I viaggi apostolici di Papa Francesco, leader politico e religioso

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La mappa degli spostamenti del Santo Padre: nuova diplomazia vaticana? Analisi delle decisioni e dei luoghi scelti dal Pontefice in questi anni

Che Papa Bergoglio stia attuando una rivoluzione in seno alla religione cattolica, è piuttosto ovvio. Molte delle posizioni “scomode” e intransigenti sono state riviste – si pensi agli omosessuali o ai divorziati – e molto è stato fatto in soli due anni di pontificato. La chiesa sta tentando di svecchiarsi e avvicinarsi di più alla gente, di recuperare quel contatto con i suoi fedeli che negli ultimi decenni stava rischiando di perdere. Si torna così a parlare di bene e male, di attualità, di società, di anima e di uomini. 

Se ciò viene fatto all’interno del Vaticano, non possiamo dimenticare che il Papa è di fatto il sovrano dello Stato di Città del Vaticano, i viaggi apostolici da lui compiuti sono viaggi diplomatici a tutti gli effetti. Il primo viaggio all’estero compiuto da Papa Francesco è stato quello in Brasile nel 2013 in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Il luogo dove si sarebbe svolta la manifestazione, Rio de Janeiro, era stato deciso l’anno prima da Ratzinger.

Successivamente si è recato in Terra Santa, dove ha espresso sia il diritto di esistenza dello Stato di Israele che il diritto alla dignità per il popolo palestinese, dichiarando anche stima e vicinanza per la comunità musulmana. La motivazione vera della visita era il ricordo dello storico abbraccio tra i loro predecessori Paolo VI e Atenagora che anticipò l’annullamento delle reciproche scomuniche e rappresentò la pietra miliare del dialogo interreligioso.

14717764930_2592aeb770_zNel 2014 a breve distanza, le visite in Corea del Sud e Albania. In questa occasione Papa Francesco ha dichiarato che il governo di Seul deve continuare nella sua ricerca della pace: «la pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra»; anche se, mentre il Papa arrivava a Seul, PyongYang lanciava tre missili a corto raggio nel Mar del Giappone dando un chiaro segnale. In Albania il discorso è stato centrato sulla convivenza pacifica delle religioni per favorire la governance, sulla tolleranza e l’equilibrio delle etnie.

Governance, equilibrio, stabilità, queste parole, più politiche che religiose, delineano una nuova linea di condotta del Vaticano, che mira ad agire come Stato e dire la sua nei conflitti internazionali, ad avere un ruolo attivo nelle controversie e nella pacificazione del mondo, e non più un Papa arroccato nel suo castello dorato protetto dalle guardie svizzere.

Poi è stata la volta della Turchia, visita controversa questa. Prima l’incontro con il patriarca Bartolomeo I con il quale ha espresso la preoccupazione per il Medio Oriente, la Siria e l’Iraq e la volontà di favorire la risoluzione dei conflitti in queste aree e promuovere l’equilibrio regionale, poi Bergoglio ha parlato del genocidio degli Armeni. «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il popolo armeno – prima nazione cristiana -, insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo». La ragione di questa dichiarazione non può che essere l’intenzione di rivendicare il proprio ruolo di unico capo indiscusso dei cattolici del mondo, ma anche definire la questione politica del genocidio sempre garbatamente snobbata dai leader politici perché troppo scomoda. La posizione ha naturalmente irritato Ankara che ha definito le parole del Papa inaccettabili e ha dichiarato di voler prendere misure contro il Vaticano; Bergoglio ha risposto per le rime, affermando durante la Santa Messa che il compito della Chiesa è di dire le cose con franchezza.Canonization_2014-_The_Canonization_of_Saint_John_XXIII_and_Saint_John_Paul_II_(14036966125)

Anche il viaggio in Sri Lanka è stato molto significativo, alla presenza delle maggiori tradizioni asiatiche ha dichiarato che la religione non deve essere usata come causa di violenza, condannando il fondamentalismo religioso. Inoltre ha esortato le popolazioni dello Sri Lanka a proseguire sulla strada della riconciliazione dopo anni di guerra civile.

Più dimesse le visite a Sarajevo e in Ecuador, Bolivia e Paraguay, incentrate sulla condanna del Dio denaro e sula promozione dell’imprenditoria etica. Nella condanna a chi calpesta i diritti dei più poveri, Bergoglio ha deciso di dare forza e credibilità al suo discorso condannando le azioni della chiesa negli anni del colonialismo e della conquista dell’America.

Proprio in questi giorni si stanno tenendo le visite a Cuba e negli Stati Uniti. La scelta di visitare questi due Paesi in un unico viaggio non può che essere un apprezzamento per l’avvicinamento dei due Stari storicamente contrapposti. Le dichiarazioni sull’economia, la condanna del sistema capitalista e le blande critiche al governo di Cuba hanno prodotto delle critiche di “comunismo” che Bergoglio ha evaso con battute di spirito, ciò comunque prepara il campo a una visita non facilissima negli Stati Uniti.

Il viaggio negli Usa sembra delinearsi come incentrato sui temi sociali. Le nomine dei vertici della Chiesa Americana si sono sviluppate in questo senso, allontanando gli elementi più rigidi e tradizionalisti (e cari al partito dei conservatori) e scegliendo personalità più orientate a temi sociali come povertà e immigrazione. A breve il discorso al Congresso, dove vedremo se affronterà i temi proposti dall’opinione pubblica, come l’uso dei contraccettivi, o sceglierà temi meno controversi.

In questi due anni Bergoglio ha dimostrato di non temere il suo ruolo di capo di Stato e di essere in grado di trattare con i grandi con semplicità ma anche con la giusta fermezza. Non si è nascosto dietro facciate buoniste ma ha saputo sferrare gli affondi giusti. Certo è ancora presto per tirare le somme, ma una nuova stagione per le relazioni estere del Vaticano sembra già delinearsi. Ciò che colpisce è che in una Europa sempre più immobile e impreparata ad affrontare le sfide politiche, il Vaticano stia assumendo peso nella definizione degli equilibri. Negli scenari futuri, la Roma pontificia potrebbe diventare parte integrante della politica europea, come centro di soft power in grado di influenzare gli altri leader mondiali, grazie anche alla propria popolarità che Bergoglio continua ad accrescere; ma questa nuova importanza del Vaticano potrebbe anche rivelarsi un peso per le democrazie occidentali e creare nuove inimicizie e contrasti che potranno far sprofondare ancora di più Bruxelles nel pantano. Ciò che è evidente è che il nuovo Papa non sembra avere la stessa prudenza degli altri leader europei, naturalmente per la diversità degli interessi in campo; si pensi alle dichiarazioni fatte ad Ankara: possibile che sia stato un Papa a rallentare definitivamente le prospettive europee dei turchi? O le dichiarazioni sulla Corea del Sud e del Nord, la spinta verso la pacificazione della Siria.. aver affrontato tutti questi temi caldi della politica internazionale in soli due anni, forse spingerà le cancellerie europee a mettere da parte la prudenza e a tirare fuori soluzioni. 

Ilenia Maria Calafiore

Foto © Wiki e Creative Commons, Mazur/catholicnews.org.uk, Leandro N. Ciuffo, Korean Culture and Information Service

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Ilenia Maria Calafiore
Nata nel 1989, è laureata in Comunicazione Internazionale presso l’Università di Palermo con una tesi in filosofia politica dal titolo “Teorie e pratiche per la Giustizia Globale“. Nel suo percorso universitario ha approfondito le tematiche storiche ma anche linguistiche relative alla Russia e ai popoli slavi. Ha partecipato ad alcuni progetti internazionali come il Model United Nation a New York ed il Finance Literature of Youth a Togliatti, Russia. A fine 2014 si laurea con il massimo dei voti in Studi Internazionali presso l'Università di Pisa con la tesi “Spunti per uno studio delle politiche della Federazione Russa nel bacino del Mar Nero”.

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