Von der Leyen – Draghi, l’unione fa la forza. I 2 leader si fanno sentire

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Ai rispettivi Parlamenti i due capi carismatici, risoluti e a testa alta, portano avanti la loro linea nonostante tutto

I due esponenti di punta, europeo e italiano, tornano a far parlare di loro stessi come figure carismatiche e incisive. La coppia von der LeyenDraghi dimostra all’Europa e al Mondo, seppur su argomenti diversi, quanto la volontà di perseguire i propri obiettivi faccia la differenza.

Infatti, così come la maggioranza parlamentare ha tentato di interferire sul programma del premier italiano, Charles Michel ha di fatto contribuito a oscurare – insieme a Erdogan – la presidente della Commissione nell’ultima visita ad Ankara. Ma i due hanno risposto per le rime.

“Sofagate”

Ursula von der Leyen

A distanza di quasi un mese si parla ancora dell’ormai noto “Sofagate“. Questa volta, a fare scalpore, sono gli interventi della presidente della Commissione e del presidente del Consiglio europeo alla plenaria del Parlamento europeo. La von der Leyen esprime il suo rammarico per ciò che è accaduto lo scorso 6 aprile 2021. «Il trattamento che mi è stato riservato in Turchia è ingiustificabile. Devo concludere che è successo perché sono una donna. Mi sono sentita ferita come tale e come europea».

Nel suo discorso agli europarlamentari parla da donna e lo fa per essere ascoltata da tutte e da tutti. Ogni rappresentante del genere femminile potrebbe ritrovarsi nelle parole usate dalla presidente. «Quando sono nata alle donne in Europa era vietato avere un proprio conto bancario. Potevano essere licenziate senza accordo perché accusate di aver trascurato i doveri famiglia. Quando ero adolescente non potevano giocare a calcio. E quando è nato il mio primo figlio c’erano zone dove non c’era assistenza per crescerli e quando una donna cercava di conciliare famiglia e lavoro era accusata di essere una cattiva madre. Sono stati necessari secoli prima che la violenza domestica fosse affrontata sul piano penale. E questa è la storia dell’Europa. Sappiamo che in altre zone del Mondo la situazione è più difficile per le donne. Abbiamo percorso una lunga strada ma ne abbiamo ancora tanta da percorrere».

Continua con un piccato, ma giusto, riferimento a Michel: «Ringrazio il Parlamento per l’incoraggiamento e il sostegno. Io continuerò a battermi per la parità di diritti di tutte le persone. Continuerò in modo indefesso a battermi per un’Europa che parli all’unisono. Questo, Charles, è il nostro compito comune e lo gestiremo insieme. Ce la faremo, ne sono sicura».

La Convenzione di Istanbul

Da parte della presidente si evince perfettamente la preoccupazione per la Convenzione di Istanbul. E la volontà di provare a cambiare le cose. «Dal momento che c’è una situazione di stallo al Consiglio Ue» – relativamente all’adesione dell’Unione europea alla Convenzione – «entro fine anno presenteremo delle misure alternative, delle normative per combattere la violenza contro le donne e i minori online e offline».

«Inoltre proporremo di ampliare la lista dei reati perché si includano tutte le forme di incitazione all’odio. Il ritiro della Turchia, uno dei Paesi fondatori del Consiglio d’Europa (organizzazione, che ha sede a Strasburgo, fondata il 5/5/1949 da 10 Stati membri, tra cui l’Italia; la Turchia in realtà entro solo il 13/4/1950, divenendo il 13° Stato membro, ndr), dalla Convenzione di Istanbul è un segnale pessimo. Ma perché l’Ue sia credibile non deve solo criticare ma agire anche in casa: alcuni Stati membri non l’hanno ancora ratificata, altri stanno pensando di ritirarsi e questo è inaccettabile. Qualsiasi violenza contro le donne e i bambini è un reato. Vorrei che anche l’Ue aderisse alla Convenzione, questa resta una priorità per la mia presidenza».

Charles Michel

Ovviamente ritornano le scuse del presidente del Consiglio europeo. Il quale sembra essere veramente mortificato per la faccenda di Ankara. «Ho espresso pubblicamente diverse volte il mio rammarico per la situazione che si è venuta a creare. In primis nei confronti della presidente e poi di tutte quante si siano sentite offese». Dispiaciuto? Ne siamo proprio sicuri? Nel suo discorso Charles Michel usa tanti sinonimi per indicare le donne ma praticamente mai utilizza la parola stessa. Possibile che nessuna donna del suo staff ci abbia pensato?

La politica prima della donna

Continua, poi, con le giustificazioni al suo “non” gesto. «La squadra protocollare del Consiglio non ha avuto accesso alla sala della riunione prima dell’incontro. E la Commissione non ha inviato la propria squadra del protocollo. Quindi le nostre squadre non hanno avuto modo di accedere alla sala e alla disposizione delle sedie prima della riunione», ha spiegato.

Poi, dopo la riunione, Michel e von der Leyen si sono «impegnati a fare in modo che non succeda mai più in futuro». Ma lui si difende parlando esclusivamente di politica. «In quell’istante avevo deciso di non reagire ulteriormente per non creare un incidente diplomatico che avrebbe rovinato mesi di preparativi, sforzi politici e diplomatici. Sono convinto del fatto che nelle difficoltà si debba trovare la forza di cambiare per essere più determinanti e questa è una lezione per me. «Ursula (von der Leyen) potrà contare sulla mia determinazione per portare l’Europa nella giusta direzione sul tema dell’uguaglianza di genere. Perché c’è ancora lavoro da fare».

Piano nazionale di ripresa e resilienza

Mario Draghi

In vista della trasmissione alla Commissione europea del Piano nazionale di ripresa e resilienza il presidente del Consiglio ha spiegato alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica il piano da 248 miliardi di euro. Draghi ha ribadito come il Governo ha «un profondo rispetto per il Parlamento», ma «i tempi sono stretti» ed era necessario approvare il Pnrr «entro il 30 aprile, perché questo ci permette di avere accesso ai fondi europei il prima possibile». Insomma si fa come dice lui, anche se, in ogni caso, «il contributo delle Camere è solo all’inizio».

Il Recovery plan italiano

Il premier risponde, dunque, così alle critiche dell’opposizione che accusa l’esecutivo di avere dedicato poco tempo alla discussione parlamentare del documento. In vista del Consiglio dei ministri che mercoledì o giovedì licenzierà il testo che sarà mandato a Bruxelles, Draghi ritorna su molti dei rilievi sollevati ieri da deputati e senatori. A partire dalla cosidetta “governance” del recovery, cioé chi e come gestirà i fondi del piano. «Non c’è lo Stato contro gli Enti locali» – sottolinea – «questa sfida si vince insieme». Il governo del Piano, «sarà definito in un provvedimento normativo che sarà adottato a breve», annuncia il premier.

Critiche respinte al mittente

Quanto «alle critiche che sono arrivate circa le poche risorse ai giovani, le donne lavoratrici, il Sud e le infrastrutture digitali», Draghi risponde che «questo Piano prevede stanziamenti molto corposi, che permettono investimenti che sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fa». Ovvero «4,6 miliardi per gli asili nido e le scuole d’infanzia per creare circa 230.000 nuovi posti destinati ai bambini più piccoli, e si tratta di una stima prudenziale». 82 miliardi, cioè il 40% delle risorse per il Mezzogiorno, «ben più del Pil e della popolazione del meridione d’Italia».

Draghi replica con le cifre del Piano alle richieste dei parlamentari, assicura che 6,31 miliardi andranno per le reti ultraveloci, la banda larga e il 5G, «con l’obiettivo di portare entro il 2026 reti a banda ultralarga ovunque senza distinzioni territoriali ed economiche». Ci saranno i fondi sufficienti per la transizione ‘verde’, annuncia «investimenti per oltre 15 miliardi» sull’alta velocità, come per la linea Salerno-Reggio Calabria, «dove i treni potranno viaggiare a 300 km all’ora. Con questi investimenti, ci si metterà lo stesso tempo da Roma a Torino e da Roma a Reggio Calabria», mentre per gli interventi ferroviari al Nord «sono destinati 8,6 miliardi». E ancora 3,6 miliardi sullo sviluppo dell’idrogeno, «dato significativamente superiore ai 2 miliardi della Francia e all’1,6 miliardi della Spagna».

Gli scontri politici nella maggioranza non lo riguardano…

Sul superbonus, tema fra i tanti su cui si contrappongono le diverse anime del Governo, Draghi annuncia tronfio, sconfessando di fatto chi lo ha preceduto: «l’ecobonus tira poco perché le procedure sono troppo complesse. Entro il mese di maggio con un decreto interveniamo con importanti semplificazioni per far sì che la gente lo possa usare», raccogliendo pure un applauso dell’Aula. E infine torna sulle riforme che saranno richieste per dare piena attuazione al Piano e ricevere i fondi dall’Ue: dopo il passaggio dedicato ieri alla Giustizia e alla Pubblica amministrazione, il premier cita oggi quella del Fisco, «tra le azioni chiave per dare risposta alle debolezze strutturali del Paese. Per riformare il sistema fiscale è auspicabile una ampia condivisione politica. Il Governo si è impegnato a presentare una legge delega entro il 31 luglio 2021», conclude sparigliando tutto e tutti.

 

 

Ginevra Larosa

Foto © Ginevra Larosa, Politico.eu, Fondazione Pubblicità Progresso, The New York Times, The Guardian

Video © Eurocomunicazione

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