L’Ue corre sul clima, dal Parlamento europeo taglio delle emissioni

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Domani la giornata mondiale del vento, eolico a +15,6% nel 2016, mentre l’Asia diventa il primo produttore di energie verdi superando l’Occidente

Ambiente, l’Europa c’è. Non sono nemmeno passate due settimane dall’addio Usa di Donald Trump all’accordo di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico, che l’Unione europea – dopo le prese di posizione con Ua e Cina e le accelerazioni sulla mobilità pulita – mostra con un nuovo passaggio concreto la volontà ad andare avanti sui tagli alle emissioni inquinanti: il Parlamento europeo approva ad amplissima maggioranza gli obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra per ogni Stato membro da qui al 2030.

Un primo passo, dato che manca ancora la necessaria intesa con gli Stati membri dell’Ue rappresentati nel Consiglio, ma dal forte valore simbolico. Durante la discussione prima del voto, in aula va in scena un vero e proprio processo politico alla decisione del presidente americano Donald Trump, definita «un errore» dal presidente del Parlamento europeo, l’italiano Antonio Tajani. Mentre il numero uno della Commissione europea Jean-Claude Juncker (nella foto a destra col presidente della Costa d’Avorio) sbarra la porta al presidente Usa: «l’Ue non rinegozierà l’accordo di Parigi. Abbiamo passato vent’anni a negoziare, ora è il momento di agire».

Un nuovo segnale della determinazione europea a esercitare la sua leadership in campo ambientale. Il passo indietro Usa, chiosa Juncker, «non sarà la fine dell’accordo ma renderà il resto del mondo unito per la sua attuazione». Il testo votato oggi, approvato con 534 sì, 88 no e 56 astensioni, impegna l’Europa entro il 2030 a tagliare le sue emissioni del 40% rispetto ai livelli del 1990. Il provvedimento riguarda agricoltura, trasporti, edilizia e rifiuti, ossia i settori non coperti dal cosiddetto sistemaEts” (relativo invece a impianti industriali, produzione di energia elettrica e termica e operatori aerei). Campi, quelli del testo approvato in plenaria, che coprono circa il 60% delle emissioni totali dell’Ue. Per l’Italia, in particolare, la riduzione richiesta è del 33% rispetto ai valori del 2005.

La presidente della Repubblica delle Isole Marshall con Antonio Tajani

È stata accesa la discussione tra gli eurodeputati nell’emiciclo, con qualcuno come il capogruppo socialista Gianni Pittella che si spinge a evocare dazi «per frenare la concorrenza sleale americana». A perorare la causa di un impegno maggiore per il clima arrivano in aula anche Hilda Heine, presidente delle Isole Marshall, minacciate dall’innalzamento del mare, e il presidente della Costa d’Avorio Alassane Ouattara. «Siamo sempre stati all’avanguardia nella lotta al cambiamento climatico e vogliamo continuare a esserlo» – spiega Tajani – «cercando di essere un punto di riferimento per tanti Paesi nel mondo».

Intanto nel 2016 è andato in scena il sorpasso dell’Asia sull’Occidente nel campo delle energie rinnovabili: la Cina ha superato gli Usa diventando il Paese con la maggiore produzione di elettricità da fonti verdi, mentre l’Asia Pacifica ha tolto a Europa ed Eurasia lo scettro di regione con la produzione verde più alta. A delineare il quadro è il 66/o rapporto annuale di BP sull’energia mondiale, da cui emerge un mercato in transizione, con le fonti pulite in crescita che compensano il calo nel settore altamente inquinante del carbone.

In base al report, diffuso alla vigilia della Giornata mondiale del vento che ricorre domani, giovedì 15 giugno, anche nel 2016 le rinnovabili sono state la fonte energetica con la crescita maggiore, pari a un +12% escluso l’idroelettrico. A spingere è la Cina, seguita da Usa, Giappone, India e Brasile. Oltre la metà dell’incremento è arrivato dall’eolico, (+15,6% su base annua, pari a 131 terawattora), mentre un terzo della crescita è stato apportato dal fotovoltaico (+29,6%, 77 terawattora).

Eppure, nonostante l’andamento positivo, le rinnovabili rappresentano ancora solo l’8% della generazione elettrica mondiale complessiva. In diverse realtà, tuttavia, le energie green fanno la differenza: in Danimarca forniscono il 59% dell’elettricità, in Germania il 26%, in Spagna il 25% e il 23% in Italia e Regno Unito. Sul fronte delle fonti fossili, il consumo mondiale di carbone è sceso per il secondo anno consecutivo facendo segnare un -1,7%. A trainare gli Usa (-8,8%) e la Cina (-1,6%).

Flessione ancora più marcata per la produzione di carbone, con un calo record del 6,2%. Il traino è sempre di Usa (-19%) e Cina
(-7,9%). Il consumo globale di petrolio è aumentato dell’1,6%; quello di gas naturale dell’1,5%. A livello ambientale, lo spostamento del mix energetico verso le rinnovabili, unito a una debole crescita della domanda energica mondiale (+1%), ha fatto sì che nel 2016 le emissioni di CO2 siano aumentate di appena lo 0,1%, segnando il terzo anno consecutivo di sostanziale stabilità.

 

Elena Boschi

Foto © European Union

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Elena Boschi
Aretina, classe '81. Laureata in giurisprudenza e storia, si avvicina all'attività multimediale dopo un master e anni di pratica pubblicistica, occupandosi principalmente di politica e cronaca nazionale. Ultimamente la sua attenzione e passione si cimenta con l'attualità europea, grazie anche alla collaborazione con una importante associazione internazionale.

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