Paolo Sorrentino e il cinema visionario

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Paolo Sorrentino

Matteo Garrone e le creature fiabesche. Due generi diversi ma che, negli anni, hanno conquistato il pubblico

 

 

Nella storia del cinema italiano non è la prima volta che in una stagione cinematografica si incontrano cineasti anche differenti anni luce per l’approccio come furono Antonioni e Fellini. Ma oggi ci sono due personalità che non solo stanno difendendo il cinema italiano di qualità, ma che rappresentano il vivere del contemporaneo con tutte le sue problematiche: Paolo Sorrentino e Matteo Garrone.

Le conseguenze dell’amore di Sorrentino

Napoletano di nascita ma con un Dna partenopeo che si esalta nel film del 2021 “La mano di Dio”, Paolo Sorrentino dopo il trauma per la tragica perdita dei genitori, quando aveva 16 anni, comprende fin da giovane che la sua vera vocazione è il cinema. Inizia in punta di piedi a Napoli come assistente, sceneggiatore e documentarista. E qui è doveroso sottolineare come il documentario d’inchiesta che accomuna la generazione precedente di Liliana Cavani, Marco Bellocchio, Ermanno Olmi, trova in Sorrentino e Garrone dei continuatori non tradizionalisti, ma rispettosi del concetto della verità.

Sorrentino delinea la sua via cinematografica nel suo primo lungo metraggio “L’uomo in più” del 2021, che anticipa la crisi di identità presente nel suo capolavoro “La grande bellezza“. E l’operazione del regista è di trasfigurare la figura del padre, per lui un mito freudiano, in serate fra amici sempre più illusorie, sarà il secondo film “Le conseguenze dell’amore“, interpretato sempre da Toni Servillo, a delineare il piano di ricerca esistenziale e antropologico del regista napoletano, che come molti trova in Roma, capitale del cinema italiano, un approdo sicuro come nido d’Aquino.

Il protagonista de “Le conseguenze dell’amore” è un uomo che non sa immaginare e che perciò non vede niente di interessante attorno a sé. Titta De Girolamo afferma: «la cosa peggiore che può capitare a un uomo che trascorre molto tempo da solo è quella di non avere immaginazione. La vita, già di per se noiosa e ripetitiva, diventa, in mancanza di fantasia, uno spettacolo mortale». Paolo Sorrentino invece, immagina tutto. Conseguenze e antecedente, un prima e un dopo, digressioni e rimandi, cause ed effetti. In ogni suo film c’è tanto da vedere, sentire e percepire e nonostante questo c’è anche la sensazione che ci sia dell’altro, che si sospetta e intuisce.

I luoghi della memoria delle persone

Abbiamo evidenziato la figura paterna in Sorrentino, ma accanto a questa ce ne sono altre ancora più indecifrabili, perché rientrano nel subconscio del regista e anche contorte, confrontandosi con luoghi, che causano paure, i ricordi d’infanzia. Figure come fantasmi che si ritrovano in luoghi insoliti come nei garage semi abbandonati scrive Sorrentino: “Nel buio, dal nulla, all’improvviso uscì una donna vestita di nero e ci inseguì urlando con una scopa”.

Insomma un immaginario che si lega alla vita notturna del fratello, che crea rumori Paolo Sorrentinomisteriosi, tanto da giungere a una conclusione “L’inspiegabile ha alimentato la mia assoluta convinzione dell’esistenza dei fantasmi”. E questi temi anticipano i suoi due grandi capolavori: “Il divo” del 2008 e “La grande bellezza” del 2013. Nel primo riprende il tema della solitudine e la trasferisce in un uomo di cinquant’anni, Giulio Andreotti, che vive il potere sommerso dell’oscurità. Anche qui una magistrale interpretazione di Toni Servillo, che rappresenta l’alter ego di Sorrentino come fu Marcello Mastroianni per Fellini, il cineasta romagnolo anche lui sommerso dai fantasmi. Rimane l’interrogativo fondamentale “Cos’è il cinema?”.

Con “La grande bellezza” ritorna alla propria infanzia ma trasportata a Roma. Un mondo di squallore e solitudine che Sorrentino trovava meraviglioso e che lo ha sempre suggestionato. I notturni romani, in parte felliniani, la televisione, il Vaticano, la politica e le feste mondane, con una parentesi di incontro religioso ma non salvifico con Madre Teresa di Calcutta. Anche qui le luci e ombre di Roma di Fellini e dell’ultimo Kubrick.

Parentesi americana

Dopo una parentesi americana nel 2011 con il American Dream di “The Must Be the Place“, in cui si scopre il deserto americano, le stazioni di servizio, i bar bui con banconi lunghissimi, gli orizzonti lontanissimi che riprendono dal cinema di Allen e Wenders, Sorrentino si pone un ulteriore interrogativo: quando i ricordi, frammenti di immagini, suoni, diventano scrittura?. Un tema complesso che trova nella realizzazione del film “La giovinezza” del 2015 una banca della memoria basato sul ricordo di una cena con due uomini anziani che si erano messi a parlare di una ragazza di sessant’anni prima, ognuno con la propria immersione fra il passato e il presente.

“Hot Dog”

Con “L’amico di famiglia” del 2006 si affronta il degrado sociale legato a un pietismo sgradevole dell’usura. Il protagonista deve affrontare le proprie illusioni e miserie, ma anche delle persone che lo circondano. Tema più accentuato in un modello di Neorealismo pasoliniano nel film “Hot Dog” di Matteo Garrone, anch’egli proveniente dal documentarismo e poi autore di lungometraggi di grande espressività. Il film parla di un canile a pagamento nelle periferie romane, dove il protagonista è una fragile vittima della mafia e malavita.

Il regista ha un rapporto attoriale con volti nuovi ed emergenti come nell’ultimo “Io capitano”, con due esordienti di colore. Un film visto da chi conduce un barcone di immigrati. 11 minuti di applausi e Leone d’argento al festival del cinema di Venezia e tanto apprezzato da Papa Francesco. Il protagonista è un capitano coraggioso della letteratura anche cinematografica degli anni Settanta, che, con la sua innocenza, salva la vita a tanti immigrati, donne e bambini, nella speranza di una vita migliore.

 

Paolo Montanari

Foto © Nxwss, Discogs, MyMovies

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