Perché all’Unione europea conviene una vittoria di Trump

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La distensione con Mosca e l’affossamento del TTIP: i punti del programma di “The Donald” che potrebbero tornare utili all’Ue e alla stessa Italia

Secondo gli ultimi sondaggi, a un meno di un mese dall’Election Day Hillary Clinton conserva 7 punti percentuali di vantaggio su Donald Trump: un risultato di per sé sorprendente, se consideriamo la tempesta mediatica in cui il candidato repubblicano è finito nelle scorse settimane per via delle sue – molto discutibili – affermazioni sessiste. Se si votasse qui in Italia, almeno stando a quanto si sente dal chiacchiericcio su metropolitane e locali pubblici, la Clinton vincerebbe a mani basse. Da noi l’ex first lady rappresenta ancora l’American Dream fattosi donna, mentre Trump è considerato come uno speculatore xenofobo e maschilista: un’opinione dettata spesso da vecchi stereotipi ma condivisa da molti, sulla cui formazione parecchio hanno influito i media televisivi nazionali e le grandi testate cartacee, per la verità molto schierate a favore della candidata Dem.

clinton_vs-_trump_2016«Come possono gli americani votare per quello lì?» è l’immancabile chiosa finale di questi discorsi da bar. Già, come è possibile che quasi la metà dell’elettorato statunitense stia dalla parte di un bieco palazzinaro invece di sostenere una degna erede del sogno americano? La risposta forse è che negli Usa un Homer Simpson qualsiasi si sente rappresentato da Donald Trump, perché l’unico in grado di capire il malessere che ormai da anni affligge la provincia americana e che gli otto anni di Amministrazione Obama hanno acuito. Alle paure provocate dall’incertezza economica, ai posti di lavoro sempre più precari, alla desertificazione industriale e al degrado sociale, “The Donald” risponde con una ricetta politico-economica che si richiama al vecchio istinto isolazionista del Partito Repubblicano, in soffitta da decenni ma che il tycoon newyorkese ha riproposto con successo fin dalle primarie.

Trump che ammicca al protezionismo e che propone una distensione con Mosca per ridurre la presenza (e soprattutto la spesa) militare Usa in Europa parla un linguaggio che piace al minatore della West Virginia e al proprietario terriero dello Utah, a cui importa poco cosa faccia Putin in Crimea ma preme molto che i burocrati di Washington la piantino di sperperare denaro americano nelle crisi politiche in giro per il mondo. E’questa la sonnacchiosa provincia americana che abbraccia Trump.

Ciò che sfugge a noi europei, troppo distratti dalle notizie pruriginose riguardanti il candidato repubblicano, è che una svolta isolazionista degli Usa in politica estera e in economia non sarebbe una tragedia. Anzi. Una normalizzazione dei rapporti con la Russia, per chiudere al più presto la “Guerra fredda 2.0” voluta da Barack Obama e appoggiata dalla stessa Clinton (che gode del sostegno della potente lobby dell’industria militare, allettata dall’opportunità di cospicui guadagni derivati da una nuova corsa agli armamenti) interessa da vicino Francia, Germania e soprattutto Italia. In molti ambienti politici e industriali europei da tempo cresce l’insofferenza verso le pressioni di Washington, sia per ciò che riguarda le sanzioni imposte al partner strategico russo (finora costate alle imprese italiane 11,7 miliardi di euro e 200mila posti di lavoro) sia per la necessità di aumentare la spesa militare per contrastare una improbabile minaccia russa (come dimostra l’ultimo scontro politico in Italia sul contingente da inviare in Lettonia, i cui costi di mantenimento graveranno inevitabilmente sul contribuente).

Se l’8 novembre Trump dovesse vincere e imporre una svolta isolazionista agli Usa, in Europa ci troveremmo a poter disporre di un margine di manovra politica del tutto inedito: l’assenza del “tutor” americano spingerebbe l’Ue a comportarsi da soggetto politico responsabile e a dover assumere decisioni dal peso di gran lunga maggiore di quanto finora sia mai stato. L’Unione europea avrebbe così la chance di svilupparsi come struttura geopolitica globale, e da ciò l’Italia avrebbe tutto da guadagnare, sia in termini di rinnovati rapporti commerciali con la Russia sia per il ruolo centrale che Roma sarebbe obbligata ad acquisire nella salvaguardia del confine Sud dell’Unione: una distensione Est-Ovest potrebbe favorire la tanto agognata politica comune di difesa europea, che vedrebbe la luce all’interno di una NATO orientata al Mediterraneo in un’ottica congiunta di lotta al jihadismo.

Vitre_ville-OGMAltro punto da cui l’Ue trarrebbe beneficio è l’avversione di Trump al TTIP, il cui futuro uscirà dalle urne la sera dell’8 novembre: il tycoon ha già affermato che con lui alla Casa Bianca l’accordo non si farà, contrariamente alla Clinton che sostiene in pieno la stipula del trattato di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, a condizioni che però pendono in maniera sproporzionata verso gli Stati Uniti. Troppe le questioni da risolvere su cui la controparte europea non concorda: dalla mancata disponibilità degli Usa di riconoscere le certificazioni Doc, Dop e Igp europee, all’irremovibilità di Washington sulla clausola Buy American, che di fatto obbligherebbe le aziende europee aggiudicatarie di appalti negli Stati Uniti ad adoperare esclusivamente materiali Made in the Usa.

Il volto soddisfatto del vice-Cancelliere tedesco Sigmar Gabriel mentre annunciava la scorsa estate il fallimento dei negoziati è stata alquanto eloquente: quello tedesco non è il solo esecutivo a nutrire forti perplessità sull’effettiva utilità di un accordo che, così com’è e nonostante sia stato mascherato da palliativo per i danni derivati dalla guerra commerciale con Mosca, nel Vecchio Continente non piace. Una vittoria di Trump affosserebbe definitivamente il TTIP e toglierebbe le castagne dal fuoco a molti altri governi Ue poco entusiasti dell’accordo, ma che si troverebbero in forte imbarazzo a contrariare la Clinton presidente, visto che l’ex first lady su questo tema non pare disposta a fare sconti ai partner europei.

Alessandro Ronga
Foto © Wikicommons

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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