Il mercato di nicchia del vino affinato in mare a meno 50 metri ha raggiunto nel Mondo 800.000 bottiglie nel 2023
Dalle anfore di Joško Gravner che aveva trovato in Georgia, dove il vino era nato cinquemila anni fa, quello a macerare dentro anfore in terracotta, all’affinamento subacqueo oggi solo dopo l’imbottigliamento. Due filosofie di fare vino a confronto. Oggi si sta avviando una tecnica di sperimentazione subacquea utilizzando l’ambiente marino per l’affinamento del vino.
«Le bottiglie devono essere immerse in condizioni particolari» – ha spiegato Antonello Maietta, presidente di Jamin UnderWaterWines – «utilizzando apposite tecnologie e materiali, frutto di ricerche e studi condotti da Jamin sulle capsule, le ceste di contenimento, la colonna d’acqua, la durata dell’immersione e numerosi altri parametri».
L’obiettivo di questa sperimentazione?
«Questo metodo di affinamento è in grado di produrre specifici cambiamenti rispetto a quello tradizionale».
Siamo all’inizio di una rivoluzione nell’affinamento del vino oppure si va sempre più verso la sostenibilità ambientale?
«Dalle cantine oggi veri gioielli di architettura enologica ai fondali del mare alla ricerca di sensibilità ambientale e riduzione degli sprechi. L’habitat sottomarino rappresenta la condizione ideale per le bottiglie refrigerate naturalmente: non c’è bisogno dell’utilizzo di climatizzatori, né occorrono strutture da isolare termicamente, con evidente risparmio energetico».
Il Mediterraneo come bacino si rivela particolarmente favorevole, poiché a determinate profondità la temperatura è più o meno costante. «A -52 metri nel nostro areale di Portofino la temperatura è sui 13–14 gradi, che coincide praticamente con la temperatura di cantina», precisa Maietta. Mettere le bottiglie in una “cantina” subacquea con speciali gabbie modulabili riduce inoltre la necessità di magazzino e permette di limitare le dimensioni della cantina terrestre e il consumo di suolo. Si mettono 30 ceste da 500 bottiglie a volta per ottimizzare i costi. Il vino rimane sotto acqua almeno 250 giorni, alcuni rimangono anche 1 anno.
Crescita esponenziale
Il mercato degli underwaterwines è soltanto all’inizio con una crescita esponenziale negli anni, nel 2022 ha generato circa 400.000 bottiglie a livello globale, 150.000 delle quali soltanto in Italia e a seguire Spagna e Francia. Il 2023, appena concluso, ha visto una produzione di circa 800.000 bottiglie. In Italia oltre a Jamin, la prima società italiana a investire nel settore, ci sono una decina di produttori che affinano in autonomia il proprio prodotto, ancora limitato nell’offerta di gamma e non appetibile ai numeri. All’estero l’attività è riferibile a una ventina di produttori sparsi tra Francia, Spagna, Portogallo, Croazia, Grecia.
In Italia, il centro propulsore di questa nuova tendenza all’affinamento del vino in mare, è la società Jamin UnderWaterWines (“giaminare” nel dialetto dei marinai genovesi significa lavorare duro) con una cantina subacquea a Portofino all’interno dell’Area Marina Protetta; 4 affiliate (Emilia-Romagna, Calabria, Molise, Toscana); 4 nuove aperture in Campania, Abruzzo, Sicilia, Basilicata; 200 aziende produttrici coinvolte; 2 convenzioni con Dipartimenti universitari (Enologia e Biologia).
A Roma, nella sede dell’Associazione italiana sommelier (Ais), si è svolta una degustazione “alla cieca” per fare il paragone tra il vino affinato in cantina e quello in mare, vini della stessa tipologia. C’è da dire che i campioni underwaterwines hanno mostrato una maggiore freschezza e l’attitudine a una minore ossidazione, che influisce sul vividezza del colore.
Quella dei vini underwaterwines si svilupperà sempre più come nicchia di mercato. La strada per arrivare alla produzione di milioni di bottiglie affinate in mare è ancora lunga, siamo all’inizio di un percorso che induce i promotori della rivoluzione dell’affinamento all’ottimismo.
Enzo Di Giacomo
Foto © Jaminsrl UnderWaterWines, Enzo Di Giacomo