«La Global Strategy dell’Ue per sviluppare la politica di sicurezza e difesa comune»

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Il generale Claudio Graziano, 2° presidente italiano del Comitato militare dell’Unione europea, intervistato a cura dell’AEG

Il secondo italiano dopo Rolando Mosca Moschini al vertice del Comitato militare dell’Unione europea, il massimo organismo delle forze armate composto dai capi di stato maggiore della Difesa dei Paesi membri. È il generale Claudio Graziano, che subentra nel ruolo al posto del collega greco Mikhail Kostarakos. Nella corsa al prestigioso incarico, l’alto ufficiale italiano ha superato i candidati francese e tedesco. Tanto da risultare il più votato dai 28 capi di Stato Maggiore degli Stati membri.

  • Generale Graziano, lei presiede l’European Union Military Committee, organismo non molto conosciuto dall’opinione pubblica, che tuttavia svolge un ruolo indispensabile di coordinamento tra le forze armate degli Stati membri dell’Unione europea. Da più parti oggi si chiede un maggiore coordinamento europeo della Difesa perchè l’integrazione militare attualmente esistente è insufficiente a garantire la sicurezza del nostro continente, soprattutto a fronte di situazioni sempre più critiche ai nostri confini. Quali sono le prospettive future di integrazione in considerazione degli sviluppi più recenti?

«In questi ultimi anni abbiamo assistito a profondi, radicali cambiamenti dello scenario della sicurezza e della difesa europea. Da elementi quasi “periferici” dell’interesse e dell’agire politico dell’Unione europea, infatti, la sicurezza e la difesa sono diventate, ormai, un soggetto di costante dibattito in ambito comunitario. Sicurezza e difesa sono state indicate come aree chiave nella Global Strategy, di cui l’Ue si è dotata nel 2016, ed è stata sottolineata la necessità di affrontare questi due aspetti in modo adeguato al fine di continuare ad attenuare l’instabilità di aree limitrofe ai nostri confini e consolidare così la cornice di sicurezza interna. La Global Strategy dell’Unione europea nel definire il livello di ambizione dell’Ue, ha richiamato l’esigenza di una più stretta cooperazione in materia di sicurezza e difesa dei Ventotto.

Gli Stati Membri dell’Ue hanno riconosciuto l’importanza di un maggiore coinvolgimento e un più efficace supporto alle iniziative comuni, a cominciare della partecipazione alle Operazioni e alle Missioni militari e civili in aree di crisi e di instabilità. Hanno altresì dato vita a una serie di misure e programmi di coordinamento, finalizzati a un impiego sempre più sinergico delle risorse e a un maggiore slancio nello sviluppo di capacità in ambito difesa, in sintonia con le aspettative di sviluppo dei relativi comparti industriali. Nonostante i tanti progressi conseguiti, sono tutt’oggi presenti un numero di sfide e ostacoli che dovranno essere affrontati e superati al fine di poter dare concretezza all’idea di difesa comune. Ad esempio, per usare correttamente e congiuntamente le nuove capacità militari sarà necessaria un’ulteriore e ancora più accurata definizione delle procedure e un miglior bilanciamento degli sforzi, anche allo scopo di garantire un’equa contribuzione dei Paesi membri.

In tal senso, il coordinamento con l’Alleanza Atlantica sarà dirimente, onde evitare la sovrapposizione di competenze e capacità, puntando piuttosto, come si sta già facendo, sull’impiego sinergico delle risorse e lo sviluppo, per quanto possibile, di iniziative in campi di comune interesse. La Global Strategy rappresenta un progetto ambizioso ma realistico al tempo stesso, volto a sviluppare la Common Security and Defence Policy (CSDP – Politica di sicurezza e difesa comune) in modo coerente con l’evoluzione della situazione di sicurezza globale e con il fine di fornire risposte adeguate alle minacce attuali ed emergenti. L’Unione europea ha compreso che in questo momento è opportuno concentrare i propri sforzi sul Capacity Building, inteso quale processo complessivo volto ad aiutare i Paesi in crisi “a rimettersi sulle proprie gambe” per operare in modo autonomo supportandoli da un punto di vista non solo militare, ma anche in termini di sviluppo economico e di ricostruzione degli apparati istituzionali.

Tale slancio e nuova consapevolezza dei propri mezzi rafforzano il ruolo dell’Unione europea quale organismo capace di esprimere una capacità strategica globale in tutti i settori chiave, ma anche in condizione di svolgere un ruolo ben definito quale security provider in ambito internazionale. È fuor di dubbio che l’Unione europea debba essere in grado su determinate questioni di trovare finalmente non solo una narrativa condivisa, ma anche un comune denominatore per potersi proporre come un interlocutore credibile e coeso e non come un soggetto diviso in 28 interessi nazionali. Questo comune denominatore è quello su cui dobbiamo costruire l’integrazione della CSDP per realizzare i principi e i concetti della Global Strategy che possono riassumersi nella realizzazione di una capacità autonoma dell’Unione europea di condurre missioni militari anche di ampio respiro.

Per dare concreta attuazione a tale strategia, proprio negli ultimi anni sono stati introdotti una serie di strumenti innovativi, dalla cui corretta ed efficace implementazione potranno derivare dei benefici per l’intero sistema. Uno di questi strumenti, certamente il piu noto, è senza dubbio la Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) volta a creare una maggiore integrazione della componente sicurezza e difesa realizzando sinergie tra lo sviluppo delle capacità militari e di quelle industriali, attraverso una serie di progetti concreti a cui aderiscono la gran parte dei Paesi membri. La Coordinated Annual Review on Defence (CARD) è, in aggiunta,  uno strumento di coordinamento e revisione congiunta dei processi nazionali di pianificazione e delle iniziative di sviluppo capacitivo realizzate in ambito Unione europea. Il che vuol dire poter “monitorare” la situazione dei diversi Paesi, al fine di meglio definire e indirizzare le esigenze programmatiche della Difesa.

Un ulteriore elemento che aggiunge credibilità e slancio ai citati progetti europei è l’European Defence Fund (EDF), ovvero uno strumento finanziario promosso dalla Commissione europea per utilizzare fondi europei per lo sviluppo delle capacità militari e della ricerca tecnologica nel campo della difesa, volto a promuovere lo sviluppo della dimensione industriale della difesa in ambito Ue. L’iniziativa trae origine dalla considerazione che gli investimenti nel settore della Difesa svolgono un ruolo trainante nello sviluppo industriale complessivo e nell’accrescere la produttività e l’efficacia dei singoli Paesi. Un ulteriore strumento potenzialmente molto utile è l’European Peace Facility (EPF), un’iniziativa in corso di elaborazione per introdurre un meccanismo di finanziamento che consenta di fare un miglior uso delle procedure, per finanziare sia i costi comuni delle missioni addestrative dell’Ue sia le esigenze di fornire equipaggiamenti mezzi e materiali alle forze da addestrare, conferendo maggiore efficacia e credibilità agli sforzi compiuti nell’ambito di queste missioni. Ciò potrà consentire di fare un salto qualitativo considerevole, passando dal mero addestramento ad una dimensione più ampia della preparazione e sostegno alle Forze militari dei Paesi di interesse, nel quadro delle iniziative del Capacity Building a cui abbiamo accennato in precedenza».

  • L’Unione europea dispiega diverse missioni nel mondo e soprattutto nel continente africano. Queste missioni sono per la maggior parte civili-militari e vedono una costante collaborazione tra forze armate e funzionari europei, a sostegno di democrazie fragili e di Stati, come la Somalia per citarne uno, che stentano a trovare una propria stabilità. Come valuta l’efficacia di queste missioni? Pensa che per essere un attore più credibile l’Ue si debba dotare di maggiori capacità militari proprie, magari per sostenere altre istituzioni intergovernative, come l’Onu e l’Unione africana?

«Le missioni addestrative e le operazioni militari guidate dall’Ue sono, naturalmente, l’attività centrale della Politica Comune di Sicurezza e Difesa (Common Security and Defence Policy – CSDP). Tali operazioni sono realizzate grazie al contributo degli Stati membri e in stretta cooperazione con le missioni civili della CSDP in alcune delle aree più complesse e pericolose del mondo. Prima di tutto, è bene chiarire che le missioni condotte dall’Ue sono di due tipi. Da un lato, le cosiddette “operazioni” o “missioni esecutive” prevedono attività militari con un mandato piuttosto ampio, per la cui implementazione l’utilizzo della forza è previsto al di la del diritto all’autodifesa. Al momento, l’Ue conduce tre “operazioni” o “missioni esecutive”: l’Operazione ALTHEA in Bosnia-Herzegovina, l’Operazione SOPHIA nel Mediterraneo e l’Operazione ATALANTA nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden.

Le 3 missioni non esecutive, invece, sono quelle che hanno solo lo scopo di fornire adeguata formazione alle forze armate locali e consulenza alla leadership militare dei Paesi in cui siamo schierati. Al momento, l’Unione europea è impegnata in questa tipologia di missioni in Mali, nella Repubblica Centrafricana e in Somalia. Lo sforzo principale si concentra sull’Africa, dove si possono ritrovare le cause maggiori alla radice delle attuali sfide alla sicurezza e in cui l’Ue agisce coerentemente con il suo interesse primario promuovendo il benessere e la sicurezza. In tal senso, molti risultati positivi sono stati raggiunti finora nonostante i nostri contingenti svolgano il loro mandato in circostanze molto difficili e in situazioni complesse e spesso pericolose, potendo contare su strutture organizzative a volte non del tutto commisurate, anche sul piano quantitativo, allo sforzo richiesto rispetto ad altre operazioni o organizzazioni che operano nelle stesse aree (in primis le Nazioni Unite).

La Military Planning and Conduct Capability (MPCC), creata nel 2017 nel quadro della Global Strategy, nasce appunto con l’intento di dar vita a una “struttura” in grado di meglio gestire le Missioni europee fornendo loro un quartier generale dedicato per far fronte alle esigenze del livello strategico a Bruxelles e consentendo così ai  Comandanti delle missioni addestrative di concentrarsi esclusivamente sui compiti sul terreno. L’MPCC oltre a rappresentare come detto una struttura per la gestione delle missioni adestrative europee, offre anche una maggiore possibilità di sviluppare le attività di cooperazione con altri attori sul campo come le Nazioni Unite e l’Unione africana, cosa che i Force Commander della missione non sono attualmente in grado di fare a causa dello staff limitato a loro disposizione. Tale progetto prevede, infine, di espandere le citate funzioni dell’MPCC per metterlo anche in condizioni di pianificare e condurre minori operazioni Executive e assicurare maggiori sinergie con le missioni civili europee».

  • Lo strumento del Military Planning and Conduct Capability, che attualmente consente il coordinamento di alcune missioni di addestramento, entro il 2020 dovrebbe permettere anche una maggiore integrazione delle risorse per la gestione delle operazioni e missioni militari dell’Ue. I progressi verso una dimensione comune della difesa in ambito europeo sono stati sempre timidi storicamente a causa della perplessità di alcuni Stati Membri, e del timore di duplicare i compiti e le funzioni della NATO. Esiste secondo lei un modo di far capire l’importanza di una Difesa europea che rafforzi e non indebolisca l’Alleanza Atlantica?

«Come noto, la relazione tra l’Ue e la NATO sta vivendo una fase di rinnovato attivismo, a seguito delle dichiarazioni congiunte, datate rispettivamente a luglio 2016 e luglio 2018 e volte entrambe a rafforzare tale cooperazione al fine di promuovere la pace e la stabilità nell’area euro-atlantica e migliorare la sicurezza dei nostri cittadini. Il legame tra Ue e NATO è evidente: 22 su 28 Paesi (29 per la NATO) appartengono ad entrambe le organizzazioni.

Non vi è alcuna contraddizione tra l’appartenenza alla NATO e la dimensione militare dell’Ue ma piuttosto una complementarità di fondo tra le due organizzazioni. Non si tratta di un cosìddetto “gioco a somma zero”, in cui mettere più risorse per sviluppare la dimensione di sicurezza e difesa all’interno dell’Ue significa allontanarle dalla NATO, bensì di una win-win situation, vantaggiosa quindi per entrambe le Organizzazioni. Il rafforzamento del pilastro europeo è, infatti,  anche un chiaro obiettivo strategico per la NATO stessa e una richiesta specifica da parte degli Stati Uniti.

Sia la NATO sia l’Ue affrontano minacce comuni e solo cooperando in modo complementare possono affrontare efficacemente le crisi. Ritengo necessario fornire, a questo punto,  alcuni chiarimenti sulla nozione di “Autonomia Strategica” altro importante concetto che deriva dalla Global Strategy e che può creare percezioni errate e causare inutili controversie. L’Autonomia Strategica non dovrebbe essere vista come un’autonomia “daqualcuno o qualcosa – come ad esempio dalla NATO – ma piuttosto come autonomia perfarequalcosa. Per agire coerentemente con gli impegni derivanti dalla Global Strategy, l’Ue deve assumersi maggiori responsabilità e quindi deve disporre di una maggiore capacità autonoma per condurre un’ampia gamma di operazioni militari, con i partner quando e dove possibile ma anche da soli, se necessario».

  • Un tema molto sentito dalle forze armate europee e più volte da lei sottolineato è quello dello sviluppo tecnologico della Difesa. Gli Stati europei investono spesso in modo inefficiente quando presi singolarmente, ma anche quando essi cooperano in programmi bilaterali o multilaterali i risultati non sono sempre eccellenti (si pensi ai problemi e ai ritardi che ha incontrato l’OCCAR con l’Airbus A400 M). Lei pensa che il Fondo europeo per la Difesa possa essere una soluzione? In quali settori l’Ue dovrebbe investire per eguagliare tecnologicamente Russia e Stati Uniti?

«Dati alla mano, la somma dei budget che i Paesi membri dell’Ue destinano alla difesa è piuttosto importante, seconda solo a quella degli USA [in base ai dati ufficiali relativi alla spesa militare per l’anno 2017, con 214 miliardi di euro (https://www.eda.europa.eu/info-hub/publications/publication-details/pub/defence-data-2016-2017) i 27 Paesi membri dell’Ue che partecipano all’European Defence Agency (EDA, dunque tutti ad eccezione della Danimarca) si collocano subito dopo gli Stati Uniti (610 miliardi di dollari) e subito prima della CINA, sebbene nelle statistiche ufficiali per singola nazione quest’utlima risulti seconda con 228 miliardi di dollari (Dati World Bank – https://data.worldbank.org/indicator/MS.MIL.XPND.CD?locations=US)].

Tuttavia, l’output finale correlato a tale budget complessivo, risente della frammentazione del mercato europeo della difesa, di una evidente duplicazione delle capacità militari, di una insufficiente collaborazione industriale e, a volte, della mancanza di interoperabilità. Per affrontare queste problematiche la Commissione europea ha presentato nel 2016  ilPiano d’Azione europeoin materia di difesa (European Defence Action PlanEDAP) che definisce le misure necessarie per conseguire una maggiore cooperazione europea in materia di difesa e sostenere la competitività dell’industria europea della difesa.

Tale piano si prefigge l’obiettivo di promuovere l’efficienza in termini di costi della spesa nel settore della difesa, rafforzare la cooperazione in materia di difesa e costruire una base industriale più solida attraverso tre azioni principali: l’istituzione del citato Fondo europeo per la Difesa (European Defence Fund – EDF), la promozione degli investimenti nell’industria della difesa, il rafforzamento del mercato unico della difesa. Il Fondo europeo per la Difesa ha lo scopo di fornire un sostegno finanziario, sia alle attività nel campo della ricerca che a quelle più direttamente finalizzate all’acquisizione di attrezzature e tecnologie militari. A tale scopo, esso è composto da due “finestre” giuridicamente distinte ma complementari, rispettivamente incentrate sui settori della ricerca e dello sviluppo capacitivo.

Si prevede che i risultati possano intensificare ulteriormente la cooperazione europea nel campo della difesa nel settore della ricerca e dello sviluppo. Dal 2020 in poi, la finestra di ricerca avrà un budget di 4,1 miliardi di euro per finanziare direttamente progetti di ricerca competitivi e collaborativi. La finestra capacitiva è attualmente supportata dal nuovo Programma europeo di sviluppo industriale per la difesa (European Defence Industrial Development ProgrammeEDIDP) per finanziare lo sviluppo congiunto di sistemi militari. Secondo l’EDIDP, un fondo di 500 milioni di euro dovrebbe essere stanziato dal bilancio Ue per il 2019-20 per contribuire al cofinanziamento dello sviluppo congiunto di nuovi prodotti e tecnologie avanzate.

Dopo il 2020, la finestra delle capacità disporrà di un bilancio di 8,9 miliardi di euro per integrare gli investimenti degli Stati membri. La Commissione europea ha recentemente concordato il proprio programma di lavoro 2019-2020 sull’EDIDP, mentre è in corso di definizione la proposta di regolamento che istituisce il suddetto Fondo europeo per la Difesa. Dopo l’entrata in vigore, a partire dal 2021 l’EDF sarà quindi in grado di fornire supporto finanziario ai settori della ricerca e dello sviluppo capacitivo con un budget complessivo di 13 miliardi di euro. Tali strumenti finanziari saranno certamente fondamentali per contribuire allo sviluppo delle capacità militari, a cominciare da quelle che sono state individuate quali prioritarie rispetto agli interventi e alle missioni che la componente militare è chiamata ad assicurare nel presente come nel futuro, coerentemente con il livello di ambizione espresso dalla Global Strategy».

 

Federico Castiglioni

Foto © Difesa, Eu Defence Agency, AEG

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