Israele, nuove proteste per la riforma della Giustizia

0
506
Israele

L’obiettivo dei manifestanti è bloccare un’imposizione di Netanyahu che secondo loro rappresenterebbe un rischio per la democrazia

Questa notte in Israele si sono verificati ancora disordini per le proteste contro la riforma della Giustizia. Sono 27 settimane (più di 6 mesi) che i cittadini scendono in piazza per dire no. Le maggiori sono avvenute a Tel Aviv dove, secondo i media locali, una prima stima ha riferito di circa 140 mila presenze. Non sono mancate dimostrazioni anche a Gerusalemme, Haifa, Karkur, Beer Sheva, in totale circa 150 località nel Paese. Alla protesta a Gerusalemme, davanti la residenza del premier, ha partecipato la famiglia del palestinese autistico Eyad alHallaq (32 anni) ucciso da un poliziotto che è stato assolto. Anche nella manifestazione a Tel Aviv la vicenda è stata ricordata dai dimostranti. Gli organizzatori hanno annunciato una nuova protesta generalizzata in tutto il Paese per martedì prossimo, all’indomani dell’eventuale approvazione in prima lettura del progetto.

Le proteste hanno coinvolto anche l’esercito. Più di 6.000 soldati di riserva hanno firmato nei mesi scorsi una petizione dichiarando che non si sarebbero presentati in servizio in segno di protesta, inclusi i piloti riservisti del 69° squadrone aereo. L’obiettivo dei manifestanti è bloccare una riforma che secondo loro rappresenterebbe un rischio per la democrazia israeliana.

Ma il Governo Netanyahu da lunedì 10 Luglio 2023 intende accelerare il provvedimento alla Knesset (Parlamento monocamerale di Israele). In particolare dovrebbe essere discussa in prima lettura (di 3) la riforma della “clausola di ragionevolezza“, ovvero la potestà della Corte Suprema di bocciare, in casi particolari, leggi o provvedimenti approvati dalla Knesset che contrastino con quel principio. La riforma del Governo elimina quella clausola consentendo al Parlamento di ripresentare e riapprovare il provvedimento bocciato a semplice maggioranza parlamentare (61 seggi su 120).

Giovedì 6 Luglio 2023

Il capo della polizia di Tel Aviv, Ami Eshed, si dimette perché in aperto contrasto con il ministro della Sicurezza, Itamar Ben-Gvir, che lo accusa di essere troppo morbido con i manifestanti. Subito dopo la notizia migliaia di persone hanno reagito riversandosi di nuovo in piazza e si registrano scontri con la polizia che utilizza gli idranti per disperdere le persone assembrate lungo l’Ayalon Highway, importante autostrada intraurbana.

Eshed ha spiegato di aver scelto di pagare «un prezzo terribile per la decisione di evitare la guerra civile. Avrei potuto facilmente usare una forza sproporzionata e riempire il pronto soccorso dell’ospedale di Ichilov alla fine di ogni manifestazione a Tel Aviv. Avremmo potuto liberare Ayalon in pochi minuti al terribile costo di spaccare teste e frantumare ossa, a costo di rompere il patto tra la polizia e la cittadinanza».

BenGvir, famoso per la sua retorica incendiaria, è uno dei ministri chiave del Governo di Benjamin Netanyahu, il più di destra e religioso nella storia di Israele, ha liquidato le parole di Eshed come la prova che fosse «un esponente politico» e ha preconizzato per lui una carriera di successo «come candidato per un partito di sinistra alle prossime elezioni».

Cosa prevede la riforma

La riforma di Giustizia mira a conferire maggiori poteri all’esecutivo a scapito della magistratura. Secondo i suoi detrattori, minerà la democrazia, ridurrà i diritti individuali e avrà anche gravi Israeleconseguenze economiche per il Paese. La proposta di riforma include infatti una “clausola di annullamento” che consentirebbe alla maggioranza semplice (61 parlamentari su 120) di rigettare le decisioni della Corte suprema. Quest’ultima è infatti l’unica istituzione con il potere di rivedere le leggi approvate a maggioranza parlamentare. La revisione cambierebbe radicalmente anche il processo delle nomine giudiziarie, riducendo l’indipendenza del sistema giudiziario dalle pressioni politiche.

Una delle questioni salienti è quella delle agevolazioni che avrebbe lo stesso Netanyahu a tre anni dall’apertura del processo che lo vede protagonista per corruzione, frode e abuso d’ufficio. In primo luogo, il suo Governo controllerebbe i tre giudici che attualmente presiedono il suo caso. Inoltre, il nuovo sistema per le nomine giudiziarie darebbe al Governo il potere di nominare i prossimi giudici della Corte suprema israeliana, a cui non è escluso che il processo al primo ministro possa arrivare. Secondo le nuove regole, gli alleati politici di Netanyahu avrebbero la possibilità di scegliere i giudici che, in effetti, decideranno il suo destino.

Sostegno

Ad appoggiare l’attuale esecutivo sono i diversi partiti religiosi della coalizione di Governo per diversi motivi:

  • Caso Shas, il partito ultraortodosso (o Haredi) guidato dal veterano politico Aryeh Deri. Il mese scorso, la Corte suprema ha annullato la sua nomina a ministro dell’Interno a causa delle sue precedenti condanne. Insieme alla riforma il partito ha promosso nella metà di marzo una proposta di legge che vieterebbe alla Corte di intervenire sulle nomine ministeriali e ciò permetterebbe a Deri di riprendere l’incarico di Governo.
  • Giudaismo Unito della Torah, sempre ultraortodosso, conta sulla revisione giudiziaria per risolvere la questione dell’arruolamento Haredim nell’esercito. Fino al 2014 gli studenti delle Yeshivot (scuole religiose) potevano evitare il servizio militare per motivi di studio.
  • Partito di estrema destra Sionismo religioso, impegnato nell’espansione degli insediamenti israeliani nei territori. Un disegno di legge abroga sezioni della norma sul disimpegno del 2005 e ha agevolato l’evacuazione di quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania, è stato approvato in prima lettura dal plenum della Knesset nella tarda notte del 13 marzo. L’abrogazione permetterà ai coloni di vivere nella Regione in cui si trovavano i quattro insediamenti di Homesh, Ganim, Kadim e Sa-Nur nel nord della Cisgiordania.

Economia a rischio

Esperti nel settore, sia israeliani che esteri, hanno ragguagliato il Governo sui gravi rischi per la stabilità e il successo dell’economia israeliana che la riforma causerebbe. Già da mesi miliardi di dollari sono spostati dalle banche israeliane verso gli Stati Uniti e l’Europa per paura che Israele si trasformi in un regime illiberale. Timori rafforzati dal coinvolgimento prominente (e raro) del settore hightech (che rappresenta il 15% del Pil israeliano) nelle proteste contro i piani del Governo.

27 Marzo 2023

Il presidente Isaac Herzog invita nuovamente le parti politiche ad avviare negoziati basati sulla sua proposta di “People’s Framework” per sostituire i piani del Governo, per scongiurare la crisi in atto. Ma il primo ministro ha preferito procedere unilateralmente nel portare avanti la visione di un nuovo sistema giuridico promossa dalla coalizione.

La sera di lunedì 27 marzo, Netanyahu comunica una momentanea pausa del processo legislativo della riforma giudiziaria fino all’inizio della sessione estiva della Knesset, prevista per il 30 aprile. Ma, questa sospensione, già breve, è resa ancora meno significativa dal fatto che l’annuncio Israele è arrivato poco dopo l’approvazione da parte del Comitato per la costituzione, della norma e della giustizia del disegno di legge sulla riforma delle nomine giudiziarie, ora pronto per le sue letture finali nel plenum della Knesset. Il giorno successivo i parlamentari dell’opposizione si sono infuriati quando è diventato evidente che uno dei suoi disegni di legge più controversi era comunque presentato alla Knesset per le letture finali, e ciò consentirebbe di portarlo all’approvazione in qualsiasi momento.

Motivazioni

La decisione di rinviare il processo di riforma è avvenuta in seguito a un accordo con il partito di coalizione di estrema destra Otzma Yehudit. Di fronte alla minaccia sollevata dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir di togliere il sostegno al Governo, il premier ha concesso a quest’ultimo il permesso di istituire una Guardia nazionale, un corpo di polizia che dovrebbe essere impiegato nelle Città miste israeliane, come ad esempio Lod.

Ma l’elemento che ha fatto propendere Netanyahu verso questa decisione è di ordine tattico. Nonostante sia a capo di una coalizione di 64 membri nella Knesset (composta da 120 parlamentari), il primo ministro non era più certo di avere i voti per la maggioranza assoluta. Inoltre, il licenziamento da parte di Netanyahu del ministro della Difesa Yoav Gallant ha provocato un profondo dissenso tra i ranghi dell’esercito, al punto da costituire una minaccia tangibile alla sicurezza dello Stato.

 

Ginevra Larosa

Foto © Le Monde, The New York Times, Israel Democracy Institute, Shalom

Articolo precedenteGolden Brush International Painting Exhibition, ad Ankara la terza edizione
Articolo successivo“La Tessitrice” una favola dal sapore moderno

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui