Adelphi pubblica prose e saggi dello scrittore tedesco, illuminanti riguardo la sua poetica e la fascinazione per gli abissi della storia
Refrattario all’etichetta di romanziere, Winfried Georg Sebald si muove in un territorio periglioso fra saggistica e narrativa, costantemente in bilico sul baratro vorace della storia. La sua ossessione è l’oblio, che rischia di precipitare tutto in un abisso inattingibile, la sua vocazione trovare connessioni che, apparentemente prive di senso, possono in realtà sfociare in pregnanti epifanie.
Tessiture di sogno
Proponendo in un unico volume alcuni notevoli saggi, accanto a esili prose che già avevano trovato veste editoriale, Adelphi intende restituire un’immagine completa dello scrittore tedesco prematuramente scomparso ormai oltre venti anni or sono, del suo peculiare mondo poetico. Si scopre allora come le direzioni eterogenee intraprese dall’azione critica, mosse da un grimaldello ermeneutico particolarmente scaltro, riconducano in realtà al nucleo più profondo dell’ispirazione sebaldiana.
L’enigma di Kaspar Hauser
Cruciale è l’interesse dei tedeschi, di Peter Handke (la cui pièce “Kaspar” è appunto oggetto del saggio di Sebald), ma anche di Werner Herzog, per la figura misteriosa di Kaspar Hauser. Spuntato apparentemente dal nulla, precipitato nel tempo per rievocare un’espressione di Cioran, questo essere misterioso adombra l’uomo prima della caduta. La sua esistenza è una pagina bianca, il suo mondo emotivo assoluto e fuori dalla storia. Costretto a una dinamica evolutiva, Kaspar è condannato alla sofferenza e all’isolamento. La società nella quale viene forzatamente introdotto è costituita da automi senz’anima. Le leggi di un linguaggio dapprima ignorato si imprimono nella sua carne come l’erpice kafkiano (riferimento costante dell’universo di Sebald). L’essere fuori dalla storia è un sogno utopico, refrattario agli orrori del Secondo conflitto mondiale che tanto segnano il percorso di Sebald e della letteratura tedesca dagli anni Cinquanta in poi.
Anatomia della distruzione
La rappresentazione letteraria della distruzione della Germania ad opera dei bombardamenti alleati, a parte rare eccezioni, è stranamente assente nella narrativa post bellica. Il superamento del passato incontra meccanismi di rimozione, amnesie collettive e processi di autocensura. Colui che ricorda perpetua l’orrore, e scatena l’ira di coloro i quali “soltanto nell’oblio possono continuare a vivere“. Un oblio al quale Sebald non si rassegna. Scrivere è dunque un imperativo al quale non ci si può sottrarre.
Il lutto impossibile
Per sopravvivere all’inevitabile crollo emotivo successivo alla catastrofe, la società tedesca indossa una maschera di freddezza che la preserva dalla follia. Per tutti gli anni Cinquanta manca una reale e complessa elaborazione del lutto. A partire dagli anni Sessanta, alcuni squarciano con coraggio il velo che li separa dal passato. È il caso di Hildesheimer, nella cui opera la disperazione diviene assoluta. Il presente è ossessione, perché preannunzia “un futuro che sarà ripetizione del passato” (Mittner).
L’istruttoria
La prima opera nella quale si fanno i conti con la macchina dei campi di sterminio è L’istruttoria (1965) di Peter Weiss. Conoscere il passato non significa però automaticamente evitarne la ripetizione nell’avvenire. “La nostra specie è incapace di imparare dai propri errori“, scrive Sebald. Allora quale è lo scopo di un tale sforzo? Secondo Sebald forme organizzative mai estinte, ancora in grado di ripetere l’orrore, resero possibile il genocidio. Il parossistico esercizio della memoria coltivato da Weiss è allora un dovere morale, un monito a una società votata all’autodistruzione, un tassello aggiunto all’estetica della resistenza. Non è un caso che Austelitz, l’opera più nota e celebrata di Sebald, costruisca una sorta di metafisica della storia in grado di evocare l’olocausto senza immergersi nell’orrore, facendolo balenare come un incubo disperso dalle prime luci del mattino.
Amèry e il senso di colpa
“Chi è stato vittima, lo rimane per sempre“, scrive Jean Améry. Bandire dalla memoria la situazione terrifica è percorso impraticabile. L’esperienza della tortura resta impressa nella carne e nella mente. La necessità di una protesta ostinata si scontra con l’impossibilità di vivere. Chi ha sperimentato la morte non può più sfuggirle. Il suicidio è allora l’unica via d’uscita. Viene in mente il Lazzaro di Andreev, resuscitato suo malgrado dal Cristo ma ancora roso dai germi della decomposizione, allontanato da tutti per la sua aura mortifera. In Amèry, Sebald incontra il carattere problematico del ricordo: la persistenza della memoria come forma salvifica e come condanna al tempo stesso.
Immagini al limitare del sogno
Le fotografie, com’è noto, costituiscono l’ossatura del percorso narrativo di Sebald. Una fascinazione legata al carattere fantasmatico del mezzo, alla sua fragilità. Figure che paiono sul punto di sparire garantiscono un collegamento con il tempo trascorso, il confine con un altro mondo. Se nella saggistica le figure illustrative sono esigue, Sebald ci ricorda la sua passione per l’immagine affrontando ad esempio il lato figurativo del già citato Peter Weiss, che fu scrittore e pittore. I mondi inferi da lui rappresentati, che richiamano alla mente i deliri di Bosch o le visioni della Commedia dantesca, ritraggono il tracollo di una civiltà. La distruzione diviene allora condizione permanente, paesaggio interiore abitato da un’immensa rovina.
Spiritismo
Assediata dai frammenti della memoria, la narrativa di Sebald si muove in uno spazio incerto. Una qualità fantasmatica posseduta anche dalla prosa di Nabokov, il quale cercò sempre “di gettare un po’ di luce nel buio in cui sono immerse entrambe le estremità della nostra vita”. Da qui la passione del russo per lo spiritismo. Sebald segue le traiettorie di questi spiriti inquieti, che costantemente increspano il percorso narrativo. Aliti surreali e visionari che aspirano squarciare, almeno per un istante, il mistero che avvolge le nostre vite.
La Corsica
Parte di un’opera progettata e mai compiuta i testi sulla Corsica, già tradotti e usciti qualche tempo fa sempre con Adelphi, seguono le medesime tracce dei saggi. L’interesse è allora, come di consueto, sulle imprevedibili traiettorie della storia, sul vagabondare alla ricerca dei frammenti sparsi dell’esistenza, sul labile confine fra la vita e la morte. Gli estinti, nelle antiche credenze corse, si muovono ancora fra noi. La modernità li invita a sparire. “Chi si ricorda più di loro, chi indulge ormai al ricordo?”. È questo l’invito che Sebald ci rivolge, dalle lande nebbiose nelle quali ormai dimora. Indulgere al ricordo ponendo, per quanto possibile, un argine alla disgregazione che minaccia di avvolgerci nel suo manto intessuto di oblio.
Riccardo Cenci
https://www.adelphi.it/catalogo/autore/1420
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W.G. Sebald
Tessiture di sogno
A cura di Sven Meyer – Traduzione di Ada Vigliani
pp. 243 – euro 19,00
e-Book euro 9,99
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Immagini Adelphi
Ritratti Sebald Jan Peter Tripp © Sebald.wordpress.com