Pietro Mecarozzi vince il Premio Morrione 2021

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Pietro Mecarozzi

Intervista al giornalista d’inchiesta, autore e jazzofilo, collaboratore di numerose testate

L’inchiesta, “Maremma Felix” di Pietro Mecarozzi, si è occupata delle infiltrazioni mafiose e dell’invasione degli oligarchi russi nella Maremma Toscana. A seguire la sua realizzazione è stato il tutor Danilo Procaccianti. Giornalista e autore. A Report dal 2020 che inizia la carriera giornalistica collaborando con varie agenzie giornalistiche e poi con L’Unità. Dal 2007 a Rai3 con Viva l’Italia Diretta e La Guerra Infinita. Dal 2009 al 2020 è stato inviato e autore di Presadiretta. Nel 2016 è stato inviato di REC su Rai3 e nel 2017 autore di Cose Nostre su Rai1. Ha vinto il Premio Ilaria Alpi (2011) e il Premio Rocco Chinnici (2012).

Abbiamo intervistato Pietro Mecarozzi, Giornalista, autore e jazzofilo che ha collaborato con La Repubblica di Firenze, poi La Nazione, The Post Internazionale, e attualmente collabora con La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e L’Espresso. Dal 2019 lavora nella redazione di Linkiesta. Classe 1993 con tanta passione per politica e inchieste con laurea in Scienze Politiche a Firenze, un master in giornalismo politico-economico alla Business School de Il Sole 24 Ore e tanta gavetta.

Quali sono i tuoi futuri progetti come documentarista e giornalista di indagine?

«Al momento sto seguendo due questioni: l’inquinamento dei gessi rossi nel grossetano e le condizioni di vita di alcuni collaboratori di giustizia. Entrambe le inchieste saranno pubblicate su carta. Parallelamente sto anche lavorando a una video inchiesta sulla cosiddetta “droga dello stupro“».

Giornalista di indagine oggi in Italia cosa vuol dire? In questo campo trovi differenze in Italia e all’estero? Se si quali?

«Significa sacrificare il proprio tempo libero, non badando agli orari di lavoro, seguendo la propria passione. Avere un buon paio di scarpe e tanta umiltà. Il giornalismo investigativo in Italia è sotto attacco, ma vive e resiste».

«È inutile nasconderlo: le inchieste hanno bisogno di tempo, di tutele, e di denaro. E questo forse è quello che spesso viene a mancare nel nostro Paese. Altre differenze dal giornalismo estero si posso trovare anche nelle metodologie. Infatti, in Italia nella migliore delle ipotesi, oggi, si chiama inchiesta il semplice camuffamento di una telecamera o di un microfono che capta la chiacchierata o la confidenza del malcapitato. Si definisce inchiesta anche la pubblicazione nuda e cruda di verbali giudiziari, o di intercettazioni telefoniche e ambientali, anche se in questo caso il valore aggiunto del giornalista è praticamente pari a zero (a svolgerla, se mai, ci pensano i magistrati o le forze di polizia giudiziaria)».

Se un giovane vuole seguire la strada che sembra tu abbia intrapreso cosa deve fare? Quali studi?

«Tanta gavetta, partendo anche dai giornali locali. Capire bene l’architettura giornalistica della cronaca e poi dell’inchiesta, ascoltare i giornalisti più esperti, e studiare. Questo vale più di uno specifico corso di studi, che (forse) per il giornalista investigativo neanche esiste».

Cosa ne pensi del citizen journalism?

«È un elemento prezioso che riesce a informare e mobilitare non solo la popolazione dei Paesi d’appartenenza, ma anche e soprattutto la popolazione mondiale, in tempi rapidi e con efficacia».

Giornalismo e politica sono conciliabili? Giornalismo e potere?

«Solo a una condizione: il giornalista deve disturbare chi sta nei posti di potere e non diventare espressione di quel giornalismo amichevole che non smuove nulla».

Come nasce Maremma felix?

Pietro Mecarozzi«L’inchiesta approfondisce ciò che la Maremma toscana nasconde. Ossia un lato marcescente contaminato dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. In particolare la camorra, e un porto sicuro per oligarchi russi – dai precedenti oscuri – che dopo la Versilia hanno scelto la Maremma come luogo dove investire i loro capitali di dubbia natura. Essendo originario proprio della Maremma, mi sono sentito in dovere di portare alla luce queste criticità. Con la speranza di aver veicolato un messaggio di consapevolezza a tutta la popolazione maremmana».

Cosa hai imparato dal tuo tutor? Sei soddisfatto del tuo lavoro? Su cosa torneresti nel caso?

«Danilo Procaccianti è stato un tutor fantastico. Mi ha insegnato molte cose, da grande giornalista qual è. In particolare mi ha aiutato molto a trasformare il mio lavoro da una bozza scritta a una video inchiesta. Sono soddisfatto del mio lavoro, anche se – per motivi di produzione e tempistiche – gli argomenti lasciati fuori sono stati davvero molti».

Ti preoccupano le querele temerarie o il bavaglio? Sei consapevole che chi fa giornalismo di inchiesta e indagine in genere le riceve come tecnica per silenziarlo? Cosa ne pensi di questa modalità? Quali cautele hai adottato?

«Le querele fanno parte del mestiere. Quelle bavaglio invece sono un attentato ai principi democratici. Un Paese in cui si portano avanti molte inchieste è un Paese con più trasparenza, con meno corruzione, che funziona meglio. Il giornalismo d’inchiesta deve essere in grado di fornire unservizio pubblicofondamentale per una democrazia che si può definire tale. Le mie tutele sono lo studio approfondito delle carte e le consulenze legali del mio avvocato».

 

Cecilia Sandroni

Foto © Andrea Marcantonio, Federico Tisa

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Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

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