Scuola, ripartiamo da Abbiategrasso

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Scuola

Cosa succede ai nostri figli? Non sottovalutiamo ciò che è accaduto e soprattutto non diamo la colpa al periodo pandemico

Prima o poi doveva accadere: un’aggressione con armi in una scuola. Il referto parla di una sola vittima: la professoressa ferita al braccio. A cui dovrebbe essere aggiunto anche il ragazzo autore del fatto, non tanto per il gesto autolesionistico, quanto per lo stato psicologico in cui si trova. Vittime sono poi anche i suoi compagni che, improvvisamente, si sono trovati proiettati in un film o un fatto di cronaca americana, scoprendo che può essere realtà. E non deve essere bello.

Il ministro dell’istruzione Valditara si è subito interessato della cosa rilasciando delle dichiarazioni: «Dopo l’esperienza del Covid gli episodi di bullismo si stanno moltiplicando, proprio perché si è interrotta quella relazione interpersonale che è fondamentale nello sviluppo educativo. Negli episodi gravi lo Stato dovrà chiedere direttamente anche il risarcimento del danno di immagine, affiancandosi all’azione del docente, quindi costituendosi come parte civile nel processo». E infine: «Voglio che si colga l’occasione per riflettere sull’introduzione dello psicologo a scuola: è un momento particolarmente difficile, il disagio dei ragazzi, anche a seguito del Covid, è molto aumentato».

Pandemia

Non so da quale di queste affermazioni cominciare, se col dire che in molti istituti secondari di primo e di secondo grado esiste già lo psicologo scolastico, o se mi sembra riduttivo e sbagliato etichettare un’aggressione come un atto di bullismo, o che il rimandare tutto al post Covid sia un modo un po’ troppo semplice per pulirsi la coscienza, non del ministro, ma di una generazione di genitori.

Parto da quest’ultima considerazione. È vero che la pandemia ci ha segnato, tutti, e ci porteremo, Scuolaognuno nel proprio zainetto, gli effetti di questa esperienza. È vero che i più colpiti sono stati i ragazzi, ma dovremmo chiederci anche perché. Loro erano i meno esposti ai rischi del virus. Sono stati vittime di chi ha scelto di chiuderli in casa, di impedirgli di vivere a contatto dei propri coetanei, di fare vita sociale, di vivere la scuola non solo come luogo di apprendimento, ma come luogo di socializzazione.

E oggi, noi, generazione di genitori incapaci di assumerci le nostre priorità, scarichiamo sulla pandemia le responsabilità che sono nostre.

Chi mi conosce sa che non ho mai risparmiato critiche alla generazione dei miei genitori. Hanno solo goduto degli effetti della crescita del dopo guerra come cicale, incapaci di mettere qualcosa da parte per figli e nipoti. Oggi però voglio essere estremamente critico nei confronti della mia generazione.

Una generazione che, per colpa nostra o di altri, è arrivata a fare figli tardi e, anche per questo, ne fa meno delle precedenti. E forse perché siamo la prima del ritorno al precariato (perché non mi direte che gli operai prima della conquista dei diritti dei lavoratori non fossero precari? O i contadini dei latifondi?). Perché stiamo scoprendo, insieme ai figli, quanto i social possono essere luogo dove perderci. O perché pensiamo che i nostri figli, nella solitudine della loro stanza, davanti a un computer connesso a internet, siano veramente soli e non in un mondo che non conosciamo. Perché di quel mondo crediamo che il pericolo siano solo i lupi cattivi che possono incontrare e non i cattivi esempi.

Solitudine

Fatto sta che li lasciamo spesso soli, con quello strumento in mano, che sia un pc o uno smartphone,

che noi non sappiamo usare. E non lo sappiamo usare né come genitori né come insegnanti. E non ci accorgiamo che quello strumento è un docente migliore di molti altri nel trasferire contenuti. Più veloce, dove parlano persone che sembrano competenti, o si trovano informazioni di tutti i generi.

E durante la pandemia, noi, genitori e insegnanti, li abbiamo lasciati ancora più soli, davanti a quel monitor. Perché ci faceva comodo, perché era più facile dire di stare a casa, da scuola, a loro, che ai nostri genitori. I quali spesso, con la loro pensione, ci hanno dato una mano. Sta di fatto che il primo anno scolastico post Covid si conclude con un’aggressione in una scuola. Un’aggressione che poteva essere evitata se fossimo stati più attenti.

Genitori e registri elettronici

Il padre del ragazzo ha ammesso di essere all’oscuro delle sei note disciplinari (ora si chiamano così i rapporti che una volta venivano scritti sul registro). Eppure, quelle note sono state scritte sul registro elettronico. Bastava leggerle. Una volta, quando erano cartacei, le note venivano appuntate anche sul diario, e andavano riportate con la presa visione del genitore. Oggi no. La presa visione viene fatta da chi accede al registro elettronico. E questa persona, vi assicuro, non è l’unica che non lo controlla anche se, come dice un mio collega, sarebbe un dovere genitoriale.

Molti genitori non giustificano le assenze, non tengono traccia dei voti dei figli e si trovano sorpresi dei pessimi risultati, non prendono visione di note e di comunicazioni e vorrebbero riceverle direttamente, magari con un messaggio WhatsApp. Secondo molti genitori la scuola dovrebbe andare incontro alle esigenze della famiglia, non viceversa.

Una scuola, intesa come comunità di docenti e personale Ata, sempre più tra l’incudine e il martello. Dove si deve insegnare il rispetto delle regole, ma dove non si hanno gli strumenti, in quanto si corre il rischio che un genitore che ritiene il figlio innocente può fare ricorso, denunciare o, peggio, scrivere sui giornali, sempre pronti a sollevare polveroni. E oggi siamo pronti alla nuova caccia alle streghe e a indicare il colpevole: negli USA è la vendita di armi, in Italia il Covid. E allora ecco la risposta: introdurre lo psicologo scolastico (che esiste già). Il fatto è che, per quanto bravo sia, nessun professionista può ottenere dei risultati senza la collaborazione della famiglia. E ricordiamoci che stiamo parlando di minori.

Un futuro diverso

Sono un grandissimo fautore dell’importanza del sostegno psicologico per i ragazzi. Tanto che dovrebbe essere gratuito e invece nemmeno il Governo Draghi è riuscito a trovare le risorse per aiutare tutti quelli che ne avevano bisogno. Anzi, lo strumento che inizialmente era pensato per i giovani, fu esteso a tutti. Ancora una volta abbiamo tolto risorse ai nostri giovani.

Non è quindi di un sostegno psicologico che hanno bisogno i nostri figli e le nostre figlie. Necessitano di famiglie che siano in grado di ascoltarli, di coinvolgerli, di proteggerli. Hanno bisogno di scuole che li aiutino a diventare cittadini capaci di distinguere cosa è giusto e cosa è sbagliato, di insegnanti che siano guide e mentori e non semplici trasmettitori di contenuti. Gli occorrono risorse per il loro futuro e non di lavori mal pagati per poi sentirsi dire che sono dei lavativi. Hanno bisogno di futuro e di speranza.

 

Giacomo Zucchelli

Foto © ABC News, Wikipedia, Agi

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Giacomo Zucchelli
Giacomo Zucchelli, classe 1973, laureato in sociologia dell’organizzazione, del lavoro e dell’economia. Svolge la sua professione di formatore e consulente per le risorse umane in Toscana. Negli anni ha approfondito le tematiche della comunicazione relazionale, ha realizzato ricerca sociali legate alle relazioni tra gli individui con un’attenzione particolare alle ultime generazioni. Da sempre interessato alla politica e alla sua relazione con la vita reale

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