Immigrazione, l’Europa scelga decisioni condivise

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Arbri Merkaj: è un fenomeno complesso che ricorda il nostro passato non molto lontano, quando gli europei erano migranti verso gli Stati Uniti d’America

L’immigrazione in Europa non si ferma mentre le scarse politiche dell’Unione europea per realizzare un serio piano di accoglienza non riescono a trovare una soluzione definitiva e condivisa con le altre nazioni. C’è un forte disorientamento che lascia adottare ai singoli Paesi decisioni troppo indipendenti. Se vogliamo costruire un’Europa dei popoli come pensata dai padri fondatori è necessario dialogare con tutti gli Stati membri per decidere e programmare interventi congiunti, in grado di adottare una seria politica d’integrazione delle persone immigrate poiché il fenomeno sociale è irreversibile. Questa nuova situazione che sta investendo l’Europa non si ferma certamente con le chiusure delle frontiere, ma deve necessariamente contemplare una determinata e consapevole integrazione del flusso dei migranti che, comunque, è un numero basso rispetto a ciò che i politici affermano per propri scopi elettorali. «L’immigrazione proveniente dai Paesi di guerra verso l’Europa è un fenomeno complesso perché dobbiamo prima comprendere il motivo che spinge queste persone a correre rischi con bambini piccoli e donne in gommone o addirittura a piedi; a volte trascorrono all’aperto intere giornate senza mangiare e senza acqua. Queste persone» – commenta Arbri Merkaj, coordinatore politico del Partito Socialista Albanese in Italia per il Sud, presidente dei Gd albanesi in Molise e alla provincia di Foggia Capitanata – «ricordano il nostro passato non molto lontano, quando gli europei erano migranti verso gli Stati Uniti d’America, successivamente altri europei nei Paesi del Vecchio Continente. Non possiamo dimenticare gli anni ’90 con la caduta del muro di Berlino e con la caduta dei Paesi dell’Est (l’ex URSS, Unione delle repubbliche dei Paesi sovietici socialisti). Oggi, dopo 72 anni, siamo di fronte a una stessa crisi con il pericolo dell’Isis. Questa situazione si aggiunge alla crescita dei partiti nazionalisti in Europa, iniziando con La Stella Arta in Grecia, la Lega Nord in Italia, il Fronte Nazionale in Francia e, di recente, anche in Germania. Che tipo di Unione europea si sta maturando se vengono chiuse le frontiere?».

UnhcrI timori su un possibile scollamento delle politiche europee con una conseguente disgregazione dell’unità dei Paesi è costantemente una realtà da combattere, se vogliamo continuare a credere a un’Europa unita e consapevole degli ideali voluti dai padri fondatori.

«Questa grave situazione – continua Arbri Merkaj – fa capire con chiarezza che i Paesi europei hanno sbagliato con le politiche in Asia e in Africa, perché il problema si risolve creando occupazione nei Paesi europei. Il caso dei Paesi balcanici è un valido esempio (la Serbia, la Macedonia, il Montenegro, il Kosovo, l’Albania): quelli candidati a entrare (o entrati, come la Croazia) nell’Unione europea si stanno modernizzando. Il problema è economico e sociale. Faccio notare che in Albania sono 162 i rifugiati siriani. Il governo albanese ha deciso di chiudere le frontiere perché evidentemente l’Albania non ha la capacità di accogliere molti immigrati. La soluzione è portare la democrazia in Siria ma gli Usa e i Paesi europei devono porre fine al regime Bashar al-Assad che viene appoggiato dalla Russia. Un altro aspetto dolente dell’Unione europea è la sua popolazione: invecchia in maniera veloce e spaventosa come in Germania, Italia, nei Paesi Bassi. In Francia non si avverte questo problema perché contribuiscono i cittadini africani e algerini alla demografia del Paese, perché sono diventati cittadini francesi. Gli immigrati sono una risorsa lavorativa per i Paesi europei dove si coltiva l’agricoltura, nel settore edile, nella assistenza agli anziani. In Italia ci sono 5 milioni di immigrati che producono ricchezza assicurando la pensione a 600 mila pensionati italiani (da recenti dati Istat). Come si può chiaramente comprendere gli immigrati sono una presenza più grande dei semplici rifugiati che vengono a “invadere” i Paesi europei con la loro cultura e la loro religione».

L’Europa deve trovare una soluzione efficace con tutti gli Stati membri altrimenti rischia di sgretolare la sua politica in decisioni parziali che non possono contemplare un’Europa unita. Non dobbiamo trovare gli accordi condivisi solo quando si affrontano questioni legate all’economia perché il sociale, se non è costretto a una costante emergenza, può agevolare la crescita economica, migliorando le condizioni di vita della stessa Europa e degli stessi cittadini. Tutto dipende dalla volontà di studiare e attuare serie e rigorose politiche di integrazione, capaci di risolvere alla radice il fenomeno sociale dell’immigrazione.

 

Francesco Fravolini

Foto © UNHCR

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Francesco Fravolini
Francesco Fravolini, giornalista professionista, ha collaborato con diversi giornali nazionali tra i quali Paese Sera, Qui Roma, supplemento di cronaca romana de La Stampa; Plein Air, mensile di turismo; I Viaggi, supplemento de La Repubblica; Traveller, mensile della Condé Nast; Tuttolibri, supplemento de La Stampa; Famiglia Cristiana, Jesus. Crede nel turismo e nella cultura dei luoghi per riscoprire l'identità di una popolazione. È coautore de La fuga di Hamir, storia di un rifugiato politico, Libellula Edizioni 2012 e autore di Scrivere da giornalista, Libellula Edizioni 2012 e Sulla strada dell'enoturismo, Alter ego edizioni 2015. È interessato alle questioni sociali rivolgendo una costante attenzione alla scommessa del XXI secolo: un maggiore incontro tra i popoli per una consapevole condivisione del pianeta. Che può tramutarsi in una grande ricchezza culturale ed economica.

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