Myanmar, la situazione non accenna a migliorare

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Myanmar

A quasi un anno dal colpo di Stato le notizie sono poche e imprecise. Tante persone maltrattate e uccise ogni giorno

In Myanmar non va meglio, affatto. Le notizie dal Paese giungono frammentarie perché Internet è pressoché inaccessibile. Anche quando c’è chi riesce comunica con fatica e una significativa dose di rischio, coraggio e determinazione. E la situazione è destinata a peggiorare anche da questo punto di vista.

Internet a caro prezzo

Non a caso il regime militare instaurato in Myanmar ormai da quasi un anno preciso (il colpo di Stato è stato messo in atto dalle forze armate birmane la mattina del 1º febbraio 2021 per rovesciare il Governo di Aung San Suu Kyi, prontamente arrestata) ha recentemente proposto una nuova legge sulla Cybersicurity. La quale impone fino a tre anni di reclusione e 2.300 dollari di multa per il semplice utilizzo di una rete privata virtuale (VPN). Metodica ampiamente utilizzata da aziende e privati dopo che il regime ha bandito l’uso di Facebook e altri social.

Le notizie giungeranno quindi ancora più sporadiche e con maggiori difficoltà.
Ciò che sappiamo finora, grazie allo sforzo di testimoni oculari birmani, amici italiani e giornalisti sono news frammentarie, fatte di numeri inquietanti. Violenze perpetuate senza tregua nelle città e nei villaggi, in ogni parte del Myanmar. Il tutto corredato da immagini che raccontano storie terrificanti.

Ultime news, il quotidiano bollettino di guerra (qualora sia possibile scriverlo e soprattutto farlo pervenire)

In termini temporali, le ultime notizie raccontano, nella Regione di Sagaing, più precisamente nella città di Ye U, di sette combattenti della resistenza catturati e uccisi a colpi di arma da fuoco dai soldati del regime. I loro corpi mostravano segni di tortura.

Intanto i soldati del regime hanno dato alle fiamme il villaggio di Ywa Soe, dopo che dieci dei loro uomini sono stati uccisi dai combattenti della resistenza. Due civili, tra cui un disabile, sono morti a colpi di arma da fuoco. Cinque soldati del regime sono deceduti ieri lungo il fiume Chindwin mentre stavano trasportando rifornimenti per il Tatmadaw, l’esercito birmano.

Questo solo l’inizio di un raccapricciante quotidiano bollettino di guerra che elenca incendi di case di civili, manifestazioni contro il regime, soppresse con violenza. E ancora, azioni di varia natura da parte del popolo, a cominciare dal rifiuto di pagare le bollette dal febbraio 2021, in segno di protesta contro il regime militare, e per non finanziare i generali.

Intanto, qua e là i soldati sparano all’impazzata con l’artiglieria pesante, costringendo centinaia di civili alla fuga. Chi si oppone finisce in carcere o viene prontamente eliminato. Non ultimi i giornalisti, come Tin Shwe, penna del Magway Post, condannato a tre anni di carcere. Poi ci sono i numeri, ovviamente sottostimati, come sempre avviene. Secondo l’Associazione di assistenza ai prigionieri politici, che monitora gli abusi dei militari dal 1° febbraio, sarebbero i seguenti: 1.490 persone uccise, 11.711 arresti totali, 1.966 mandati di cattura.

Colossi energetici si ritirano dal Paese

MyanmarPochi giorni fa le società energetiche Chevron e Total hanno annunciato che si ritireranno dal Myanmar. Si tratterebbe di una svolta importante, sostenuta da tutti quegli attivisti che hanno fatto un’assidua campagna affinché le società tagliassero quella che è una delle principali fonti di reddito per la giunta militare. In una dichiarazione, Total, che l’anno scorso si è ribattezzata TotalEnergies, ha citato il peggioramento della situazione dei diritti umani in Myanmar, precipitato nel caos totale dopo il colpo di Stato dello scorso 1° febbraio. La società francese ha affermato che la situazione dei diritti umani e il deterioramento dello stato di dirittonon consentono più a TotalEnergies di dare un contributo sufficientemente positivo nel Paese”.

Affermazione valida anche per l’azienda americana Chevron. Dopo il colpo di Stato, i militari hanno tentato di reprimere qualsiasi opposizione al suo Governo, spingendo i civili a formare gruppi di difesa armata.

 

Paola Scaccabarozzi

Foto © Aa, Notizie, Japantime

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Paola Scaccabarozzi
Giornalista professionista. Scrivo di salute, scienza e esteri. Collaboro da anni con numerose testate italiane e straniere e siti web. Leggo, viaggio, racconto storie e raccolgo testimonianze.

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