Federvini, la presidente Micaela Pallini ci racconta gli obiettivi e la situazione attuale

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Un piccolo bilancio dei primi sei mesi della sua presidenza e un focus sulle prospettive

Eletta lo scorso maggio come presidente di Federvini, Micaela Pallini è un’imprenditrice con idee molto chiare, non la spaventano le sfide, sa perfettamente quali siano gli aspetti su cui puntare i riflettori in un settore che ha vissuto gli effetti devastanti del Covid.

Abbiamo incontrato Micaela Pallini per conoscere meglio Federvini e gli obiettivi sui quali punta.

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Facciamo un piccolo bilancio di questi primi sei mesi come presidente di Federvini

«È una sfida molto interessante che mi sta dando grandi soddisfazioni. Abbiamo cavalcato questi sei mesi di ripresa economica ma ci sono tante sfide e nubi all’orizzonte».

Qual è la prima situazione che ha dovuto affrontare?

«Abbiamo gestito una problematica importante, come la protezione delle denominazioni di origine. La Slovenia ha ottenuto l’utilizzo della parola balsamico insieme ad aceto. Il nostro aceto balsamico per il 90% viene esportato e noi abbiamo disciplinari molto rigidi con costi diversi rispetto ad altri Paesi. Questo si abbina alla questione dell’Italian Sounding che ha un valore economico di un certo tipo».

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«L’aceto balsamico di Modena è la nostra DOP più antica, una delle prime riconosciute. A questa battaglia si aggiunge quella del Prosecco. La Croazia ha chiesto e ottenuto la pubblicazione, con richiesta di riconoscimento, della loro denominazione Prošek. Il loro è un vino dolce e diverso ma siamo ugualmente molto preoccupati perché i cambiamenti sono facili da ottenere. Il Prosecco è diventato un affare economico di un valore importantissimo, secondo allo Champagne per importazione. Tutte le associazioni del Vino unite al Governo stanno portando avanti questa battaglia. Vorremmo che il Governo spingesse ad agire nei tempi giusti».

Quali sono gli obiettivi di Federvini?

«Come Federazione far sapere esternamente cosa facciamo. Federvini, tra le associazioni del mondo vinicolo, è quella che da un punto di vista di lavoro di lobby, inteso come difesa delle denominazioni, difesa della legislazione è tra le più attive e precise. E proprio perché fa questo tipo di lavoro forse è anche un pochino meno conosciuta».

Come si può raggiungere un risultato soddisfacente?

«Attraverso un osservatorio economico e una serie di attività vogliamo farci conoscere non solo nel mondo istituzionale ma anche tra altri associati. Vogliamo che la rappresentanza italiana, soprattutto nel mondo del vino, riesca a lavorare insieme in alcuni ambiti».

Quali sono concretamente le tematiche che si presentano sul suo tavolo di lavoro?

«A livello europeo abbiamo varie sfide legate ad alcuni dossier. Farm to Fork della Commissione europea, è piuttosto complesso. Si parte dall’agricoltura per arrivare al prodotto che arriva sulle nostre tavole, coinvolgendo vari aspetti, dalla superficie agricola la cui percentuale di biologico deve essere aumentata, all’economia circolare, quindi un impatto sugli imballaggi e gli scarti. Impatto anche sull’etichettatura e quindi la battaglia del Nutriscore di cui si sta tanto parlando».

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«C’è poi il dossier Europe’s Beating Cancer Plan che vuole intraprendere azioni radicali per combattere alcuni stili di vita ritenuti responsabili di alcune malattie, come il cancro. Tutto l’alcol viene considerato dannoso. La posizione anziché combattere l’abuso sta diventando combattere l’uso. Questo per noi è sbagliato».

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«L’Italia è il primo produttore al mondo di vino, il terzo come consumatore e l’ultimo per problemi legati all’alcol. L’atteggiamento punitivo e proibizionista non ha mai funzionato. Per la nostra cultura il consumo di alcol è collegato alla socialità ed è più responsabile. Fenomeni di abuso ci sono sempre e vanno condannati. Per noi, aziendalmente, chi eccede non è un consumatore sano. Come Federvini vogliamo spingere l’Europa a un discorso sull’educazione alimentare e del consumo del prodotto alcolico. Questa è una sfida importante che va affrontata insieme ad altri Paesi perché l’Europa prenda la giusta direzione».

In che maniera si può tutelare la categoria, non solo in scala nazionale ma anche a livello internazionale?

«Noi rappresentiamo una categoria molto importante perché, da un punto di vista del prodotto interno lordo, l’agroalimentare è il secondo contribuente. All’interno dell’agroalimentare vino e spiriti sono il primo. Parliamo di un settore vitale per il Paese, sia da un punto di vista economico che per il valore ambientale. Basti pensare al vigneto; il proprietario del terreno lo cura e investe su di esso. Questo ha importanza a livello sociale, culturale e di sostenibilità. Allo stesso tempo, il nostro sistema è fragile e frammentato. Abbiamo bisogno di un supporto da parte delle Istituzioni sulla parte della promozione e attacco  costante in alcuni mercati».

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Il vino italiano in Cina sta andando molto bene. È vero siamo cresciuti ma se andiamo a vedere i valori assoluti rispetto ad altri Paesi, in particolare ai nostri atavici competitor francesi, ad esempio, siamo molto lontani. In Cina siamo tornati ai livelli del 2019 come volumi di esportati, forse siamo cresciuti un po’ di più dei francesi in percentuale ma poi loro vendono quattro volte più di noi. Questo significa che abbiamo bisogno di azioni di promozione e supporto. Vorremmo meno burocrazia e meno annunci. Il primo Governo Conte aveva proclamato un fondo a supporto del Made in Italy e delle esportazioni ma penso sia stato accantonato. Non ce lo possiamo permettere. I cugini d’Oltralpe quando decidono di investire lo fanno con metodo, continuità e rigore».

Veniamo da un anno molto difficile e ancora non siamo usciti dall’emergenza. Come si può intervenire in questo settore per far sì che la categoria imprenditoriale che Federvini rappresenta non venga dimenticata?

«Abbiamo bisogno che venga supportato chi sta a valle. Il nostro Paese senza turismo soffre. Per il nostro settore la prima esportazione si fa a casa nostra. Il turista che viene nel nostro Paese assapora un vino, il cibo, compra un vestito all’ombra del Colosseo o sotto la cupola del Brunelleschi a Firenze si porta a casa un’esperienza. Il Covid blocca questo tipo di attività. C’è bisogno di un supporto».

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«Per l’Estero abbiamo bisogno di un sostegno alle aziende che sia continuativo. Dalla primavera scorsa stiamo assistendo a un aumento dei costi della logistica, dei noli, container, scarsità di navi; il primo danno è non riuscire a spedire le merci. Il costo dei trasporti verso gli Stati Uniti è aumentato molto. E negli ultimi mesi c’è un rimbalzo inflazionistico spaventoso, le materie prime stanno schizzando alle stelle e il rischio è che i nostri listini il prossimo anno passino da 10 a 15. Questo ha delle ripercussioni, siamo forti in una gamma medio bassa e se applichi degli aumenti il cliente potrebbe non accettarli. Il supporto del Governo e la promozione sono necessari per fare quel salto di valorizzazione del prodotto».

Quali sono i Paesi ai quali ispirarsi e che l’Italia dovrebbe prendere come esempio?

«Sicuramente la Francia. Ha un modo di lavorare continuativo e costante, con idee molto chiare ed efficaci che in qualche maniera dovremmo copiare. Un Paese a cui dovremmo indirizzare le nostre azioni sono gli Stati Uniti; il loro è un mercato maturo ed è il principale per il nostro settore dove è possibile fare una marginalità superiore rispetto ad altri mercati».

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«In Europa i due mercati principali sono la Germania e il Regno Unito che purtroppo con la Brexit ha avuto una serie di difficoltà doganali. Consideriamo che l’Inghilterra è il terzo mercato per le nostre esportazione, sia di vino che di spiriti, ed è il secondo mercato per gli aceti, quindi un mercato molto importante. La Germania è un altro mercato molto difficile dal punto di vista dei prezzi.

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Ci sono poi i mercati asiatici. La Cina è il più importante, con la maggiore potenzialità. Ritengo molto interessanti mercati come l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone, il Vietnam con cui abbiamo avuto accordi bilaterali importanti. Questi dovrebbero essere i mercati futuri sui quali investire».

Un appello alle Istituzioni?

«Lo sforzo che dobbiamo fare, come associazioni, è di portare le aziende a crescere perché i dati ci dicono che le aziende grandi sono quelle che fanno il mercato e possono superare i momenti di difficoltà. In Italia abbiamo un panorama di aziende medio piccole e in questo momento di complessità, di contingenza covid, ci rende deboli.

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Da parte del Governo abbiamo bisogno di un supporto di programmazione, comunicazione all’esportazione e un lavoro dietro le quinte burocratico di accordi bilaterali per il riconoscimento e la difesa delle nostre denominazioni. Gli accordi bilaterali avrebbero un valore economico, oltre a ottenere riconoscimenti delle denominazioni e abbattimenti di alcuni dazi doganali o barriere all’ingresso. Infine c’è bisogno di un supporto alle aziende per crescere, perché così si arriva al successo e a un consolidamento importante».

 

Alessandra Caputo

Foto ©Federvini

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Alessandra Caputo
Classe 78, giornalista pubblicista, laureata in Lettere Moderne, scrittrice, mamma orgogliosa. Ha scritto di cronaca, spettacolo e cultura in quotidiani, riviste settimanali, mensili e sul web. Per diversi anni si è dedicata al settore viaggi e turismo dove la sua creatività si è integrata alla descrizione della realtà. Oltre al turismo oggi si dedica anche al settore cinematografico e agli amati libri. Appassionata della vita, della lettura, dell’arte e della cucina, senza seguire un ordine preciso delle cose ama ritagliare un piccolo spazio per tutto.

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