Vincenzo Scolamiero, “Di altri luoghi”

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Scolamiero

I verdi, i neri e il color dell’oro in un fluido vento lirico che trascina l’astante in spazi percorribili

 

Dal 10 febbraio al 15, in continuità con la precedente esposizione “Di terra, acqua e vento” presso il Museo nazionale etrusco di Rocca Albornoz di Viterbo, conclusa lo scorso settembre.

Accanto a tele grandi, dai colori forti e dai tratti decisi, lo sguardo si posa su teche di plexiglas. Queste all’interno “custodiscono” china e pigmenti su carta insieme a zolle, foglie racimoli d’uva. Vi è persino una lunga mensola che espone un unico nel suo genere, un “libro” pieghevole con china e pigmenti su carta che si estende per 5 metri.

L’Artista

Vincenzo Scolamiero, irpino di origine ma cresciuto “nomade” in giro per l’Italia al seguito del padre, ufficiale dei carabinieri, vive e lavora a Roma dove è anche docente presso l’Accademia di Belle Arti, che lo aveva visto giovane allievo.

Parla della pittura come di un percorso fatto di sperimentazione e ricerca di senso. Definisce il mondo “ibrido, meticcio” per l’interconnessione dei linguaggi culturali: oggi non si può più parlare di singoli linguaggi artistici. Sia come artista che come docente vuole trasmettere anche la consapevolezza di questa complessità: l’insegnamento non è solo la consegna di mere tecniche applicative. Il pittore oggi deve essere un intellettuale, capace di cogliere i punti di vista, le riflessioni dal mondo che lo circonda, dagli altri linguaggi artistici e ricondurli al suo specifico.

Fare pittura è fare poesia

Nel suo studio infatti dialoga con poeti, musicisti, letterati. Trova spunti per la sua arte sia nel mondo circostante che negli artisti che ama e che sono legati ad ambiti creativi diversi da quelli della pittura. Nella sua arte c’è lirica poetica ma anche quella musicale e  letteratura. Il linguaggio dell’artista è frutto di conoscenza, incursione in altre discipline.

E nel suo studio è anche circondato da piccoli oggetti, naturali e non, dagli elementi più disparati, per sentirsi in contatto con la semplicità delle cose e quindi con la loro poesia. Rametti, pietre, zolle di terra, oggetti che trova in giro, residui di qualcosa che era stato in un altro luogo, in un’altra dimensione.  Questi sono tutti elementi per giocare con lo spazio, attraverso i quali trasforma la materia, quasi che le cose nascessero a una seconda vita.

In equilibrio tra arte astratta e arte figurativa

Il suo lavoro comincia partendo da immagini definite, da questi oggetti che lo circondano. Dall’osservazione figurativa e oggettiva dello spazio e delle cose costruisce immagini fluide, metamorfiche, catturandone lo spirito. Può sembrare arte astratta la sua, che invece si definisce un figurativo perché le sue immagini sono sempre riconducibili a una definizione formale. Ha un vivo interesse che la sua pittura abbia un riscontro oggettivo culturale, che sia in qualche modo “riconoscibile”.

Fare poesia è proprio questo: dall’osservazione minimale della realtà tirar fuori la meraviglia, l’incanto. Attraverso l’osservazione della meraviglia nascosta nelle cose semplici si fa poesia. Di fronte a un ramo con poche foglie secche non basta riprodurre quella natura morta ma diventa poesia il cercare la leggerezza della foglia che scende.

La pittura e la musica, due forme d’arte interconnesse

Scolamiero ama molto anche la musica per la sua capacità di penetrare immediatamente, colpire l’essenza dell’ascoltatore. Essa può costruire forme nello spazio, può dare vita a prolungate visioni, sa evocare. Attraverso l’ascolto della musica l’artista cerca quelle emozioni e suggestioni che traduce in rappresentazione grafica.

E la musica, come la poesia, vive uno spazio e un tempo diversi da quelli della pittura: il tempo della lirica musicale, a somiglianza della lirica poetica è ampio, non si comprende nell’immediato. Nella pittura invece l’insieme del quadro lo si coglie all’istante: la visione della pittura è globale e poi successivamente se ne possono carpire gli aspetti più intimi.

La poetica del suo lavoro

Sono luoghi “altri” quelli cui conduce il vento lirico sulle tele di Scolamiero, in «paesaggi tra sogno e veglia», forme in divenire. Il curatore della mostra Paolo di Capua definisce la pittura dell’artista «plastica eppure senza pesi, in assenza di qualsivoglia sensazione di gravità in cui si alternano simultaneamente profondità, delicatezza e trasparenza sullo stesso avvolgente piano percettivo».

Le immagini sulla tela si sentono come «concentrate e dilatate allo stesso tempo in un insieme di stratificazioni senza soluzioni di continuità», aggiunge il curatore. Nelle tele dominano il silenzio e la trasparenza. Quest’ultimo elemento sembra percepibile attraverso le stratificazioni dei colori creati da lui stesso, utilizzando pigmenti, polveri, foglie, unitamente ai pennelli che costruisce da sé usando legnetti e altri materiali. Costruire pennelli e creare colori gli permette di stabilire una relazione affettiva con le cose.

La poetica del suo lavoro cerca di scoprire nelle cose più semplici e minute la meraviglia, un “luogo altro” per l’anima.

 

Veronica Tulli

Foto © Eurocomunicazione

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Appassionata della vita mi sono dedicata negli anni ai temi della crescita personale, della salute e della sostenibilità, donandomi ai miei cinque figli. Giornalista pubblicista, laureata in Giurisprudenza e in Scienze Religiose, non ho mai tralasciato la mia predilezione per la letteratura, l’inglese e lo spagnolo. E scrivo di tutto ciò per chi, preso da mille incombenze, non ci si può dedicare.

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