Fine allo storico trattato sui missili nucleari a medio raggio (Inf)

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Stati Uniti accusano e sfidano la Russia, pensando di riflesso anche alla Cina. Mosca pronta a reagire, mentre la vera vittima rischia di essere l’Europa. Si rischia la corsa al riarmo

Da domani sarà sospeso lo storico trattato sui missili nucleari a medio raggio (Inf, Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), firmato a Washington l’8 dicembre 1987 dall’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e dal presidente dell’Urss Michail Gorbaciov per chiudere la crisi degli euro missili e considerato una pietra miliare della fine della guerra fredda. Un trattato che però non vincola la Cina, che nel frattempo ha sviluppato un arsenale basato in gran parte proprio su questo tipo di razzi e che ha un crescente peso nel settore militare. Il Dipartimento di Stato americano, dopo mesi di minacce, passa ai fatti e domani notificherà ufficialmente alla Russia la sospensione del Trattato Inf sul controllo degli armamenti nucleari. Ora c’è il concreto rischio di una nuova corsa alle armi.

La Casa Bianca, come fece già l’amministrazione di Barack Obama nel 2014, ha accusato Mosca di averlo violato «impunemente» per «troppo tempo», «sviluppando segretamente e schierando un sistema missilistico proibito che pone una minaccia diretta ai nostri alleati e alle nostre truppe all’estero». Si tratta del missile da crociera 9M729 Novator, “l’arma invincibile” capace di superare tutte le attuali difese antibalistiche americane grazie a una gittata di oltre 500 chilometri. Ma le accuse sono reciproche. Anche Mosca contesta a Washington di non aver rispettato l’accordo con il suo scudo spaziale nell’Europa dell’Est, basato su missili intercettori balistici Hera che potrebbero facilmente diventare armi offensive e che comunque rompono l’equilibrio delle forze in campo. Ora gli Stati Uniti, ha subito replicato la Russia, potrebbero schierare un totale di «48 missili da crociera» in Europa mettendo così «in pericolo» la Russia centrale e Mosca «non può ignorare questa minaccia».

Il Cremlino teme inoltre che gli Usa possano ritirarsi anche dall’accordo New Start (Strategic arms reduction treaty) per la riduzione delle armi di distruzione di massa, che scade il 5 febbraio del 2021, poco dopo l’insediamento del prossimo presidente americano. Dopo l’uscita degli Usa all’accordo con l’Iran, il mondo resterebbe così privo di intese contro la proliferazione nucleare. La sospensione del trattato Inf è stato annunciata in conferenza stampa dal segretario di Stato Mike Pompeo, alla scadenza dei 60 giorni dati a Mosca per dimostrare il rispetto delle sue condizioni. «I Paesi devono essere richiamati alle loro responsabilità quando violano le regole. La Russia ha minato gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti e non possiamo più essere limitati da un trattato che la Russia ha violato spudoratamente», ha tuonato. Gli ha fatto eco la Casa Bianca, che però ha lasciato aperta la porta a negoziati con la Russia sul controllo degli armamenti a condizioni di «verificabilità e applicabilità», cui potrebbe seguire «»lo sviluppo, forse per la prima volta, di un’ottima relazione a livello economico, commerciale, politico e militare”.

Ora c’è una finestra di altri 180 giorni, che l’Onu ha chiesto di usare per risolvere le differenze, anche se prevale lo scetticismo. «Se la Russia non onora i suoi obblighi del Trattato Inf attraverso la distruzione verificabile di tutti i suoi sistemi missilistici 9M729, ritornando così alla piena e verificabile conformità prima che il ritiro degli Stati Uniti entri in vigore tra sei mesi, si assumerà la piena responsabilità della fine del trattato», ha ammonito la Nato, costretta a fare muro dopo essere stata colta di sorpresa dal primo annuncio di Trump lo scorso ottobre. A fare le spese della fine del trattato sarebbe prima di tutto l’Europa, che tornerebbe teatro di scontro tra le due superpotenze, peraltro sotto il monito di Trump a sborsare di più per la difesa. «Senza il trattato ci sarà meno sicurezza», ha twittato infatti il capo della diplomazia tedesca, Heiko Maas, mentre il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha ironizzato sul fatto che «ogni accordo con il governo degli Stati Uniti non vale l’inchiostro; persino i trattati ratificati dal Congresso». Ma la mossa del tycoon è anche asimmetrica, per avere mani libere in Asia e fronteggiare la minaccia della Cina, non vincolata dal trattato. Una mossa che arriva proprio mentre l’intelligence Usa ammonisce che Russia e Cina «non sono mai state così allineate dalla metà degli anni ’50». Salvo accordi last minute con Mosca o accordi che coinvolgano anche Pechino, il rischio è quello di una nuova guerra fredda e di una corsa al riarmo, con Trump che vuole mantenere il primato tecnologico e militare sui rivali. Anche con le sue nuove armi spaziali, che renderebbero gli Usa invulnerabili.

Al giorno d’oggi non ci sono solo i missili ma anche le sfide poste dal cyberspazio, tra attacchi hacker e guerre di fake-news. Il rischio di un incidente militare tra Russia e Nato sta crescendo, data l’evoluzione nei rapporti e la prossimità dei due schieramenti, dobbiamo assicurarci che esistano procedure per gestirne le eventuali conseguenze. E non è dunque un caso che l’Europa stia gestendo la crisi del trattato Inf proprio «attraverso le strutture della Nato». La posizione russa, già tratteggiata da Vladimir Putin, è quella di non farsi trascinare in una nuova corsa agli armamenti che spezzerebbe (economicamente) la schiena al Paese: la Russia non ha infatti le risorse per seguire gli americani lungo questa costosa strada al rialzo. «Abbiamo imparato la lezione», ha commentato il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov. Mosca, del resto, non è impreparata. Le ultimissime armi sviluppate su ordine del Cremlino servono proprio a questo: si va dalla testata a planata ipersonica Avangard al sistema missilistico (sempre ipersonico) Kinzhal, ai droni sottomarini nucleari Poseidon, in grado di scatenare tsunami radioattivi che distruggerebbero le città costiere nemiche. Un kit, stando alle analisi del Cremlino, in grado di rendere nulle le attuali mosse militari americane. «L’Europa – ha tuonato il presidente della commissione Esteri della Duma Leonid Slutki – è cieca nella sua solidarietà atlantica: l’ombra della guerra aleggia sul continente e si tratta di uno scenario terribile».

Intanto Pechino si rafforza con alta tecnologia tra portaerei e missili. Ci sono voluti tre anni per portare a termine il riassetto degli organici delle forze armate della Cina: dall’annuncio del 2015 del presidente Xi Jinping, che è a capo della Commissione centrale militare, l’Esercito di liberazione del popolo (Pla) è “dimagrito” di 300.000 unità. Il traguardo raggiunto a 2 milioni di effettivi lo ha ufficializzato lo scorso marzo il premier Li Keqiang comunicando anche la “significativa modernizzazione” di equipaggiamenti e attrezzature, la maggiore integrazione tra civili e militari, e il rialzo dell’8,1% del budget 2018 della Difesa, salito a 175 miliardi di dollari, circa l’1,5% del Pil cinese. La Cina vanta il quarto arsenale atomico più grande al mondo con circa 280 testate, contro le 6.450 degli Usa e le 6.850 della Russia, secondo le stime dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Per gli esperti, il prossimo passo è l’ammodernamento accompagnato dalla capacità di dotare jet e missili di piccole atomiche, mossa necessaria per aumentare la capacità di difesa e non solo di deterrenza.

 

Margit Szucs

Foto © The Washington Post, CNN, Insights

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