Greci del Ponto: il genocidio raccontato in un romanzo storico

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“La ragazza del Mar Nero”: intervista a Maria Tatsos, autrice e discendente dei sopravvissuti a questa tragedia d’inizio Novecento, che narra la storia vera di sua nonna Eratò

La notizia è della scorsa settimana. Kim Kardashian, la socialite americana di origine armena, ha acquistato un’intera pagina del New York Times per rispondere ai negazionisti che, con una pagina sul Wall Street Journal, sostengono tuttora che il genocidio degli armeni non è mai avvenuto.

«La posizione ufficiale del governo turco non nega solo il genocidio degli armeni del 1915, ma anche quello dei greci del Ponto e degli assiri, minoranze cristiane sgradite a uno Stato che aspirava a diventare omogeneo da un punto di vista religioso ed etnico», commenta Maria Tatsos (nella foto sotto), giornalista, collaboratrice di Eurocomunicazione e ora anche autrice di un libro intitolato La ragazza del Mar Nero (edito da Paoline, 15 euro), un romanzo storico basato su una vicenda vera che narra la tragedia dei greci del Ponto, uno dei primi genocidi della storia Novecento.

il-centro-di-orduÈ una storia che Tatsos conosce bene, e non a caso: pur essendo nata in Italia, la sua famiglia paterna è greca, originaria di Kotyora (l’odierna Ordu: nelle foto, uno scorcio del centro agli inizi del Novecento e la chiesa greca di Ypapantìs, con la scuola dove insegnava il bisnonno dell’autrice) nel Ponto, lungo la costa meridionale del Mar Nero. I suoi nonni, Eratò e Nikos, sono scappati dalla Turchia nel 1922, abbandonando la casa e ogni proprietà e portando in salvo solo la loro vite. Sono giunti in Grecia da profughi, come i migranti che ogni giorno arrivano sulle nostre coste. Rimboccandosi le maniche – come tanti greci di questa diaspora – si sono faticosamente ricostruiti una vita. Sono stati fortunati: 353 mila greci del Ponto su 700 mila sono stati eliminati fra l’inizio del secolo e il 1923. La ragazza del Mar Nero racconta la storia di Eratò, la sua infanzia felice a Kotyora e poi la persecuzione da parte dei turchi, ma attraverso di lei rivive tutto un popolo, che da un giorno all’altro è diventato un nemico da sopprimere.

Cosa ci facevano dei greci in riva al Mar Nero all’inizio del Novecento?

«Semplice: erano a casa loro. Era la loro patria, da molto tempo prima che diventasse territorio ottomano e poi turco. I greci del Ponto erano discendenti degli elleni di Mileto che avevano colonizzato questa regione a partire dal 750 a.C. fondando Sinope, e poi le altre città del Ponto. Il filosofo Diogene e il geografo Strabone erano originari di queste terre, che nel IV secolo d.C. sono ufficialmente diventate cristiane. I turchi sono arrivati dopo, dall’Asia, intorno all’anno Mille e con la caduta di Costantinopoli nel 1453 è nato l’Impero Ottomano».

E questi greci, perché hanno scelto rimanere sotto il sultano?

«Non avevano un luogo dove tornare, era quella la loro terra. Sono diventati sudditi ottomani, sottoposti però a continue vessazioni perché non si convertirono all’Islam. Fu la scelta giusta, che permise loro di conservare la propria identità, cultura e lingua».

kotyora-rum-mektebi-ve-kilisePerché d’improvviso i turchi all’inizio del XX secolo decidono di sbarazzarsi di loro?

«La convivenza più o meno pacifica con i turchi cessa con lo scoppio della Prima guerra mondiale. La Grecia è nemica della Turchia ottomana, i sudditi greci del Ponto diventano potenziali traditori e nemici. Gli uomini vengono reclutati in “battaglioni di lavoro”, dove muoiono di fatica e di malattie. Le donne e i bambini vengono deportati verso l’interno dell’Anatolia in marce forzate come quelle toccate prima agli armeni, oppure vengono massacrati nei villaggi. Fu un genocidio in piena regola, iniziato dalle autorità ottomane e poi portato avanti dall’uomo forte del nuovo Stato turco nascente, Mustafà Kemal».

Il genocidio ha avuto un riconoscimento ufficiale?

«Sì. Nel 2007, l’International Association of Genocide Scholars (Iags) ha adottato una risoluzione che riconosce il genocidio dei greci ottomani, insieme a quello di armeni e assiri. Il Parlamento greco nel 1994 ha istituito la “Giornata della Memoria per il Genocidio dei Greci del Ponto”, che ricorre il 19 maggio. Le autorità turche negano il genocidio: le vittime, a loro parere, sono cadute per la guerra. Ma qui si è trattato di una persecuzione sistematica, avvenuta anche contro i civili per motivi di appartenenza etnica e religiosa. Con il trattato di Losanna del 1923, lo scambio ufficiale di popolazioni fra Grecia e Turchia ha costretto gli ultimi greci del Ponto sopravvissuti ad andarsene, ponendo fine a una civiltà che aveva tremila anni di Storia».

monzaI suoi nonni le hanno parlato spesso di questi tragici eventi?

«A dire il vero, in famiglia vigeva un silenzio totale. Solo mia nonna Eratò ogni tanto accennava alla sua patria lontana, ma io ero bambina e non capivo a quali luoghi si riferisse e perché parlasse del Mar Nero… Eravamo greci: cosa c’entrava la Turchia? Nessuno ha mai parlato di genocidio, né di una fuga: ho scoperto solo da adulta, su internet, cosa era realmente avvenuto. Ma era troppo tardi per chiedere spiegazioni: mio padre, mia nonna e i più anziani erano già morti. L’idea del libro è nata allora, ed è maturata man mano che mi imbattevo in frammenti di questo passato a me sconosciuto».

C’è stato un momento particolare durante la sua ricerca storica, qualcosa che l’ha colpita?

«È stato un grande dolore scoprire, attraverso le fonti storiche, il genocidio. Ho sofferto molto nel documentarmi, ma era fondamentale dare a questo romanzo uno scenario assolutamente veritiero. Il momento più emozionante è stato quando, consultando un libro su Kotyora scritto negli anni Trenta, ho trovato il nome del mio bisnonno Petros Espielidis e di sua figlia Rodì nell’elenco degli insegnanti di una delle scuole greche del Paese. La nostra famiglia era stata veramente lì, ed era mio dovere tramandare la memoria, per onorare i morti e per ribadire, a chi ha voluto cancellare ogni traccia della loro presenza, che quelle sono state terre di millenaria cultura e civiltà greca».

 

Ludovico Stella

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