La stella cadente di Kamala Harris e della sua non politica

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Kamala Harris

Il 2022 è molto più vicino di quanto si possa pensare e davanti ad una sconfitta sarebbe la vittima politica da immolare per Biden

Kamala Harris, vice presidente degli Stati Uniti, classe 1964, è la prova che non basta aver fatto buoni studi nelle principali facoltà giuridiche di San Francisco, divenire una procuratrice e un avvocato per poi arrivare al prestigioso ruolo di procuratrice generale della California, aver intrecciato amicizie influenti per la propria carriera e sfruttare le proprie origini per essere accettata politicamente. Kamala è figlia di un indo-americano e di una giamaicana, un elemento che le ha certamente favorito il voto di quelle minoranze etniche che negli States sono ormai una forza consistente.

Speranze mal riposte?

Tutte queste attese politiche, però, bisogna tramutarle in un pensiero, nella capacità lavorativa e decisionale, insomma, essere affidabile nel suo ruolo istituzionale perché alla fine bisogna pur far vedere all’atto pratico quello che si sa fare, altrimenti dalle molte aspettative si può rotolare giù in poco tempo senza neanche accorgersene, come nel suo caso che, se non ci saranno cambiamenti effettivi, è avviata in tempo record su una china pericolosamente discendente.

Fin dagli inizi della sua carriera politica, Kamala ha suscitato l’interesse dei Dem e appena si è saputo della sua nomina come vice di Joe Biden, il consenso si è trasformato in vero entusiasmo.

Con lei la galassia progressista americana e internazionale, poteva finalmente dare un taglio agli anni “terribili” di Donald Trump.

L’attenzione mediatica

Subito dopo la vittoria elettorale, la donna si è trovata al centro dell’attenzione mediatica più del suo stesso capo, il presidente Usa.

Un po’ come per Barack Obama che, appena eletto presidente da pochi mesi, ebbe subito il riconoscimento del prestigioso Nobel per la Pace.

Forse, se avessero aspettato solo un anno e valutato come aveva condotto le famose “Primavere arabe”, può darsi che quel premio rimaneva a Stoccolma.

Parabola discendente?

Oggi per la intraprendente Kamala, dopo appena sette mesi dall’insediamento di John Biden, la sua stella, come accennato, è già in forte discesa proprio da parte di chi l’ha sostenuta fino all’altro ieri.

I soliti sondaggi la danno in caduta libera, la sua popolarità si attesta appena al 42% e un altro 50% le è assolutamente contrario, addirittura un dato ben peggiore che sembrava inarrivabile del suo predecessore, Mike Pence, il vice di Trump.

Bisogna anche dire che i due vice hanno subito e subiscono la popolarità dei loro presidenti e Biden, dopo la fuga ingloriosa dall’Afghanistan, non è certo nel suo massimo del gradimento e non solo negli Usa.

Una carica sempre più scomoda

A differenza dei suoi predecessori, bisogna riconoscere che Kamala Harris ha dato una forte visibilità a questa carica politica marginale e quasi sconosciuta, ma tutto ha un prezzo, e volendo mettere troppo in mostra la sua figura è diventata certamente più visibile e soggetta al plauso, ma anche a critiche spesso feroci.

La prima gaffe, imperdonabile per una Dem è stata la questione immigrazione.

Biden le aveva concesso i pieni poteri per risolvere la questione migranti lasciata da Trump, ma ha dimostrato fin da subito la sua inadeguatezza per quel compito, riuscendo in una impresa quasi impossibile: mettere d’accordo democratici e repubblicani nell’attaccarla, anche se da due prospettive diverse.

Ricordiamo tutti il discorso per dissuadere i migranti, attirati dalla politica del nuovo presidente, in opposizione Trump, con la famosa frase: “Aiutiamo i migranti a casa loro, non venite negli Usa” pronunciata nel suo primo viaggio all’estero in Messico e Guatemala, lasciando, ancora più disperata quella povera gente che si era mossa a migliaia per raggiungere le frontiere del Texas dai Paesi del Centro America.

Lei, paladina degli emarginati e delle minoranze, era rimproverata di seguire niente meno che le orme del partito Repubblicano.

Il sorriso colpevole dopo i fatti di Kabul

Ma c’è di peggio in questa breve parabola politica: il caso Afghanistan.

Non solo il suo assordante silenzio mentre il più potente esercito del Mondo fuggiva davanti all’avanzata dei talebani, ma durante un viaggio diplomatico a Singapore, alla domanda di una giornalista su ciò che accadeva a Kabul in quelle ore, dopo un momento di imbarazzo ha cominciato a ridere, sembrava più divertita che preoccupata della tragedia che stava vivendo un intero popolo.

Un atto di superficialità, per usare un eufemismo, davanti a ciò che accadeva proprio in quei momenti, alimentando critiche feroce sui social di qualsiasi parte politica.

Come se già non fosse in calo la sua popolarità è accusata anche di aver dimenticato il dramma delle donne in mano ai talebani, per non parlare poi del rapporto non proprio amichevole con il suo staff, cambiando parecchi collaboratori in pochi mesi.

Adesso la Harris è chiamata ad un’altra sfida molto impegnativa al Senato, di cui, per la sua carica, ne ha la guida istituzionale, deve tentare di trovare un accordo affinchè le proposte economiche dell’amministrazione Biden vengano votate anche dai Democratici più conservatori, già sul piede di guerra.

Un problema che creerebbe sicuramente complicazioni anche per il rinnovo del tetto sul debito federale.

L’incognita delle elezioni di medio termine

Inoltre, una sconfitta al Capitol Hill, il palazzo senatoriale Usa, dopo la inqualificabile crisi afghana, sarebbe un colpo troppo ingombrante per la credibilità di questa amministrazione che difficilmente potrebbe correggere la propria immagine per le prossime elezioni di medio-termine del 2022.

Una disfatta elettorale comprometterebbe, tra l’altro, la probabilità della Harris di essere una valida candidata per la Casa Bianca per le prossime elezioni.

Ciò che poteva essere una piacevole passeggiata per quattro anni per un incarico come la vicepresidenza, senza molte responsabilità, si sta modificando in un vero calvario politico per la Harris. E siamo solo all’inizio del suo mandato.

Non è da escludere che, secondo molti osservatori politici, proprio lei davanti ad una sconfitta sarebbe la vittima politica da immolare per lasciare poi “innocente ed immacolato” Biden.

Il 2022 è molto più vicino di quanto si possa pensare e tutti i protagonisti, attualmente inquilini della Casa Bianca, lo sanno perfettamente.

 

Antonello Cannarozzo

Foto © CNBC, The New York Times, The Mercury News, Zawya, Newsweek

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Antonello Cannarozzo
Giornalista professionista dal 1982. Nasce come consulente pubblicitario, in seguito entra nella redazione del quotidiano Il Popolo, dove diviene vaticanista ed in seguito redattore capo. Dal 1995 è libero professionista e collabora con diverse testate su argomenti di carattere sociale. In questi anni si occupa anche di pubbliche relazioni e di uffici stampa. La sua passione rimane, però, la storia e in particolar modo quella meno conosciuta e curiosa. Attualmente, è nella direzione del giornale on line Italiani.net, rivolto ai nostri connazionali in America Latina, e collabora con Wall street international magazine con articoli di storia.

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