Guerra Russia-Ucraina: cercasi realpolitik disperatamente

0
853
Ucraina e Russia

Per sedersi al tavolo di una difficile trattativa serve un approccio realista. Forse qualcosa si muove. Almeno da parte di Zelensky

A partire dalla fine del 1954 terminarono diverse carriere politiche in Crimea: quelle dei dirigenti e dei funzionari locali del Pcus che avevano contestato la decisione di Nikita Khruščëv di “staccare” la penisola dalla Russia e di annetterla all’Ucraina per «celebrare l’amicizia tra i popoli russo e ucraino».

Scelta inusuale, probabilmente dovuta proprio alla volontà della nuova dirigenza sovietica di riconciliarsi con gli ucraini dopo le purghe staliniane degli Anni Trenta e del Dopoguerra. Ma la destalinizzazione era ancora lontana e nel 1954 il segretario generale del Partito era ancora il leader indiscutibile dell’Urss. Pertanto l’opposizione interna non era concepibile. Tanto più che quel cambio di confini interni all’Unione Sovietica non andava a mutare alcuna cittadinanza di chicchessia, quindi ogni malumore era del tutto privo di fondamento.

Indipendentismo storico

I protagonisti di quella bega interna non lo potevano sapere, ma avevano posto le basi di una questione che sessant’anni dopo si sarebbe conclusa con la secessione della Crimea dall’Ucraina e la conseguente annessione russa del 2014. Abitata in stragrande maggioranza da russi, la Crimea con Kiev non ha mai voluto starci né in epoca sovietica né ancor meno in era post-sovietica, quando, con la dissoluzione dell’Urss alla fine del 1991, si ritrovò parte integrante dell’Ucraina divenuta sovrana. Tanto che già nel 1992 proclamò unilateralmente la propria indipendenza con il supporto della Russia stessa (ma dato che all’epoca al Cremlino c’era Boris Eltsin, che non andava indebolito né isolato, in Occidente non si videro reazioni decise come quelle poi viste nel 2014). Soltanto nel 1994 in cambio della concessione di ampie autonomie stabilite dal Memorandum di Budapest, la Crimea ritirò la propria dichiarazione d’indipendenza.

Questa premessa storica è importante per far capire che l’irredentismo da quelle parti sia di lunga data. Non nasce certo con Putin. È importante che se lo ricordino soprattutto quelli che (con ampia dose di superficialità) affermano che un ritorno della Crimea all’Ucraina è un “fattore imprescindibile” per la fine della guerra in corso. No, fattore imprescindibile per le sorti del conflitto russoucraino è un approccio da realpolitik, che al momento latita da più parti. Il segnale di Putin, che al segretario dell’Onu Guterres ha ribadito che “senza Crimea e Donbass nessun accordo è possibile”, andava e va colto per apparecchiare il tavolo della pace dove poi confrontarsi, anche in maniera dura e spietata, sulla stesura di un accordo.

Alla ricerca del pragmatismo perduto

Ora, se Zelensky al Washington Post usa toni più morbidi «augurandosi» che anche la Crimea possa far parte dell’Ucraina, non si comprende perché qualche Cancelleria ad ovest di Kiev continui a non ragionare in termini più pratici, come dei “terzi pacificatori” dovrebbero fare. Fissarsi sul ritorno della Crimea nei confini ucraini è impensabile. È un approccio da alleanza militare. Nemmeno il leader ucraino ci crede più, tanto che quelle dichiarazioni al Washington Post sono parse una velata apertura al dialogo. Come dire: sulla Crimea posso trattare, sul Donbass no (anche perché là la questione è molto più complessa), ma è già qualcosa su cui lavorare per la pace. Perché i “terzi” si ostinano sull’oltranzismo mantenuto finora?

 

Alessandro Ronga

Foto © Presidential Administration of Ukraine, Bundesarkiv, WH Press Office, Wikicommons

Articolo precedenteA Roma si è celebrata la Festa dell’Europa
Articolo successivoLa grande mostra “Maddalena il mistero e l’immagine” a Forlì
Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui