Brexit, i costi amministrativi e di consegna pesano sul commercio con l’Ue

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Brexit

Se le aziende non riusciranno a ottimizzare le risorse per abbattere il sovraccarico tributario, si rischia una drastica riduzione dell’import/export

In un periodo già difficile per le imprese, la Brexit rischia di aggiungere un ulteriore peso al commercio tra Regno Unito e Unione europea. Nonostante gli accordi sulla separazione non prevedano dazi, le merci sono aggravate da tasse e costi amministrativi alla dogana.

Molti disagi

I disagi non sono da sottovalutare. Molti beni prodotti in Gran Bretagna, destinati al mercato europeo ma che devono essere riconsegnati in patria, sono di fatto bloccati. Alle aziende, infatti, conviene perderli piuttosto che accollarsi i costi per il recupero.

Costi addizionali

Lo conferma anche Adam Mansell, presidente della UK Fashion & Textile Association (UKFT), associazione britannica che si occupa di moda e tessile. «Se sei in Germania», fa un esempio alla BBC, «e compri beni dal Regno Unito, da cliente tedesco stai importando verso l’Ue. La compagnia di spedizioni dovrà aggiungere una voce di spesa da pagare alla consegna».

Non conviene recuperare la merce

Questo porterà al respingimento di molti beni da parte di acquirenti che si rifiuteranno di pagare questi costi addizionali. Ed è qui che si crea il corto circuito, visto che, come già detto, alle case di produzione non conviene recuperare la merce.

Adeguamento dell’IVA

Servizi di spedizione internazionale come FedEx o TNT hanno già confermato l’addebito di costi aggiuntivi per le consegne tra Regno Unito e Ue. Questo per adattarsi all’adeguamento dell’IVA comandato dall’HM Revenue and Customs, il dipartimento non ministeriale britannico responsabile per la riscossione delle imposte.

L’Imposta sul valore aggiunto

Con le nuove leggi, in vigore da inizio 2021, l’IVA verrà riscossa già dal Paese di produzione e non più solo a destinazione.

Il Governo ha spiegato che il nuovo modello assicura che i beni europei ed extraeuropei siano trattati uniformemente e che le aziende britanniche non siano sfavorite nella competizione con le importazioni esenti da IVA. Molte aziende sono già registrate per il calcolo dell’IVA britannica e «l’HMRC sta lavorando a stretto contatto con quelle che ancora non l’hanno fatto, per assicurare che possano attenersi ai cambiamenti» della Brexit.

Novità da spiegare meglio

«È vitale che il governo chiarisca ai consumatori e ai commercianti il significato di queste novità», dichiara Adam French, esperto di diritto dei consumatori per Which?. «Dovrebbe anche garantire ai consumatori britannici l’accesso a una vasta gamma di beni di qualità e con un prezzo competitivo».

Il contrasto all’evasione

Richard Allen, fondatore dell’associazione di “Venditori contro gli abusi sull’IVA”, ha raccontato alla BBC come il massiccio aumento di acquisti online abbia finora portato a un’evasione su larga scala. «Le nuove regole dell’HMRC sono mirate al contrasto del fenomeno, ma non è chiaro come le aziende che non si sono registrate per l’IVA britannica debbano comportarsi in merito», né come avverranno effettivamente tutti i controlli.

Restituzioni

Secondo Statista, portale di analisi di mercato e consumo, le restituzioni verso il Regno Unito riguardano il 30% dei beni acquistati online. E quando questi arrivano nei depositi del continente, si aggiungono quelle tasse sull’import/export che rendono sconveniente il recupero anche per le aziende più grandi.

L’esempio delle case di moda

La BBC riporta che quattro delle maggiori case di moda stanno accumulando scorte tra Belgio, Germania e Irlanda e ognuna di loro dovrebbe accollarsi qualcosa come 20 mila sterline (oltre 22 mila euro) per recuperare la merce, dopo la Brexit.

E quello delle compagnie di corrieri e di trasporto navale

Le stesse compagnie di corrieri e di trasporto navale stanno affrontando forti ritardi nelle consegne, per vie delle nuove regole doganali. «Ora bisogna compilare documenti nel Paese di arrivo», spiega Shona Brown della Speedy Freight, «il corriere deve recarsi sia all’ufficio doganale di Dover che in quello del Paese europeo. In più bisogna aggiungere l’IVA, ci sono molti ostacoli da superare», lamenta la Brown. «Serve più manodopera, in un momento dove si lavora di più da casa».

La difficoltà per le piccole imprese

Alcune piccole imprese britanniche hanno interrotto l’esportazione, tra queste anche la Vildnis, nonostante un mercato in crescita nel settore della moda sostenibile. «Eravamo abituati a spedire la merce negli Stati Uniti», racconta la fondatrice Ulla Vitting Richards, «il che era già difficile, ma tutto ciò è pazzesco. Ogni giorno c’è un altro livello, ci siamo preparati alla Brexit per due anni, eppure non eravamo pronti per questo. È un peccato, perché in Europa c’è un alto interesse verso la moda sostenibile».

Il punto di vista dei consumatori

Oltre alle aziende, anche i consumatori stanno subendo disagi, tanti hanno inondato di messaggi le redazioni dei giornali per manifestare il disappunto.

Un esempio per tutti, Ellie, 26 anni di Londra, che si è vista recapitare una consegna da 180 sterline (circa 200 euro), su cui sono state aggiunte ben 58 sterline (65 euro) dalla compagnia di consegne PDP, per gli obblighi doganali. Non solo, dopo qualche giorno la UPS ha presentato una parcella, anch’essa del tutto inattesa, da 82 sterline (90 euro).

Commissioni bancarie

Gli acquirenti vedranno anche un forte aumento delle commissioni per le transazioni online. Chi compra con MasterCard, per esempio, anziché lo 0,2-0,3% a seconda che si usi una carta di credito o di debito, si salirà all’1.15-1.5%, un incremento superiore al 400%.

Come puntualizza il Financial Times, non sono rincari di cui beneficeranno la MasterCard o le società concorrenti, ma le banche e i provider delle carte. Veri vincitori della Brexit.

Non per l’Unione europea

Dal 2015 l’Ue aveva posto un tetto alle commissioni per lo Spazio economico europeo (EEA), le nuove tariffe saranno applicate agli acquisti online da compagnie con sede nell’EEA.

In una dichiarazione, MasterCard ha fatto sapere che si tratta del «risultato dell’uscita del Regno Unito dallo Spazio economico europeo» e che «MasterCard si adatterà ai tassi secondo l’impegno dato alla Commissione europea nel 2019. In pratica, solo i commercianti dell’EEA che vendono ai possessori di carta del Regno Unito vedranno questi cambiamenti».

Rincari dai rivenditori ai clienti

Tuttavia, le organizzazioni dei consumatori sono preoccupate che i rincari vengano in qualche modo passati dai rivenditori ai clienti, con prezzi più alti. Adam French commenta affermando che «il successo della Brexit sarà giudicato da come le vite saranno condizionate nella vita di tutti i giorni. Il Governo non può trascurare le questioni relative ai consumatori. I ministri devono fare un lavoro migliore per spiegare la varietà di nuove leggi e regolamenti»

Possibili soluzioni

Una risposta fornita dal Dipartimento per il Commercio Internazionale è stata quella di organizzare un centro di distribuzione sussidiaria in Europa, ma un po’ tutti devono ancora adattarsi alla nuova situazione. Non solo le aziende, anche trasportatori e agenti doganali. Il governo britannico ha incoraggiato le aziende meno esperte a nominare uno specialista per trattare a loro nome.

Per questo l’esecutivo sta cercando di immettere 80milioni di sterline per aumentare la disponibilità di agenti di commercio.

Alcune organizzazioni hanno mappato la loro catena di fornitura e identificato immediatamente gli aumenti tributari derivanti. La sfida sarà trovare modi più efficienti di vendita, come locazioni secondarie per ridurre i tempi di consegna e le imposte sul valore.

Dilazionamento delle spese

Altro accorgimento potrebbe essere il dilazionamento delle spese, anche se servirebbero garanzie bancarie che coprano immediatamente i costi.

Infine si è parlato dell’ottenimento dello status di Operatore Economico Autorizzato (AEO), riconosciuto a livello internazionale e sinonimo di affidabilità finanziaria. Per fare un esempio di vantaggi che comporterebbe, nel Regno Unito una compagnia certificata AEO non deve presentare garanzie bancarie per ottenere un differimento nei pagamenti.

Riflessi attuali sull’import britannico

Viste le difficoltà logistiche di muoversi rapidamente in questo senso, per le aziende europee diventa meno conveniente esportare verso il Regno Unito. Molte di queste hanno espresso il disappunto per le nuove misure, che aumentano costi e burocrazia. L’olandese Dutch Bike Bits, che produce componenti per biciclette, ha annunciato sul suo sito che interromperà il commercio con la Gran Bretagna, pur continuando ad esportare verso l’Ue.

Chi ha già abbandonato

Se tutti gli Stati facessero lo stesso, «avremmo 195 tariffe da pagare ogni anno per stare alla pari con le tassazioni di 195 Paesi, dovremmo tenere i conti con 195 Paesi e pagare 195 uffici tributari», continuano alla Dutch Bike Bites, «non è quello che avremmo voluto». Poi un appello ai cittadini britannici, «se siete anche voi arrabbiati, contattate il vostro rappresentante eletto».

E chi spera di non doverlo fare

Non è chiaro quante aziende interromperanno in maniera netta i rapporti commerciali con il Regno Unito. Sono diverse le aziende che sperano che queste misure possano essere aggiustate in corsa e che le relazioni economiche possano tornare presto a una “normalità” che comunque, dopo la Brexit, non sarà più possibile.

 

Raisa Ambros

Foto © Europeandatajournalism, UKFT, Wikipedia, Facebook

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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