Ursula Biemann e Paulo Tavares indagano sullo sfruttamento della foresta pluviale in Ecuador, un ecosistema prezioso per i popoli nativi, ma anche per noi
L’emergenza Coronavirus, che ha catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale negli ultimi tre mesi, ha relegato in secondo piano un’altra priorità altrettanto grave: la questione ambientale. La conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop-26, era in agenda per novembre prossimo a Glasgow, ma è stata rimandata al 2021. Anche l’ambizioso Green Deal europeo si trova a fare i conti con le economie del continente martoriate dalla pandemia.
In questo scenario, è importante non perdere di vista l’importanza di un’azione urgente a salvaguardia del pianeta. Ben venga, quindi, l’uscita di un libro come Forest Law – Foresta Giuridica, in libreria e in e-book dal 21 maggio prossimo, in edizione bilingue italiana e inglese, con un interessante corredo fotografico. Si tratta di un saggio atipico, nato da un progetto dell’artista e scrittrice svizzera Ursula Biemann e dell’architetto e urbanista brasiliano Paulo Tavares, che nel 2013 hanno viaggiato in Amazzonia Occidentale – una delle regioni più ricche di biodiversità del pianeta – incontrando popolazioni indigene, giuristi, scienziati. Di fronte al surriscaldamento globale, l’Amazzonia dovrebbe essere custodita come un tesoro: è una delle poche aree di foresta pluviale al mondo, capace di incidere sul clima e di fornirci il 20% dell’ossigeno che respiriamo. Proteggere l’Amazzonia significa investire sul nostro futuro.
Invece, la deforestazione – soprattutto nel Brasile di Bolsonaro – è proseguita senza sosta anche durante il lockdown, godendo peraltro di maggiore impunità. Lo sfruttamento irresponsabile e la distruzione di questo patrimonio, però, non è solo prerogativa brasiliana. Il polmone verde è suddiviso fra nove Paesi e le risorse amazzoniche fanno gola a tutti. Petrolio, gas, minerali preziosi e legname pregiato attirano multinazionali da ogni parte del mondo. Sui terreni disboscati, si avviano coltivazioni estensive, spesso destinate a essere fallimentari. La terra d’Amazzonia si inaridisce rapidamente e dopo qualche tempo occorre distruggere altra foresta.
Biemann e Tavares si muovono nell’Amazzonia appartenente all’Ecuador. Dopo anni di dittatura militare e una sanguinosa guerra con il Perù per la definizione dei confini proprio nell’area amazzonica, l’Ecuador nel 2008 si è dotato di una nuova Costituzione che riconosce il diritto della natura, la Pachamama, al rispetto della sua esistenza e conferisce a ogni persona, comunità, popolo o nazionalità il diritto di pretendere, di fronte alla legge, l’osservanza dei diritti della natura. È solo un primo passo, non risolutivo, purtroppo.
L’Ecuador, come altri Paesi della regione, hanno forti interessi economici in gioco. Da una parte, c’è la logica del denaro e della ricchezza. Dall’altra, ci sono i popoli indigeni che da millenni vivono in sapiente equilibrio con la foresta pluviale, fonte di acqua, cibo e piante curative. Per loro è la “foresta vivente”, come è stata definita da un esponente del popolo Kichwa di Sarayaku, un luogo dove la vita degli umani è in stretta relazione con tutti gli altri esseri viventi. Dal 1992, gli abitanti di Sarayaku hanno la legittima proprietà collettiva della loro terra. Ma la legge sostiene che il loro diritto si limita alla superficie, mentre il sottosuolo rimane di proprietà dello Stato ecuadoregno. Quest’ultimo, nel tempo, ha autorizzato compagnie petrolifere e minerarie a entrare, disboscare o usare esplosivi per le loro prospezioni, danneggiando irreparabilmente l’ambiente. Biemann e Tavares raccontano come l’americana Texaco (oggi Chevron) “nel corso di 26 anni di attività ha intenzionalmente scaricato miliardi di litri di rifiuti tossici nei terreni e nei corsi d’acqua dell’Amazzonia (…) portando malattie e morte agli indigeni e alle comunità contadine”. Ma non è l’unico esempio: il libro ne racchiude numerosi.
Distruggendo l’Amazzonia non solo si danneggiano le 370 nazioni indigene che vi abitano, ma ci priviamo anche di un patrimonio botanico ancora in buona parte sconosciuto, che potrebbe fornirci principi attivi per la realizzazione di nuovi farmaci. Quanto al riscaldamento globale, «l’Amazzonia funziona come una gigantesca fabbrica d’acqua e un regolatore del clima globale, riciclando enormi quantità di umidità» che vanno «a disperdere il calore atmosferico e a rinfrescare il sistema terrestre», scrivono gli autori.
Di tutto questo dovremmo ricordarci quando sentiamo parlare di leader indigeni uccisi in Amazzonia (l’ultimo, il 31 marzo scorso) e di deforestazione. Ogni “guardiano della foresta” assassinato e ogni albero abbattuto ci riguardano. Il libro Foresta Giuridica, portandoci in terre lontane, finisce per parlarci di problemi vicini anche a noi, molto più di quanto possiamo credere.
Maria Tatsos
Foto: © Wikipedia
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Ursula Biemann e Paulo Tavares
Forest Law – Foresta Giuridica
Traduzione di Alice Guareschi
Nottetempo, collana Terra
pp.144, € 18
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