Dopo Parigi necessaria strategia comune dell’Ue contro radicalizzazione

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Il Parlamento europeo adotta una risoluzione con proposte concrete per affrontare e prevenire la minaccia terroristica. Da tenere sotto controllo carceri e web

I tragici fatti di Parigi hanno cambiato il mondo intero. Abbiamo letto e sentito questa frase un po’ ovunque nei giorni seguenti a quel terribile venerdì 13 novembre: leader politici, media, gente comune. Tutti unanimi nell’affermare che quel giorno ha segnato un cambiamento radicale non solo per l’Europa ma per tutta la scena internazionale. Questo tuttavia non può e non deve significare soltanto che d’ora in poi si debba vivere costantemente intimoriti dalla minaccia del terrore. Ogni momento di dolore, individuale o, come in questo caso, di un’intera nazione, ma anche della stessa Ue, offre spunti di crescita e riflessione. Da qui si deve ripartire. Sicuramente ciò che è avvenuto a Parigi ha mostrato molti dei “lati deboli” della Francia e dell’Europa tutta. Si è parlato di defaillance dell’intelligence francese che non ha saputo prevenire gli attacchi simultanei di Parigi, sebbene da diversi mesi i servizi segreti fossero in allarme riguardo a eventuali assalti terroristici.

Il problema tuttavia non riguarda soltanto la Francia: ne è prova l’affannosa caccia all’uomo che da giorni sta impegnando polizia e intelligence di tutta Europa. Salah Abdeslam, colui che ha partecipato agli attacchi di Parigi ma, misteriosamente, non si è fatto esplodere come gli altri kamikaze: è lui, attualmente, il “ricercato numero uno”. Inizialmente si parla di una fuga in Olanda, viene poi segnalato a Berlino, infine in Spagna. Nelle ultime ore, sul quotidiano Le Capital salta fuori addirittura una testimonianza che rivela che il mancato kamikaze, cinque giorni dopo gli attentati, si trovava ancora nel quartiere di Molenbeek a Bruxelles. Una caccia all’uomo che sta percorrendo l’Europa in lungo e in largo e che sembra evidenziare una delle debolezze dell’Ue: la mancanza di cooperazione e coordinazione fra i vari Stati membri e le relative intelligence. In questi giorni si è a lungo discusso di Schengen, ipotizzando un’eventuale abolizione dell’accordo come risposta al terrorismo.

Forse bisognerebbe domandarsi se Schengen non possa invece essere, a suo modo, una risorsa per combattere la radicalizzazione dei giovani cittadini dell’Unione europea. Ci riferiamo per esempio al SIS (Sistema d’Informazione Schengen), ovvero un sistema automatizzato che consente la gestione e lo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti alla convenzione. Si tratta di uno strumento nato proprio per garantire la sicurezza pubblica che permette di segnalare persone ed oggetti “sospetti”.

Rachida Dati, Relatrice della risoluzione
Rachida Dati, Relatrice della risoluzione

Strumento che, finora, non è stato utilizzato al meglio. Ad ammetterlo, gli stessi deputati del Parlamento europeo che, proprio in questi giorni, hanno redatto una risoluzione non vincolante sulla prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche. Successivamente agli attacchi di Parigi il Pe ha infatti preso atto dell’imminente necessità di un’azione coordinata degli Stati membri nonché di una strategia comune volta a prevenire l’estremismo e la radicalizzazione. Sono stati dunque evidenziati gli obiettivi prioritari in questo senso. Fra questi, uno dei più urgenti riguarda appunto lo scambio di informazioni fra gli Stati membri che deve essere intensificato e reso più agile. Il Pe ha dunque proposto la creazione di una blacklist europea di jihadisti e di sospetti terroristi, sottolineando anche la necessità di avere una definizione comune di foreign fighters.  Questo permetterebbe infatti di avviare procedimenti penali nei loro confronti una volta individuati all’interno dei confini Ue.

Nella risoluzione è stato anche evidenziato come sia fondamentale sviluppare il dialogo interculturale e intensificare i sistemi di istruzione. È infatti necessario evitare che la radicalizzazione trovi terreno fertile nell’ignoranza e nella povertà, così come nella ghettizzazione. Motivo per cui, ha sottolineato il Pe, è importante anche evitare la marginalizzazione in quartieri economicamente e culturalmente svantaggiati e piuttosto, favorire l’inclusione all’interno della società.

Infine, i deputati del Parlamento europeo hanno evidenziato come sia fondamentale individuare i luoghi in cui l’estremismo può consolidarsi e i canali attraverso i quali può diffondersi. Da qui la proposta del Pe di separare i prigionieri radicalizzati all’interno delle carceri e di rafforzare i controlli su internet e social media così da individuare messaggi collegabili all’apologia del terrorismo. In questa prospettiva, gli eurodeputati hanno inoltre sostenuto la necessità di poter intervenire anche con azioni legali contro le società che si dovessero rifiutare di cancellare immediatamente eventuali contenuti pericolosi.

Valentina Ferraro
Foto © European Commission and Parliament – 2015

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Valentina Ferraro
Laureata in letteratura contemporanea, ha lavorato per diversi anni come editor per una casa editrice romana, per poi avvicinarsi alla sua più grande passione: la scrittura, intesa come mezzo di comunicazione a 360 gradi. Ha iniziato scrivendo di cinema e cultura per diverse testate sia online che cartacee (fra queste, “Il quotidiano della Sera” e il settimanale “Il Punto”). Dopo il primo viaggio a Bruxelles, nel 2014, ha scoperto un forte interesse per l’Unione europea, iniziando così ad approfondire le tematiche relative all’Ue. La spiccata curiosità per l’universo della “comunicazione 2.0” l’ha portata a mettersi alla prova anche come blogger. Di recente la scrittura ha incontrato un’altra sua grande passione: l’enogastronomia.

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