Palazzo Strozzi ospita un’ampia retrospettiva dedicata a due personalità fra le più impervie e originali del manierismo toscano
Palazzo Strozzi mette in scena la pittura inquieta ed eclettica, ingegnosa e fantastica di Jacopo da Pontormo e del Rosso Fiorentino, figure cardine del Manierismo toscano. Circa 50 i dipinti esposti, insieme a numerosi disegni, arazzi ed incisioni, per chiarire le peculiari attitudini di questi due artisti, l’autonomia dei loro percorsi figurativi.
Li accomuna la data di nascita, il 1494, l’apprendistato giovanile presso Andrea del Sarto, oltre alla tormentata ricerca di nuove vie per la pittura. Dal punto di vista biografico le loro strade divergono; gli attriti con una committenza spiazzata da una maniera aggressiva e del tutto peculiare spingono il Rosso ad una vita erratica mentre Pontormo, apprezzato nell’ambiente mediceo, trascorre un’esistenza anacoretica al limite del maniacale. Si fa costruire un “casamento da uomo fantastico e solitario”, accessibile solo tramite una scala che egli ritira secondo i capricci dell’umore.
Ma cerchiamo di far luce in queste personalità impervie. Nel gennaio del 1554 Jacopo da Pontormo inizia a redigere un quadernetto scarno, prodigo di annotazioni quotidiane riguardo il proprio regime alimentare ed i propri disturbi corporali; un documento singolare e controverso che lo accompagna fino all’ottobre del 1556, due mesi prima della morte. A sessant’anni il pittore confeziona una sorta di manuale di prescrizioni sanitarie; osserva una dieta sobria, come volesse mondarsi dai disfacimenti incombenti, tiene sotto osservazione il proprio corpo per tenere a bada il male. Ma la morte e l’immagine del declino percorrono inevitabilmente queste pagine.
Nel frattempo il Rosso, così chiamato forse per il colore dei capelli, svolge un pellegrinaggio tanto lungo quanto doloroso. Abbandonata definitivamente Firenze si incammina verso Roma, portandosi dietro un “Bertuccione”, una scimmia alquanto dispettosa secondo il Vasari che la dice lunga riguardo la bizzarria del suo carattere. Qui assisterà e patirà gli stravolgimenti del Sacco di Roma, un evento traumatico che incrementa i turbamenti del suo animo. Le figure partorite dal suo fervido pennello paiono sovente eccessivamente magre e scarne, i volti distorti come maschere teatrali.
Per comprendere la personale elaborazione del dettato di Andrea del Sarto risulta illuminante l’accostamento fra tre pale d’altare, opera del Maestro e dei suoi due allievi, proposto in mostra. La Madonna delle Arpie di Andrea, così chiamata per le figure mostruose poste sul piedistallo dove si erge la Vergine, spicca per l’equilibrio formale e per l’uso avvolgente della luce. Tutt’altra atmosfera nella Pala dello Spedalingo del Rosso, esempio pregnante di scelte volutamente arcaizzanti e anticlassiche. I protagonisti, il cui aspetto invero poco sacrale spinse il committente a rifiutare l’opera, condividono un sentore di lignea rigidità che neppure la rotondità dei putti riesce a riscattare. Una poetica ancora differente anima la Sacra Conversazione del Pontormo, appena restituita al suo primigenio splendore. Il rifiuto di qualsivoglia canone codificato si traduce in una composizione dall’impaginazione fantasiosa e originale.
Il colorismo acceso assume caratteri addirittura visionari nella celebre Visitazione, anche questa restaurata per l’occasione, mentre lo strano contrappunto dei volti che sembrano specchiarsi l’uno nell’altro fornisce un saggio della qualità astratta del Pontormo. La regola severa che questi impone agli ultimi anni della sua vita (“e vivi d’ogni cosa temperato”), ricorda la continenza michelangiolesca. E certo Michelangelo è il modello ideale della sua ultima opera, quel Giudizio universale al quale attese quasi in segreto negli ultimi anni della sua esistenza, e che venne distrutto a metà del Settecento.
Fra le opere più sconvolgenti del Rosso ricordiamo infine la Deposizione dalla croce proveniente da Sansepolcro, animata da un pathos feroce che culmina nella strana figura demoniaca, di chiara ascendenza nordica, che compare con gli attributi del soldato che ferì il costato di Cristo, ed ancora la Pietà del Louvre, pregna di fremente drammaticità. Straniero in patria, il Rosso termina la sua parabola esistenziale in Francia, dove opera per un decennio nel castello di Fontaineblau. Muore suicida nel 1540, per una questione d’onore, dice il Vasari, per un turbamento inarrestabile della sua anima, vuole la leggenda.
Riccardo Cenci
Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della “maniera”
Firenze – Palazzo Strozzi
8 marzo – 20 luglio 2014
Orari: tutti i giorni 9.00 – 20.00, giovedì 9.00 – 23.00
Biglietti: Intero € 10,00 – ridotto € 8,50
Catalogo: Mandragora
www.palazzostrozzi.org