Lo smart working e la fine dell’emergenza pandemica

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L’accordo dovrebbe prevedere che in cambio di poter scegliere (entro limiti ragionevoli) dove e quando lavorare, il lavoratore si impegna a raggiungere gli obiettivi che gli vengono dati

Lo smart working e la fine dell’emergenza pandemica

Dal 15 ottobre è obbligatorio avere il green pass per poter andare a lavorare. Questo dovrebbe essere uno degli ultimi passaggi per poter mettere fine allo stato emergenziale e portarlo a scadenza il prossimo 31 dicembre.

Con l’auspicato superamento dell’emergenza covid, lo smart working, o lavoro agile, dovrà essere attuato, per le aziende che lo vorranno mantenere, secondo quanto previsto dalla legge 81 del 2017, e precisamente da quanto definito nell’articolo 18. Con questa legge lo Stato italiano si è dotato degli strumenti per disciplinare l’attuazione di un’organizzazione lavorativa che stava dunque spontaneamente entrando nelle aziende e negli enti.

Cambio epocale

Nessuno, allora, pensava che nel giro di due anni il numero di lavoratori avrebbe toccato la cifra record di più di 6 milioni di addetti che lavorano da casa o da un luogo diverso da quello dell’ufficio vero e proprio. Nessuno, oggi, pensa che si possa tornare a quella cifra, quanto piuttosto che ci si stabilizzi su circa 4 o 5 milioni di lavoratori, in ogni tipologia di azienda, di differenti tipologie, in ogni città.

Da modalità sconosciuta, lo smart working è diventato per molti lavoratori un’abitudine irrinunciabile, comoda e proficua. Ma cosa prevede e cosa è realmente lo smart working? Proviamo a dare due definizioni, una legale e una manageriale.

La definizione legale

La prima è presa direttamente dal comma 1 dell’articolo 18 della legge “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” del 2017 che definisce il lavoro agile quale modalità di esecuzione rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

In questa definizione si fa riferimento ad un accordo tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, dal quale non si può prescindere, ad una organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza vincoli di orario (se non il numero massimo di ore lavorate) e di luogo, e all’utilizzo di strumenti tecnologici. Solo in presenza di tutti questi requisiti può esserci smart working.

La filosofia manageriale

La seconda definizione è quella data dall’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, per cui lo smart working sarebbe una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati.

Qui l’accento è messo sullo scambio che avviene tra datore di lavoro e lavoratore: flessibilità e autonomia data al collaboratore nella scelta di luogo, orario e strumenti; questo ripaga con un maggior senso di responsabilità nel raggiungere i risultati.

La sintesi

Mettendo insieme queste due definizioni, l’accordo dovrebbe prevedere che in cambio di poter scegliere (entro limiti ragionevoli) dove e quando lavorare, il lavoratore si impegna a raggiungere gli obiettivi che gli vengono dati.

Messa in questo modo, a parere mio, la questione sembra stridere con il Piano Integrato di Attività e Organizzazioni (PIAO) definito dal Ministero della Pubblica Amministrazione, dal momento che questo prevede tra le condizioni un piano di smaltimento per il lavoro arretrato, ove accumulato. L’attuazione dello smart working, anche quello effettuato in passato, non dovrebbe portare ad un accumulo di lavoro arretrato. Laddove questo accade è perché qualcuno non ha rispettato quell’accordo: o gli strumenti forniti al collaboratore non gli hanno permesso di lavorare, oppure non ha svolto con responsabilità le proprie mansioni.

Le distorsioni

Sembra più presente una visione, da parte di alcuni lavoratori, ma anche da parte di alcuni datori di lavoro, che lo smart working sia una modalità per sfuggire al controllo da parte dei superiori. Questo può accadere se questa modalità organizzativa viene presa come iniziativa personale di un dipendente o di un manager.

Lo smart working diventa, invece, un valore aggiunto se prima della sua attuazione se ne condivide la filosofia, lo scambio tra datore di lavoro e lavoratore, la responsabilizzazione che deriva dall’avere dei benefit organizzativi. Questa modalità organizzativa, inoltre, comporta delle conseguenze non solo interne all’azienda, ma anche rispetto alla comunità a cui fa riferimento.

Situazione pre o post industriale

Uno dei principali problemi che abbiamo visto sollevare nel 2020, nell’immediato lockdown, quando tutti lavoravamo da casa, era il fatto che i negozi, e soprattutto i bar e la piccola ristorazione, soffrisse per la chiusura degli uffici limitrofi e quindi per la mancanza di clientela. Questo accade perché gli impiegati non hanno più necessità di spostarsi da casa. In pratica si ritorna ad una situazione prerivoluzione industriale, quando la casa non era solo il luogo dove si dormiva e si mangiava, ma quello dove si lavorava, che fosse una bottega o un campo agricolo. Con la nascita delle fabbriche e delle industrie, nacquero anche i quartieri dormitorio, dove risiedevano le famiglie degli operai. Questi, tutte le mattine, si alzavano e si trasferivano nel luogo di lavoro.

Oggi, con la tecnologia che permette di lavorare da casa, si ritorna al concetto casa/bottega/ufficio. Questa organizzazione ha effetti non solo sull’attività di chi gestisce bar o piccola ristorazione, ma su tutti i negozi di prossimità che possono essere fruiti con maggiore semplicità dell’ipermercato che richiede tempo per essere raggiunto, sull’uso dei mezzi di trasporto, sia pubblici che privati, sulla gestione del traffico e dei parcheggi e, quindi, sull’annosa problematica dell’inquinamento che auto, moto e autobus procurano.

Banda larga indispensabile

Lo smart working offre quindi indubbi vantaggi anche rispetto alla qualità della vita di una comunità, e non solo a quella del lavoratore. Per poter portare a termine questa nuova rivoluzione industriale, le città devono essere in grado di offrire servizi idonei. In particolare, la banda larga diventa una necessità primaria per gli smartworkers che devono condividere l’accesso ad Internet con gli altri residenti, sia della casa che del quartiere e, di conseguenza, un valore aggiunto, in termini di appeal, per il quartiere stesso: gli appartamenti e le case che disporranno di un collegamento con fibra ottica saranno più interessanti di quelli che invece non saranno cablati.

 

Giacomo Zucchelli

Foto © TechRadar, Corriere

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Giacomo Zucchelli
Giacomo Zucchelli, classe 1973, laureato in sociologia dell’organizzazione, del lavoro e dell’economia. Svolge la sua professione di formatore e consulente per le risorse umane in Toscana. Negli anni ha approfondito le tematiche della comunicazione relazionale, ha realizzato ricerca sociali legate alle relazioni tra gli individui con un’attenzione particolare alle ultime generazioni. Da sempre interessato alla politica e alla sua relazione con la vita reale

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