni contrattuali tra le quali l’orario e la retribuzione. La domanda, di contro, dovrà specificare se il lavoratore stagionale disporrà di un alloggio adeguato, qualora fosse il datore di lavoro a fornire l’alloggio, l’affitto non potrà essere eccessivo o automaticamente detratto dallo stipendio del lavoratore. E’ necessaria inoltre l’autorizzazione dell’ente previdenziale di provenienza con la quale deve essere attestata, con il modulo, denominato A1, la presenza dei requisiti previsti dalla normativa nazionale del Paese di residenza (pagamento retribuzioni, dei contributi previdenziali, eccetera e il rispetto della normativa di sicurezza del Paese di distacco).

  • Tassazione dei redditi prodotti all’estero.

A livello europeo non esistono norme che stabiliscano come tassare il reddito dei cittadini dell’Ue che vivono, lavorano o soggiornano in un Paese diverso dal proprio. Generalmente si acquisisce la residenza fiscale, con la conseguente tassazione del reddito complessivo, da lavoro o indiretto, nel Paese ove si è residenti per periodi superiori a sei mesi all’anno.

I cittadini italiani che intendono trasferire la propria residenza all’estero per un periodo superiore ad un anno devono iscriversi all’A.I.R.E. (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470) mediante dichiarazione all’Ufficio consolare competente per territorio entro 90 giorni dal trasferimento stesso.

Per i residenti in Italia, che prestano la propria attività lavorativa all’estero, si applica il principio della tassazione su base mondiale, worldwide taxation, prevista dall’art. 3 del D.P.R. 917/86, c.d. TUIR.

Die_Schweiz_für_Tibet_-_Tibet_für_die_Welt_-_GSTF_Solidaritätskundgebung_am_10_April_2010_in_Zürich_IMG_5775Se il periodo di lavoro dipendente in uno Stato membro, svolto in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, è superiore a 183 giorni l’anno, il reddito conseguito dovrà essere indicato nella dichiarazione dei redditi sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del ministro del Lavoro, ai sensi dell’art. 51, co. 8-bis del TUIR. La retribuzione convenzionale è “omnicomprensiva”, nel senso che assorbe ogni erogazione sia in denaro sia in natura corrisposta al dipendente. Tale particolare modalità di tassazione si applica a anche nei confronti dei dipendenti di soggetti non residenti, e ciò sulla base di quanto indicato nella circolare ministeriale 16 novembre 2000 n. 207/E. Se il periodo di lavoro non supera i 180 giorni, il reddito conseguito va dichiarato in Italia in base all’ammontare effettivamente percepito.

Per evitare il rischio di doppia tassazione è possibile servirsi delle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate tra lo Stato di residenza del percettore e quello dove il reddito è prodotto oppure ricorrere all’istituto del credito per le imposte pagate all’estero, c.d. foreign tax credit, previsto dall’articolo 165 del TUIR.

Vekkula_workers'_house_1921Circa le modalità di dichiarazione, bisogna distinguere se la remunerazione sia erogata dal datore di lavoro italiano (ciò può accadere nell’ipotesi di distacco) ovvero da quello estero. Nel primo caso, l’assolvimento dell’imposta sarà a cura del datore, in quanto tenuto, in qualità di sostituto d’imposta, all’applicazione delle ritenute all’atto del pagamento della retribuzione. Lo stesso sostituto potrà tener conto, in sede di conguaglio, del credito per le imposte già versate all’estero sul medesimo reddito, come precisato nella risoluzione 13 agosto 2002 n. 281/E. Nel secondo caso, invece, l’obbligo di liquidare l’imposta spetta direttamente al lavoratore mediante la presentazione del modello Unico.

Per i redditi prodotti dai frontalieri il regime di tassazione è determinato dalle convenzioni bilaterali di doppia imposizione che impongono un criterio spaziale legato al fatto di risiedere e lavorare in una zona frontaliera. L’art. 15 del modello OCSE prevede una potestà impositiva concorrente tra lo Stato di residenza del frontaliere e lo Stato in cui viene svolta l’attività lavorativa. Fino al 31.12.2000 tali redditi erano totalmente esclusi ai fini della determinazione della base imponibile dell’IRPEF, successivamente è stata introdotta una franchigia di esenzione. La Legge di Stabilità 2015 con l’art.1 comma 690, ha innalzato, per l’anno d’imposta 2015, l’importo esente a euro 7.500,00, anziché euro 6.700,00 previsto per l’anno d’imposta 2014.

 

Fabrizio Lucci

Foto © Wikimedia Commons

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