Custodia cautelare, Strasburgo chiede solo come “extrema ratio”

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Il Comitato anti-tortura del Consiglio d’Europa esorta perché avvenga in condizioni adeguate, dato il sovraffollamento delle carceri. Dai dati emerge un’Italia fra le peggiori

Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) esorta i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa a non imporre la custodia cautelare in carcere se non come ultima ratio e a offrire condizioni di detenzione soddisfacenti agli indagati sottoposti a carcerazione preventiva. Nel corso delle sue visite effettuate in istituti penitenziari di tutta Europa, il CPT ha spesso constatato che gli indagati in attesa di giudizio sono detenuti in pessime condizioni e sottoposti a un regime carcerario che consente scarse opportunità di attività formative e ricreative.

In numerosi Paesi europei, il problema del persistente sovraffollamento delle carceri è dovuto in larga misura all’alta percentuale del numero di detenuti in custodia cautelare rispetto al totale della popolazione carceraria.

Nel suo rapporto annuale, pubblicato ieri, il CPT sottolinea la necessità per gli Stati membri di garantire, per quanto possibile, il ricorso a misure alternative alla detenzione cautelare, quali la revoca provvisoria della detenzione, la scarcerazione su cauzione, gli arresti domiciliari, il controllo mediante braccialetto elettronico, il sequestro del passaporto e l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria. Il CPT ritiene che tali misure dovrebbero essere ugualmente ipotizzate per i cittadini stranieri, frequentemente sottoposti a custodia cautelare perché si ritiene che nel loro caso possa sussistere un maggiore pericolo di fuga.

In prigione dovrebbe starci solo chi è stato condannato in via definitiva, e solo in casi eccezionali chi è in attesa del processo o ha fatto appello contro la sua condanna. Ma in Italia e in numerosi altri Paesi europei non è questa la norma. La percentuale media in Europa di detenuti in attesa di giudizio in carcere è del 25% (in Italia supera il 30%). La denuncia viene dal comitato anti tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa che con il suo ultimo rapporto chiede ai Paesi di intervenire per fare della custodia cautelare un’eccezione, perché questa misura è una pratica dannosa per l’individuo e spesso una delle cause del sovraffollamento nelle carceri.

I dati più aggiornati del ministero della Giustizia italiano sembrano confermare la correlazione tra sovraffollamento e ricorso alla custodia cautelare. In Italia al 31 marzo scorso c’erano in totale 56.289 detenuti per 50.211 posti disponibili. In attesa del primo processoe rano 9.749, mentre quasi altrettanti (9.641), pur condannati, non lo erano in via definitiva. Secondo il Cpt «data la sua natura invasiva e considerato il principio della presunzione d’innocenza, la norma di base deve essere che la custodia cautelare sia utilizzata solo come ultima misura».

Gli Stati dovrebbero, invece, ricorrere ad altre possibilità come gli arresti domiciliari, la cauzione, la sorveglianza elettronica, l’obbligo a rispettare certi vincoli, il ritiro del passaporto. E queste misure dovrebbero essere applicate anche ai cittadini stranieri «perché il fatto che non siano né residenti non motivo sufficiente per concludere che vi è un elevato rischio di fuga». Il Cpt afferma anche che la custodia cautelare deve essere «imposta per il tempo più breve possibile e deve essere stabilita caso per caso dopo aver valutato i rischi di reiterazione del reato, di fuga, del tentativo di alterare le prove o altre interferenze con il corso della giustizia».

Inoltre va considerata anche la gravità del reato che la persona è sospettata di aver commesso. Quando gli Stati utilizzano la custodia cautelare devono, afferma il Cpt, assicurare a questo tipo di detenuti, che in generale sono quelli che in prigione sono tenuti nelle condizioni peggiori, tutta una serie di tutele, che vanno dallo spazio minimo nelle celle ad attività giornaliere.

Nel suo rapporto annuale, il Comitato si dichiara preoccupato per le restrizioni imposte in numerosi Paesi agli indagati o imputati detenuti, in particolare per quanto riguarda i loro contatti con il mondo esterno. Tali restrizioni possono includere il divieto totale di effettuare/ricevere telefonare o di ricevere visite, o perfino l’isolamento. Il CPT sottolinea che qualsiasi misura restrittiva deve essere specificamente motivata dalle esigenze dell’indagine, deve essere subordinata all’approvazione di un’autorità giudiziaria ed essere applicata solo per una durata limitata.

 

 

Margit Szucs

Foto © Council of Europe,

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