“Gabriele D’Annunzio. Arcangelo ribelle”

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D'Annunzio

L’attività letteraria del Vate è accompagnata dalla creazione e coltivazione di un mito biografico

Secondo il critico letterario Giorgio Barberi Squarotti «la vita di D’Annunzio è stata vista secondo due angolature opposte ed entrambe poco significative. Da un lato il mito del vivere inimitabile, che comporta la ricostruzione a posteriori della biografia come esempio di una predestinazione mirabile all’eccezionalità nell’arte e nelle vicende, nell’azione e nella parola. Dall’altro la separazione completa della biografia dall’Opera, onde l’aneddotica erotica ed economica finisce a essere del tutto staccata dalla scrittura». La vita di D’Annunzio, la sua biografia diviene materiale della scrittura e non come esempio autonomo di straordinaria capacità d’azione e di vita. Nel suo saggio “Gabriele D’Annunzio. Arcangelo Ribelle” John Woodhouse analizza in maniera sistematica la vita e le opere del Vate.

L’opera di D’Annunzio è vastissima e non ha facili interpretazioni (storica, filologica, documentaria e critica) perché nel tempo si è accumulato una serie di pregiudizi con opinioni negative di carattere moralistico, politico e di gusto che datano addirittura ai tempi di “Primo vere”, e dell’ammonizione autorevole del Chiarini al giovane poeta per evitare in futuro l’immoralismo. Ma il limite clamoroso della critica d’annunziana è proprio nell’incapacità a raccogliere l’opera del Vate come una totalità rinunciando alle scelte, all’autonomia, alla formula definitiva dei valori. In Salinari viene tagliato fuori il D’Annunzio della rappresentazione sociale e morale e anche naturalistica.

Diversi approcci dell’opera del Vate

Secondo Croce nel museo totale di D’Annunzio entrano i luoghi e le situazioni della natura, anch’essa destinata a scomparire, in quanto bellezze sotto i colpi della speculazione economica del mondo borghese come appare dai celebri passi paralleli della distruzione delle ville e dei parchi di Roma ne “La vergine delle rocce” e della rovina delle ville venete ne “Il fuoco“. Al polo opposto, l’approccio all’opera d’annunziana deve ormai superare la diffidenza politica nei confronti del nazionalista, dell’interventista dell’autore della marcia di Ronchi e della conquista di Fiume, non tanto perché tutta l’azione politica di D’Annunzio sia da estratti fuori e da mettere da parte rispetto a quello che sarà, dopo il fascismo, quanto perché non è possibile considerarla se non un rapporto con l’opera letteraria, come un momento di essa, in quanto significativa di una scelta alternativa e compensativa rispetto alle difficoltà della scrittura.

In questa prospettiva la lettura della sua opera deve proporsi una piena disponibilità a riconoscere alcuni motivi fondamentali dell’ultimo Ottocento e del primo Novecento in ambito europeo con le interpretazioni del simbolismo, della morte, lo sforzo dell’innalzamento dell’edificio del poema moderno come viaggio nei miti classici e rivisitazione e rilettura di essi.

L’attività letteraria di D’annunzio

L’attività letteraria del Vate è accompagnata dalla creazione e coltivazione di un mito biografico. D’Annunzio si propone come il supremo ed estremo artifex, sull’orlo della distruzione di ogni bellezza della natura e dell’arte, a opera della volgarità economica e speculativa della società borghese di massa. Ma c’è anche un D’Annunzio che si mette alla prova con generi, motivi e linguaggi e poetiche diverse fra loro. Il saggio “Gabriele D’Annunzio. Arcangelo ribelle”, opera storiografica e letteraria inglese, si differenzia dalle altre prevalentemente italiane di carattere biografico dedicate al Vate perché attraverso le vicende esistenziali dello scrittore abruzzese si sviluppa lo studio dell’opera.

Come lavorava

In un piccolo ma interessante saggio di Cristina Montagnani e Pierandrea De Lorenzo “Come lavorava D’Annunzio”, lo scrittore abruzzese rievocando la nascita di Alcyone affermava: “Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei nella mia anima come le schiume dalle onde”. Si comprende il mito di una capacità di scrittura sovrumana che governa tutta la sua opera, ma la realtà è opposta in quanto i libri del Vate sono l’esito di una minuziosa costruzione architettonica che alla loro conclusione acquistano una parvenza alessandrina che lettori ed estimatori di D’Annunzio ben conoscono.

Nelle pagine del quotidiano La Stampa

Nel 1902 lo scrittore Edmondo de Amicis, autore del capolavoro per l’infanzia e non solo “Cuore“, racconta il suo incontro con D’Annunzio. Ne ritrae la figura più monumentale del Decadentismo, D'Annunziosecondo la definizione di Mario Praz, qualche decennio più tardi (1996). Una dimensione silenziosa e intima quella del Vate, lontana dalle retoriche. D’Annunzio ha attraversato ogni genere letterario, lo scritto giornalistico, il racconto breve, il romanzo, la prosa lirica, la poesia, il teatro sino alla romanza da salotto, il libretto operistico, la sceneggiatura per il cinema.

È stato un archeologo della parola capace di riunire intorno alla sua opera critici e storici letterari. Orientamenti molteplici quelli di D’Annunzio che mostra un irrefrenabile desiderio di appropriarsi della tradizione letteraria come delle esperienze europee più recenti. E questo lo si trova fin dalle opere giovanili. Allo stesso tempo D’Annunzio le vuole superare perché in lui non vi è un approdo sicuro, in quanto si avverte una crisi del modello che nasce dall’interno.

Nella fase più intimista del suo pensiero nasce la volontà di risolvere le contraddizioni. La soluzione è quella del superuomo di Nietzsche anche se in realtà è parziale e superficiale. I suoi superuomini sono soli e fallimentari. Vi è poi un D’Annunzio distruttivo con l’avvicinamento al Futurismo e addirittura disposto ad abbandonare le belle forme. Infine il biografico che non si riesce a inquadrare nell’ideologia fascista ma diventa vittima di sé stesso con il fenomeno del dannunzianesimo incentrato sull’idea di un vivere inimitabile.

 

Paolo Montanari

Foto © Radici digitali, Biografie online

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