Al San Filippo Neri di Roma l’odontoiatria è… speciale

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Dott.ssa Federica Quartullo e Dott. Gian Luca Mascolo, Odontoiatria speciale San Filippo Neri

Un servizio tra gli unici in Italia, rivolto ai pazienti con disabilità e non collaboranti

Presso l’ospedale San Filippo Neri di Roma è operativo dal 2004 – dalla sua attivazione su iniziativa del Dott. Gian Luca Mascolo sotto la direzione del Prof. Alessandro Nisii, primario del Dipartimento di chirurgia Maxillo Facciale – il «Servizio di odontoiatria speciale per pazienti con disabilità e non collaboranti»: vale a dire un servizio rivolto a quella tipologia di pazienti che, per fragilità, vulnerabilità sanitaria o disabilità psichica, fisica o sensoriale, anche temporanea, non sono in grado di collaborare alla prestazione sanitaria e odontoiatrica.

Progetto «Smile house»

Nel corso del tempo avviene l’integrazione del Servizio nell’ambito delle attività dell’Unità Operativa Complessa di Chriurgia Maxillo-Facciale, diretta dal Prof. Domenico Scopelliti, nell’ambito del progetto «Smile House», nato da una partnership tra l’ospedale e la fondazione «Operation Smile Italia Onlus», attiva sin dal 2000 nel Belpaese e che quest’anno festeggia il suo ventennale, ma con pregresse missioni mediche internazionali e oltre 40 anni di attività alle spalle.

«Operation Smile», come ha raccontato a Eurocomunicazione il Prof. Scopelliti, «ha nel tempo creato e consolidato una rete di assistenza dei centri di eccellenza per le malformazioni che vanno dall’età pediatrica sino alla fine dello sviluppo, con un approccio multidisciplinare: non si tratta solamente di un percorso chirurgico, ma il bambino che cresce ha bisogno dell’ortodonzia, della logopedia, dell’otorinolaringoiatria, degli impianti, sino alla fine della crescita». La patologia trattata è asseverata alla classe delle disabilità, rientrando dunque in questa categoria ed essendo classificata come tale anche sotto il profilo dell’esenzione.il Progetto «Smile house»

Il Servizio di odontoiatria speciale per pazienti con disabilità e non collaboranti rappresenta un esempio unico in Italia, insieme all’Azienda Ospedaliera Universitaria «Ferrarotto – Santo Bambino» di Catania. Le sedute odontoiatriche in anestesia generale vengono sfruttate anche per rispondere ad altre esigenze di questi pazienti, consentendo di effettuare prestazioni mediche altrimenti non eseguibili. Durante questi interventi possono alternarsi vari specialisti (otorinolaringoiatra, chirurgo generale, gastroscopista, urologo, ginecologo, endoscopista, radiologo, ecografista, ecc.).

I pazienti disabili non collaboranti rappresentano una fascia di popolazione molto consistente nel nostro Paese, che purtroppo, per la complessità nelle modalità di intervento, o per la carenza di strutture e servizi dedicati al trattamento di questi particolari casi clinici complessi, resta di fatto «tagliata fuori» dalle possibilità di accesso alle cure odontoiatriche e dai protocolli di prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale. Scopo dell’odontoiatria speciale, è proprio consentire a questa tipologia di paziente di essere curato, compatibilmente con il quadro clinico e il grado di collaborazione, in maniera paragonabile, per efficacia e qualità, al resto della popolazione.

L’équipe del San Filippo Neri

Le criticità sono spesso connesse alle difficoltà di trattamento: il paziente con grave ritardo mentale non comunica il dolore secondo schemi consueti, ma spesso con improvvisi cambiamenti d’umore, irritabilità, aggressività rivolta verso sé e verso il prossimo. Comportamenti spesso interpretati dai familiari o dai caregiver come un peggioramento della malattia, e affrontati con incremento della terapia farmacologica: il Servizio di Odontoiatria speciale del San Filippo Neri, al contrario, è basato su un metodo completamente differente. A partire dall’approccio: è infatti applicato il cosiddetto «D-Termined Program», dal nome del suo ideatore, il Dott. David Tesini: un programma di apprendimento di competenze incrementali che, attraverso visite settimanali, permette al paziente scarsamente collaborante di accettare inizialmente le visite e successivamente, i trattamenti odontoiatrici meno invasivi.

Di tutto questo Eurocomunicazione ha parlato con il Dott. Gian Luca Mascolo, che ha progettato e istituito tale servizio nel 2004 e da allora a tutt’oggi si occupa, oltre che dell’attività ambulatoriale, anche delle visite, della pre-ospedalizzazione, del ricovero e degli interventi in anestesia generale di questi pazienti, avendo cura di coordinare anche gli interventi di altri specialisti.

Qual è l’origine di questo progetto? C’è stato qualche evento in particolare che lo ha indotto ad intraprendere questo percorso?

«Nessun evento in particolare. Essendo venuto a conoscenza di questo ambito, che prima non conoscevo e nel quale dunque non esercitavo, mi sono reso conto dei numeri della disabilità, che sono altissimi, e non ci si pensa mai: basti pensare che mediamente, su 70 bambini, 1 è autistico, per non parlare dei pazienti con sindrome di Down, eccetera. Le persone con disabilità in Italia sono 5 milioni.

Dal 1985 al 1987/1988 ho trattato dei pazienti spastici, che altri studi rifiutavano, perché il fatto di non riuscire a rimanere immobili comporta dei rischi, dei pericoli e delle difficoltà di trattamento: una turbina o un bisturi, in una bocca che si muove generano molta ansia nei dentisti, per cui si tende a non trattarli. E così cominciai a curarli. E poi mi è venuto in mente che questo si poteva fare in ospedale, con metodiche diverse, sfruttando l’anestesia generale. Dopodiché sono stato a un congresso, dove ho conosciuto dei colleghi di Catania, e mi è piaciuto così tanto ciò che avevano illustrato nella loro relazione che andai a trovarli due volte, in questo centro che poi di recente è stato ampliato e ingrandito, ed è tutt’ora gestito da queste due persone, Marco Terranova e Riccardo Spampinato. E sulla base della loro esperienza, che mi impressionò notevolmente, dissi: “se è così utile, noi lo possiamo proporre anche a Roma”».

Ed effettivamente, fu così semplice?

«In realtà no, non fu così semplice. È semplice eseguire il trattamento, ma non è semplice la gestione della burocrazia, la progettazione di tutto il piano sanitario, trovare la collaborazione della direzione sanitaria, considerando la presenza di molteplici rischi in questa tipologia di intervento: mettiamo il caso di un paziente con malformazioni, cardiache o polmonari, dunque a rischio anestesiologico, o le difficoltà farmacologiche legate ai farmaci che già i pazienti assumono. Però dall’altro lato, non affrontare alcune tipologie di pazienti espone gli stessi al rischio di sepsi, infezioni croniche non trattate, senza pensare che sono pazienti che soffrono moltissimo.  Noi ci siamo dimenticati che cos’è il mal di denti, perché abbiamo l’antibiotico, abbiamo l’analgesico, lo comunichiamo. Ma loro non possono esprimersi, dunque non lo dicono. Questo è stato lo stimolo per cominciare. Poco nel 2004, e a pieno regime dal 2005. All’inizio fu il professor Alessandro Nisii, primario della chirurgia Maxillofacciale, che prese a cuore questo aspetto, sfondando i muri e spianandomi la strada».

Quanti pazienti riuscite a curare in un anno?

«Circa 45, perché attualmente possiamo trattare un solo paziente a settimana, sebbene ottimizzando spazi, risorse e disponibilità della sala operatoria, dei colleghi anestesisti, del personale in sala operatoria, e avendo l’autorizzazione da parte della gestione manageriale, potremmo farlo anche tutti i giorni o comunque trattare almeno due o tre pazienti a settimana. Le liste d’attesa sono di circa 100 pazienti l’anno e siamo l’unica struttura in tutto il Lazio, e comunque una delle poche in Italia, ad adoperare questo approccio terapeutico che va oltre la cura meramente odontoiatrica ma cerca di offrire un servizio il più completo possibile in risposta alle necessità di ogni singolo paziente, anche con la collaborazione di altri specialisti e coordinando altri interventi nella stessa seduta».

Qual è la reazione del paziente e dei familiari, dopo il trattamento?

«La prima reazione è gratitudine, perché spesso sono pazienti che sono stati rifiutati da altre strutture e che non avevano trovato una strada. Poi c’è lo stupore per il comportamento del paziente che cambia. Pensi che spesso i familiari del paziente chiedono se l’anestesia rilasci i propri effetti per le settimane successive, dal momento che la persona non si agita più, non si picchia più, non sbatte la testa al muro… il punto è che il paziente prima aveva dolore, e adesso non più, pertanto tutto ciò è normale. E uno degli effetti più importanti di questo metodo di cura del paziente non collaborante è proprio la diminuzione dei farmaci, perché un atteggiamento più aggressivo viene affrontato generalmente con la terapia farmacologica, e dunque i pazienti vengono sedati di più, invece non essendoci il dolore, non c’è più la necessità di una sedazione farmacologica così spinta».

Piccoli miracoli, insomma.

«Basta descrivere questo tipo di attività per capirne l’importanza. La cosa che secondo me va sottolineata è che è possibile trattare parte di questi pazienti, non tutti, ma in buona parte, anche alla poltrona, insegnare questo metodo ai genitori o a chi si occupa di loro negli istituti in cui vivono, significa poter lavare i denti. E lavare i denti significa non avere più perdite di denti né dolore. Una volta si facevano eccezionalmente questi interventi nei vari reparti di chirurgia maxillofacciale perché veniva qualche mamma disperata, si metteva la mano sulla coscienza, e così si toglievano tutti i denti. È questo il motivo per cui è frequente incontrare persone disabili di una certa età completamente sdentate, soprattutto perché si faceva questa operazione che viene definita “di bonifica” della bocca, cioè si toglievano tutti i denti in modo che non si infettassero più».

Una soluzione drastica…

«Soluzione drastica, e in un certo modo, per così dire, risolutiva, ma che non dà un pieno stato di salute. Il nostro approccio è invece teso ad abbandonare un trattamento esclusivamente demolitivo, per proporre una odontoiatria riabilitativa. Se infatti si insegna a chi si occupa di queste persone che i denti si possono lavare, che questi pazienti possono venire in studio ogni due mesi, tre mesi in studio, e cominciano ad accettare il fatto che qualcuno lavori nella loro bocca, gli tolga il tartaro, li ripulisca ecc., avranno un atteggiamento meno riluttante, per cui si fanno lavare tutti i giorni i denti a casa. Con importanti vantaggi. Vantaggio numero 1: patologia dentale fortemente ridotta; vantaggio numero 2: facendo dei controlli frequenti (e soprattutto potendo fare i controlli, perché inizialmente non aprono la bocca, bisogna forzarla, ecc.), se c’è una carie si interviene subito, non si arriva all’ascesso, al rischio setticemia, al dolore, al comportamento aggressivo ecc.; quindi, un miglioramento della qualità di vita non indifferente».

Inoltre, il vostro metodo tende a conciliare nella stessa seduta anche altri interventi eventualmente necessari nel corso dell’anestesia, è corretto?

«Si, nel corso di questa seduta, con un’unica anestesia, noi facciamo la gastroscopia, se serve, o molto di frequente l’intervento dell’otorino: i tappi di cerume che non vengono tolti, a volte si calcificano e possono provocare dolorose otiti; si eseguono le ecografie, cerchiamo di offrire un servizio il più completo possibile in risposta alle necessità dell’individuo. E questo sempre a costo zero, perché è sempre personale dell’ospedale che semplicemente, su appuntamento, durante l’anestesia, arriva con il carrellino con l’ecografo portatile e fa l’ecografia, oppure arriva il collega otorino che fa l’ispezione orecchio, naso e gola, ecc. ecc.».

Quali sono le necessità di ordine pratico e cosa si potrebbe fare per far funzionare al meglio questo servizio?

«Per ottenere un approccio multidisciplinare agli interventi odontoiatrici sui pazienti non collaboranti, si rende però necessario formare degli odontoiatri che si occupino della disabilità a 360°, in quanto l’operatore odontoiatra deve essere esperto di tutte le tecniche operative odontoiatriche modificate in base alla patologia di fondo. Deve essere in grado di interfacciarsi con gli specialisti che costituiscono l’equipe operatoria; deve conoscere gli aspetti non odontoiatrici delle patologie di base e infine, deve poter gestire i rapporti con famiglie, associazioni, specialisti neuropsichiatri, medici di medicina generale, che abitualmente seguono questi pazienti. In altre parole, mentre il mondo odontoiatrico moderno prevede che ci sia una diffusa super-specializzazione, bisogna formare odontoiatri che siano in grado di diagnosticare e risolvere ogni tipo di patologia orale, poiché non è possibile sospendere le sedute operatorie per delegare un trattamento ad altro superspecialista.

Sarebbe auspicabile integrare l’attività attualmente svolta in anestesia generale in regime di ricovero ordinario con un servizio di odontoiatria ambulatoriale in sedazione, in modo da offrire un ulteriore e più agile ventaglio di possibilità terapeutiche ai pazienti poco o non collaboranti, che costituiscono la fascia più debole della popolazione.

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Francesca Agostino
Esperto tecnico-legislativo, con pregressa e pluriennale esperienza maturata in ambito parlamentare a supporto dell’attività legislativa di commissioni e gruppi parlamentari di Camera e Senato. Esperienze pregresse in ambito legale maturate presso l’ufficio giuridico dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e la Direzione Affari legali di ENI SpA. Doppia laurea (Scienze Politiche e Giurisprudenza), collabora con enti territoriali a processi di innovazione turistica del Sud Italia. Critico d'arte e letterario, ha ideato e diretto per 6 anni il festival letterario "San Giorgio. Una rosa, un libro". Fondatrice di "Network Mediterraneo", comitato promotore della candidatura del Tramonto sullo Stromboli come patrimonio dell'Umanità, che ha raccolto l'adesione di 18 comuni calabresi e del Consiglio Regionale della Calabria.

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