Andrès Aguyar e la Repubblica romana del 1849: sul colle del Gianicolo manca l’afro-uruguayano che salvò la vita più volte a Garibaldi

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Tante associazioni inviano una richiesta alla sindaca Virginia Raggi per la realizzazione del busto

Il 1849 fu uno degli anni fondamentali per il Risorgimento, portò alla formazione di un’Italia unita, libera e indipendente. A Roma, sotto la spinta di moti popolari che chiedevano libertà e democrazia, crollò il regime pontificio, e il Papa Pio IX fuggì a Gaeta. Il 9 febbraio 1849 un’Assemblea eletta con suffragio universale proclamò la Repubblica, e il mese successivo ne affidò la guida a un Triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Come bandiera, la Repubblica adottò il tricolore. Da Gaeta il Papa invocava l’intervento delle potenze europee per restaurare il potere temporale. Francia, Austria, Spagna e Regno delle Due Sicilie, Paesi cattolici, attaccarono il territorio della Repubblica da più parti. Un corpo di spedizione francese forte di 7.000 uomini guidato dal generale Nicolas Charles Victor Oudinot sbarcò a Civitavecchia. Tanti giovani arrivarono a Roma da ogni luogo per difendere la neonata Repubblica, speranza e faro di libertà. Tutto andava conquistato passo dopo passo, infatti molti lasciarono il loro sangue sul colle del Gianicolo nel vano tentativo di difenderla. Li ritroviamo ricordati e rappresentati su busti marmorei nel “Parco della Rimembranza” al Gianicolo.

Tra tutti i busti presenti manca quello di Andrès Aguyar, l’afro-uruguayano di statura imponente. Nato a Montevideo da una famiglia di schiavi deportati dall’Africa, rimase tale fino all’abolizione della schiavitù, nel 1842. In quegli anni Giuseppe Garibaldi combatté in Uruguay a sostegno della fazione dei Colorados e contro i conservatori Blancos. Nel corso dell’assedio di Montevideo, ebbe ai suoi ordini un gruppo di combattenti costituito da circa 5.000 ex schiavi, fra i quali c’era Aguyar. Il gigante nero si affezionò all’eroe dei due mondi e lo seguì quando quest’ultimo ritornò in Europa nel 1848. In quell’occasione conobbe Andrea, che lo seguì in Italia entrando a far parte dell’esercito garibaldino. Aguyar partecipò a diverse vittorie della prima guerra di indipendenza, difesa con coraggio e impegno. Nella battaglia di Velletri contro i soldati borbonici del Regno delle Due Sicilie, Aguyar salvò più volte Garibaldi. L’ eroe dei due mondi era su una collina, in una vigna, e vide che i suoi soldati arretravano. Impetuoso come sempre, spronò il cavallo per arrivare subito in mezzo alla mischia a incitare i suoi, ma il cavallo, costretto a scendere troppo rapidamente sul pendio, inciampò, lo sbalzò di sella e gli cadde addosso. I borboni pensavano che in quel contesto fosse una facile preda, ma ecco spuntare dal nulla l’Ercole nero che li terrorizzò. Ironia della sorte, Aguyar, era circondato da un nugolo di minuscoli ragazzini armati fino ai denti: la cosiddetta “brigata dei monelli” formata da piccolissimi patrioti, fra i 12 e i 16 anni. Questo gruppetto di nanetti indemoniati capitanati da un gigante nero con gli occhi di fuoco fecero a pezzi gli esterrefatti e smarriti soldati borbonici e salvarono la vita al loro generale.

Il 30 giugno 1849 Aguyar, promosso tenente da Garibaldi, venne mortalmente ferito dalle schegge di una granata francese vicino alla basilica di Santa Maria in Trastevere. Morì nell’ospedale di Santa Maria della Scala, accanto a Luciano Manara e a Goffredo Mameli. Aveva sì e no trent’anni. Secondo alcuni, prima di esalare l’ultimo respiro, avrebbe mormorato: «Lunga vita alle Repubbliche di America e Roma». Vecchi garibaldini come Hofstetter rievocarono la sensazione e l’empatia che Aguyar suscitava e trasmetteva in combattimento: «C’era una voce che correva tra quei superstiziosi soldati, che quel negro enorme tutto vestito di rosso, che caricava come se nessuno potesse ferirlo» – la lancia in una mano e il coltello nell’altra – «come un essere invulnerabile, fosse l’incarnazione del demonio».

Aguyar fu ritratto da diversi pittori e vignettisti, una sua fotografia si trova presso la Civica Raccolta delle Stampe a Milano e un’altra presso l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano a Roma. Un pittore olandese lo descrisse così: «Aguyar, un Ercole di colore ebano, in groppa a un cavallo nero come il volto del padrone luccicante nel sole, faceva pensare a un’ombra giacché stava sempre accanto al generale, il cui viso e i capelli chiari e lo stallone bianco contrastavano con le tinta scure dalla sua ordinanza». Diventò famoso anche a livello internazionale all’epoca della Repubblica Romana. Molti giornalisti infatti descrissero il “negro di Garibaldi” con ammirazione e simpatia. Cesare Pascarella, poeta e pittore italiano scrisse in romanesco con ammirazione: «appena ar primo razzo de mitraja, lo vedevi, strillanno, che correva co’ la lancia framezzo a la battaja».

La città di Roma dopo centosettantuno anni non può attendere ancora per onorare l’unico nero morto per difenderla, queste le motivazioni degli attivisti di: Black Lives Matter Roma, Aurelio in Comune, Laboratorio di Quartiere S.Pietro Cavalleggeri, Nibi – Neri Italiani Black Italians e Associazione Garibaldini dell’Italia, da queste motivazioni emerge la richiesta alla sindaca di Roma, Virginia Raggi, di realizzare il busto marmoreo. Per questi motivi è stata lanciata una petizione. La grave mancanza delle Istituzioni che negli anni si sono occupati di posizionare e restaurare i busti, potrà colmarsi solo con la realizzazione e installazione della statua marmorea di Andrès Aguyar, per aver difeso una delle più belle costituzioni al mondo, la Costituzione della Repubblica Romana, che ha dato solide basi alla Costituzione italiana del 1948.

 

Giorgio De Santis

Foto © The parallel vision, visitare Roma, scenari globali, Giorgio De Santis
Video © Eurocomunicazione

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