Immigrazione e libera circolazione: quo vadis Europa?

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Parte della storia del nostro mondo, delle popolazioni che lo abitano, sempre protese verso un futuro migliore, sia esso studio, lavoro, sicurezza o semplice sopravvivenza

L’immigrazione non è un fenomeno nuovo né recente, è parte della storia del nostro mondo, delle popolazioni che lo abitano, sempre protese verso un futuro migliore, sia esso studio, lavoro, sicurezza o semplice sopravvivenza.

L’Europa, da qualche anno, è divenuta l’oggetto di queste attese, non solo perché è un modello di benessere, sviluppo e culla dei diritti dell’uomo, ma perché geograficamente attigua a zone di crisi e conflitto. Ma se tutti gli Stati membri concordano sulla necessità di favorire l’immigrazione legale, più complessa è la questione dell’immigrazione economica. Talmente complessa da rischiare di portare al tracollo uno dei pilastri del progetto comunitario, ovverosia il Trattato di Schengen, che ha permesso la libera circolazione di merci, servizi e soprattutto persone all’interno dell’Unione europea.

GREECE LESBOS AVRAMOPOULOSL’incapacità di gestione dei propri confini esterni da parte dell’Ue sotto la pressione dei flussi migratori ha, infatti, spinto sei Stati dello spazio Schengen (Norvegia, Svezia, Danimarca, Austria, Germania e Francia) a riprendere in mano la sicurezza dei propri confini nazionali introducendo controlli alle frontiere. Il segnale è allarmante ma allo stesso tempo chiaro: se l’Europa non riuscirà a trovare in breve tempo un accordo su come difendere le proprie frontiere – anche di fronte alla minaccia terroristica – condividendo l’onere dell’accoglienza e respingendo, dove necessario, chi non ha diritto di rimanere nel territorio dell’Unione, queste misure d’urgenza potrebbero causare un effetto domino fino a far vacillare lo stesso progetto europeo.

Ma come siamo arrivati a questa crisi? Nel 2013 alcuni Paesi del Nord Africa sono implosi vertiginosamente sotto l’impeto delle primavere arabe e la conseguente caduta di vari dittatori che avevano “congelato” il malessere di quelle popolazioni. L’esodo ha trovato il suo culmine nella fuga massiccia dal territorio siriano, martoriato da anni di guerra civile.

The Berlaymont building illuminated with the colours of the French flagDi fronte a questi sconvolgimenti, l’Unione europea si è mossa ancora una volta a piccoli passi e in ordine sparso. Questa frammentazione si è manifestata anche dopo la strage di Parigi dello scorso 13 novembre, in barba alla clausola di solidarietà che lega tutti gli Stati membri dell’Ue in caso di esplicito attacco terroristico (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, TFUE, art. 222).

La divergenza di vedute ha subito avuto un impatto su come riformare il Trattato di Schengen sulla gestione comune delle frontiere esterne e il Trattato di Dublino sull’asilo politico. Di fatto, il mix fra politica estera, appannaggio degli Stati membri, e la politica dell’immigrazione, condivisa fra l’Europa e i suoi 28 Paesi membri, rende complessa la capacità di agire. Sono troppe e differenti le sensibilità e gli interessi dei singoli Stati per raggiungere risultati univoci e soddisfare tutti.

Dimitris AvramopoulosMa come spesso è accaduto a più riprese nella sua storia, proprio le situazioni di stallo o gli eventi drammatici hanno spinto l’Europa a fare di più. Proprio com’è successo nell’ottobre del 2013 dopo l’ennesima tragedia del mare a Lampedusa avvenuta nonostante il fenomeno fosse da anni sotto gli occhi di tutti. Da allora, anche grazie agli strumenti d’azione e cooperazione dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’Unione europea ha compiuto alcuni passi in avanti in materia di asilo, di cooperazione giudiziaria, di polizia e di controllo delle frontiere esterne.

Si pensi all’accordo di fine 2015 sullo scambio dei dati PNR dei passeggeri aerei, al rafforzamento dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne dell’Unione europea (Frontex) – e il suo braccio operativo Eurosur – o al cambio di guardia fra Mare Nostrum e le missioni europee Triton e Poseidon. Dallo scorso ottobre, inoltre, è partita la seconda fase di EUNAVFOR MED, la missione militare europea per contrastare i contrabbandieri di migranti dalle coste dell’Africa all’Italia. Sono stati poi rafforzati gli accordi con i diversi Paesi di origine dei flussi e gli accordi di riammissione, come la recente intesa con la Turchia per una migliore gestione del massiccio arrivo di migranti dalla Siria.

Angela_Merkel_(2008)Ma la questione è complessa e per una soluzione stabile occorrono accordi che vadano di là dell’emergenza. Il flusso migratorio che ha bypassato il Mediterraneo prediligendo la rotta balcanica per raggiungere l’Europa ha toccato, infatti, il nervo scoperto del suo fianco orientale, facendo emergere tutte le incongruenze della politica europea di gestione migratoria. Basti pensare alle opposte reazioni degli Stati attraversati da questo flusso: dal filo spinato ungherese e dai respingimenti sloveni, all’accoglienza “condizionata” tedesca. Anche se le violenze di Capodanno hanno frenato lo slancio iniziale della Merkel.

Queste divergenze, comunque, rappresentano un ulteriore segnale di com’è difficile superare le differenti sensibilità nazionali e di come l’Unione europea sia ancora oggi intesa in chiave nazionalista dai suoi Stati membri. Pensiamo al NO del referendum danese lo scorso dicembre per una maggiore integrazione europea, anche in tema di cooperazione di polizia e sicurezza, o alle opposte visioni sul ricollocamento dei migranti. Eppure le politiche europee in questo campo dovrebbero essere governate dal “principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri”, come recita l’articolo 80 del TFUE. E invece la sponda Sud del vecchio continente è stata lasciata troppo tempo da sola nella gestione sociale ed economica di flussi migratori che riguardavano l’intera Ue.

Moments_of_Mourn_For_Alan_Kurdi_DI_September_2015Pur se il Consiglio europeo straordinario dello scorso dicembre ha riconosciuto l’insufficienza della strategia europea sinora adottata e ha chiesto un’ulteriore accelerazione, i Paesi pronti ad accogliere i rifugiati dalla Turchia erano appena dieci sui 28 totali. E’ chiaro che la questione non è risolta. L’esodo verso l’Europa, infatti, non si attenuerà nei prossimi anni. Senza grandi sacrifici e compromessi il sogno europeo dei padri fondatori è destinato a spegnersi.

 

Andrea Maresi

Foto © European Parliament and Commission, Wiki e Creative Commons

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