3 marzo 1944: la più grande tragedia ferroviaria europea a Balvano

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74 anni fa si compiva un disastro pressoché dimenticato che causò oltre 500 morti e nessun colpevole. Nelle stesse ore a Roma ci fu il bombardamento allo scalo tiburtino

La tragedia ferroviaria di Balvano, piccolo centro lucano, avvenne in un momento difficile della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia era divisa in due, a Sud gli alleati che avevano conquistato buona parte del Meridione e risalivano verso la capitale, a nord le truppe tedesche che tentavano di fermarli e la Repubblica di Salò. Era un momento difficile. I mezzi di trasporto pubblico non esistevano più, le strade erano impraticabili per le macerie delle case, la maggior parte dei ponti crollati sotto le bombe dei bombardieri alleati o distrutti dai tedeschi in ritirata. Il treno era l’unico mezzo di trasporto rimasto.

Sulla linea Battipaglia-Potenza era previsto un treno a settimana. Benché fosse severamente proibito l’uso dei treni merci da parte dei passeggeri civili, i treni erano presi d’assalto, veri propri treni della fame e della disperazione. La popolazione non aveva più di che vivere, i beni alimentari scarseggiavano e la fame spingeva centinaia di persone a prendere d’assalto i treni per raggiungere le campagne del potentino dove vi era ancora qualcosa da mangiare. Gli alleati e il personale ferroviario si rendevano conto della situazione e chiudevano gli occhi.

Il treno merci 8017 era partito da Napoli nel primo pomeriggio di giovedì 2 marzo del 1944 con destinazione Potenza. Era stato creato per caricare legname da utilizzare nella ricostruzione dei ponti distrutti. Si componeva di 47 carri, alcuni chiusi, altri a sponde alte e come treno merci non doveva portare con sé passeggeri. Il treno formalmente doveva essere vuoto ma in realtà era stracarico in quanto a Napoli e nelle fermate successive vi salirono quasi 600 viaggiatori clandestini che stremati dalla guerra speravano, nei paesi di montagna lucani, poter barattare derrate alimentari in cambio di sigarette, zucchero e caffè distribuiti dagli americani.

Alle 19 il treno 8017 partì dalla stazione di Battipaglia trainato da due locomotive a vapore. In origine non era prevista la seconda locomotiva ma vi era necessità di spostare una delle locomotive da Battipaglia a Potenza e fu aggiunta in testa al treno. Come tutte le locomotive delle Ferrovie dello Stato dell’epoca erano a cabina aperta con un equipaggio composto da un fuochista per spalare il carbone e un macchinista. Il treno con il suo carico di “clandestini” arrivò a mezzanotte alla stazione di Balvano-Ricigliano ripartì alle 0,50 di venerdì 3 marzo per affrontare un tratto in notevole pendenza con numerose gallerie strette e poco aerate.

Sarebbe dovuto arrivare venti minuti dopo alla stazione successiva ma non vi arrivò mai. Nella galleria “delle Armi” lunga circa due chilometri, per l’eccessiva umidità le ruote cominciarono a slittare, il treno perse velocità e rimase bloccato. Gli sforzi delle locomotive per riprendere la marcia svilupparono una grande quantità di monossido di carbonio facendo perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo la maggioranza dei passeggeri morì asfissiata dai gas tossici. L’unico fuochista sopravvissuto, dichiarò che il macchinista prima di svenire tentò di dare potenza per superare lo stallo e uscire dalla galleria, mentre il macchinista della seconda locomotiva tentò di retrocedere invertendo la marcia.

Il bilancio della tragedia fu pesantissimo, 516 i morti, molti i corpi raccolti sulla banchina della galleria, una novantina i superstiti. Si legge nel verbale delle autorità dell’epoca: ”la sciagura si deve attribuire alla pessima qualità del carbone fornito dal Comando Militare alleato, la cui combustione ha dato luogo a vapori di zolfo”. L’inchiesta parla anche di “gravi mancanze dei capistazione che non si accertarono della posizione del treno. Il loro tempestivo intervento avrebbe potuto rendere meno grave la tragedia. Molte delle vittime non vennero riconosciute.

Tutti furono allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti in quattro fosse comuni scavate in fretta e furia  in un terreno adiacente dietro il muro del cimitero del Paese.  «Non una croce non un fiore», lamenta un parente delle vittime, «queste persone non hanno avuto una bara, un funerale, solo un lenzuolo sulla faccia e calce viva per poter finire» conclude . Queste vittime furono considerate dei viaggiatori di frodo e quindi dei clandestini, e questo ha portato all’oblio della vicenda stessa.

Lo stesso venerdì 3 marzo 1944 un’altra tragedia si abbatteva su  Roma, ancora occupata dalle truppe tedesche. Alle ore 11 circa 184 aerei anglo-americani sganciarono 1800 bombe sui quartieri Tiburtino, Prenestino e Ostiense. Il bombardamento provocò 600 morti e un migliaio di feriti. Mancavano tre lunghi  mesi alla liberazione di Roma.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Wikicommons

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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