Fondi Ue, al via partita da oltre 50 miliardi per l’Italia

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Parte confronto sul dopo-Brexit con Juncker, Padoan e Centeno, dopo che la Corte dei Conti ha giudicato irrilevanti l’utilizzo dal 2014 degli stessi

Ci sono miliardi di euro di fondi europei che rischiano di sparire dopo il 2020 a causa dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea (la famigerata Brexit) e delle nuove priorità delle politiche comunitarie: per l’Italia la posta in gioco è molto alta e il conto finale potrebbe anche raggiungere i 50 miliardi di euro di passivo. Dopo le prime schermaglie registrate negli ultimi mesi del 2017, a dare il via a un confronto tra i Ventisette che nel corso del 2018 si annuncia molto complesso e delicato sarà da domani una conferenza di alto livello che sarà aperta dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E alla quale interverranno, tra gli altri, sia il ministro italiano dell’Economia Pier Carlo Padoan che il nuovo presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Mario Centeno, al suo esordio sulla scena europea in questa veste.

L’obiettivo di Bruxelles è quello di formulare una proposta per il nuovo quadro finanziario Ue per il periodo post-2020 entro maggio. Ma sono tanti gli ostacoli che dovranno essere superati. Innanzi tutto c’è il bucostimato in almeno 12-15 miliardi di euro – che si aprirà appunto con l’uscita dei britannici. Poi ci sono le resistenze di molti all’idea di aumentare i contributi dei singoli Paesi membri al budget Ue (l’Italia è già uno dei principali contributori netti) e le difficoltà ad individuare nuove voci per alimentare il bilancio, come potrebbe essere la Tobin tax, un progetto di imposta sulle transazioni finanziarie internazionali, che però non riesce a decollare. E infine pesano i malumori suscitati dalla cosiddetta “solidarietà a senso unico”: Paesi dell’Est come la Poloniaprincipale beneficiaria della politica di coesione Ue con ben 82 miliardi nel periodo 2014-2020 – che però si chiama fuori quando si tratta di condividere il peso della gestione dei flussi migratori.

L’Italia, che ha sempre gestito con un certo affanno i fondi europei – come testimonia anche l’ultimo botta e risposta tra la Corte dei Conti e il ministro per la coesione territoriale Claudio De Vincenti di cui ci occuperemo fra poco – rischia ora di veder sfumare somme notevoli, fondamentali per alcune aree del Belpaese. Nel periodo in corso (2014-2020) le sono state assegnate risorse a valere sui fondi strutturali per 42,6 miliardi (l’importo maggiore dopo quello destinato a Varsavia) pari a 703 euro per abitante. Una cifra che potrebbe subire, nella peggiore delle ipotesi circolate in questi ultimi mesi, un drastico taglio. A cui si potrebbe aggiungere una riduzione dei fondi europei destinati all’agricoltura dello Stivale fino a nove miliardi di euro.

Per questo sarà vitale ascoltare la posizione che sarà espressa domani da Padoan e soprattutto da Juncker. Ma anche la posizione che prenderà il ministro delle Finanze portoghese Centeno, nuovo capo dell’Eurogruppo in sostituzione dell’olandese Jeroen Dijsselbloem, sul quale sono puntati i riflettori per capirne la posizione su quella flessibilità di cui Roma sta usufruendo in questi anni per sostenere la crescita e la lotta alla disoccupazione. Nella speranza che, davanti a una partita così importante, l’Italia riesca a far sentire la sua voce e tenere il punto a Bruxelles durante una fase politica interna che si annuncia particolarmente complessa, viste le elezioni alle porte.

Certo il buongiorno non si vede dal mattino se si considera il fatto che la Penisola ha finora utilizzatocifre irrilevantiper quanto riguarda la programmazione 2014-2020 dei fondi Ue, come ha messo in rilievo la Corte dei Conti nella Relazione annuale al Parlamento suI rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei Fondi comunitari“. «La Sezione» – si legge nella relazione – «deve evidenziare il dato assolutamente carente per quanto riguarda le percentuali di attuazione finanziaria, pur essendo trascorsi oltre tre anni dal suo inizio. Su molti Programmi non sono ancora stati effettuati pagamenti, mentre, laddove ve ne siano, essi si attestano generalmente su cifre irrilevanti, con la specificazione che le somme spese riguardano, ad oggi, quasi esclusivamente l’assistenza tecnica».

Le conclusioni della Corte sono state contestate dal ministro per la Coesione territoriale, Claudio De Vincenti, che ha ricordato come i dati siano statisuperati“: «la spesa dei fondi strutturali certificata a Bruxelles dalle Autorità di Gestione responsabili dei programmi assomma al 31 dicembre a 2,6 miliardi di euro», centrando «pienamente l’obiettivo». Ma a sua volta ha insistito la Sezione di controllo per gli Affari comunitari e internazionali «un livello di attuazione così limitato può essere solo parzialmente spiegato con il quasi “fisiologico” ritardo nell’inizio delle attività progettuali vere e proprie, derivante dai tempi tecnici necessari all’avvio della fase progettuale e alla scelta dei progetti da realizzare; in realtà, si osserva che, giunti praticamente a metà del periodo di programmazione, molti adempimenti preliminari non sono stati neppure definiti. Solo a partire dall’anno corrente si comincia a vedere un inizio di attuazione progettuale, ma soltanto, in via quasi esclusiva, dal punto di vista degli impegni». In sostanza, si legge ancora nella relazione, «si sta ripetendo, anzi sembra addirittura più accentuato, il ritardo di realizzazione che già si è potuto osservare per il periodo 2007-2013».

È vero, riconosce la Corte, che quel periodo si è alla fine concluso positivamente, ma ciò è accaduto anche grazie «ad una serie di fattori che hanno avuto l’effetto di “tamponare” le carenze programmatorie iniziali, ma non è detto che tali circostanze si possano ripetere». Inoltre, avvertono i magistrati contabili, «la dilazione temporale non mette al riparo da eventuali imprevisti, quali eventi naturali o anche geopolitici, che possono mettere in seria difficoltà l’attuazione di un programma che veda la realizzazione della maggior parte dei progetti nella parte finale». Insomma, la Corte ribadisce in conclusione «l’importanza di una più accurata ed efficiente fase di pianificazione e di scelta dei progetti, che consenta di attuare una redistribuzione della fase realizzativa lungo l’intero settennio». Per il ministro De Vincenti, però, la situazione è ben diversa. Non solo la spesa è già pari a 2,6 miliardi (5,2% dei fondi Fesr e Fse) ma, assicura, «le risorse attivate, corrispondenti cioé a interventi già in fase di attuazione sfiorano i 20 miliardi di euro, raggiungendo il 38,8% delle risorse Fers e Fse, percentuale in linea con la media europea, come è stato verificato nel corso dell’Incontro annuale tra Commissione Ue e Autorità di gestione italiane che si è svolto il 23 novembre scorso a Roma. Questi sono i dati certificati al 31 dicembre 2017: le valutazioni, a oggi, si fanno su questi dati».

 

Nicola Del Vecchio

Foto © European Union, Corte dei Conti

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