Prigozhin, i “soliti sospetti” e il precedente cinese

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Prigozhin

Sarà morto? Sarà vivo? Sapremo mai la verità su colui che si era creato tanti nemici in patria quanti all’estero?

A testimoniare come ad oggi non emerga alcuna certezza dallo schianto dell’aereo su cui il 23 agosto volava il capo del gruppo Wagner, Evgeny Prigozhin, è l’incertezza stessa sulla sua sorte. È vivo, è morto, è salito su un altro aereo: é un giallo insomma, destinato a rimanere tale. Proviamo dunque a fare un po’ di chiarezza.

L’incidente

L’aereo, un Embraer 600 di proprietà del Gruppo Wagner, è precipitato, come si vede da un video amatoriale che i media hanno rilanciato, schiantandosi al suolo e prendendo fuoco in terra. E già questo è un elemento interessante perché – a prima vista – escluderebbe sia una bomba a bordo che un missile terra – aria sparato dalla contraerea o un missile aria – aria lanciato da un caccia: nell’una o nell’altra ipotesi, l’obiettivo sarebbe esploso. Invece dalle riprese, sebbene effettuate da lontano, si può notare la carlinga integra e del fumo uscire dai motori. Infatti – privo di propulsione – l’aereo perde quota avvitandosi su se stesso. Quindi, escludendo l’ipotesi dell’esplosione, l’Embraer potrebbe aver avuto un guasto: la domanda è se si è trattata di una tragica fatalità oppure di un sabotaggio.

I guasti meccanici avvengono e tale ipotesi non va esclusa, ma visto l’illustre personaggio che viaggiava a bordo, la seconda va necessariamente contemplata: Prigozhin in effetti si era fatto molti nemici, in Russia e all’estero, ed erano in tanti a volerlo morto, in patria e fuori.

Il ruolo della Lubjanka

Ipotizzando un complotto interno, il maggior indiziato sarebbe il FSB, il servizio segreto erede del KGB, che già all’epoca della rivolta dei Wagner a Rostov era pronto ad arrestare Prigozhin. È da tempo che alla Lubjanka si muove una fronda “unitaria”, ovvero che si oppone a forme di esercizio del potere “appaltate” dal Cremlino a gruppi paramilitari come i Wagner (ma anche i kadyrovtsy ceceni non sono visti di buon occhio). Un lavoro “pulito” come il sabotaggio di un aereo è una caratteristica dell’intelligence.

La vendetta

Ma anche il ministro della Difesa Shoigu aveva più di un motivo di risentimento verso Prigozhin, visto che l’ex cuoco da mesi ne aveva fatto l’oggetto di violenti attacchi verbali per come aveva gestito la campagna militare in Ucraina. Per non parlare del capo delle forze aerospaziali, generale Surovikin, rimosso dall’incarico giusto 24 ore prima del disastro aereo: gli apparati di sicurezza legati alle forze armate potrebbe essere dietro un possibile sabotaggio.

La mano ucraina

Prigozhin però di nemici se n’era fatti anche all’estero, in Ucraina soprattutto, dato il ruolo cruciale giocato dai suoi uomini nel Donbass contro le forze armate ucraine. E un attentato da parte del SBU (coadiuvato anche dai servizi occidentali) non sarebbe del tutto da escludere: Kiev, visti gli scarsi risultati ottenuti finora dalla controffensiva nelle aree conquistate da Mosca, sta ripiegando su una strategia ibrida diretta a singoli obiettivi, la cui distruzione o eliminazione può avere ampio risalto dal punto di vista psicologico e propagandistico. Prigozhin poteva a tutti gli effetti essere ritenuto uno di questi.

Quel precedente cinese

Oltre mezzo secolo fa, ad aprile 1971, il Partito comunista cinese aveva invitato la squadra statunitense di tennis da tavolo per una partita con quella cinese: era il primo gesto di distensione tra le due potenze che avrebbe portato, nel febbraio 1972, allo storico, e impensabile appena un anno prima, incontro tra Richard Nixon e Mao a Pechino. A settembre del 1971, giusto a metà del percorso tracciato dalla “diplomazia del ping pong”, ci fu un incidente che vide come vittima illustre il potentissimo Lin Piao, capo dell’Esercito di Liberazione ed erede designato di Mao.

L’aereo su cui viaggiava l’alto dirigente cinese si schiantò in Mongolia, in circostanze mai chiarite. PrigozhinLin Piao capeggiava l’ala del Partito più oltranzista e contraria alla pacificazione con il nemico americano e questa sua linea dura lo aveva messo in contrasto con lo stesso Mao, che temeva che il peso di Lin all’interno delle forze armate potesse sfociare in un colpo di Stato e sabotare le nascenti relazioni con Washington.

Con “i se e i ma” non si fa la storia, tuttavia rimane sempre da chiedersi se Mao e Nixon si sarebbero mai stretti la mano qualora Lin Piao fosse rimasto in vita. Sebbene non ci siano prove che sia stato provocato, è fin troppo chiaro che quell’incidente aereo eliminò un grosso ostacolo sulla strada della distensione cinoamericana. È solo una citazione storica, per carità. Niente anche vedere con l’attualità (o forse sì?). Certo è che la diplomazia, talvolta, procede per cunicoli oscuri per raggiungere i suoi obiettivi.

 

Alessandro Ronga

Foto © Observador, BBC, Quora

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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