Vino, il brand italiano dal senso mistico

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Nel 2015 l’Italia ha sorpassato la rivale storica Francia al primo posto nel mercato globale. Il Belpaese produce il 27,2% della bevanda di Bacco dell’Unione europea

Il vino è sicuramente il brand italiano con il maggior significato simbolico. Non solo una prelibatezza per accompagnare i pasti ed esaltarne il gusto, le sue radici hanno sempre avvicinato alla divinità. E pure in uno scenario di crisi globale del mercato enologico, l’Italia detiene il primato, con prodotti apprezzati più all’estero che tra i confini nazionali.

vino brand italiano3La coltivazione della vite fu introdotta dalla colonizzazione greca in Sicilia e Calabria, da lì la pianta si diffuse in tutta l’Enotria Tellus, la terra del vino, come veniva chiamata la penisola in età preromana. Ma fu con la conquista dei romani dell’Ellade che il vino assunse grande importanza. Se i greci celebravano inebriati i culti dionisiaci e orgiastici, i romani adattarono le festività ai cicli di produzione, le Vinalia di aprile e agosto, riconoscendo al vino anche proprietà mediche battericide. Tanto da rifornirne i loro legionari nelle campagne militari.

vino brand italianoL’avvento del Cristianesimo cambiò i costumi ma rimase un forte senso allegorico legato all’uso del vino. Non più ricreativo, ma sangue di Cristo, con il pane a formare il binomio indissolubile nell’eucarestia. La stessa vite sarebbe stata salvata da Noè durante il diluvio universale. La dominazione araba nel Mediterraneo cercò di imporre l’illegalità della viticoltura, ma ugualmente nei monasteri si continuò a produrre vino, soprattutto per celebrare i rituali cristiani. Tra alti e bassi, dal Rinascimento (soprattutto fiorentino) il vino recuperò quel valore che aveva nel periodo classico e dal Seicento ne iniziò il commercio, grazie al lavoro dei bottai che resero più economici sia la conservazione che il trasporto. Nel giro di un paio di secoli l’enologia assunse la dignità di scienza, con studi mirati sia alla comprensione delle caratteristiche del vino che alla realizzazione di un prodotto di qualità sempre migliore.

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Dopo le crisi della prima metà del Novecento e due guerre mondiali, dagli anni ’60-’70 in Italia ha ripreso a fiorire la viticoltura, con tecniche più avanzate. La modernizzazione ha eliminato coltivazioni promiscue, che mettevano insieme viti, ulivi e alberi da frutto, e introdotto il controllo della temperatura durante la fermentazione. Toscana, poi Friuli e Piemonte e via via tutte le regioni hanno moltiplicato esponenzialmente quantità e qualità del prodotto, conferendo a questo brand italiano l’indiscusso primato mondiale. Basti pensare che negli ultimi 30-35 anni i vini a Denominazione di origine controllata (Doc) sono aumentati del 19%.

vino brand italiano Con una copertura dell’8,2% dell’intero settore agricolo nazionale, l’Italia produce il 27,2% del vino dell’Unione europea, seconda solo alla Francia (28,6%) e davanti alla Spagna (24,7%), che da sole forniscono l’80% dei 185 milioni di ettolitri annui, stimati circa 15,6 miliardi di euro. Di questi, circa 4 miliardi sono italiani, più o meno il 25% del totale. Tuttavia il numero di imprese supera quello d’Oltralpe, con più di un milione di impiegati, a fare la differenza è il costo del vino francese, che rende circa 140 euro a ettolitro contro i nostri 79 euro, comunque ben superiori a Spagna (25 euro) e Grecia (13 euro).

vino brand italianoDal 1 gennaio 2016 i regolamenti Ue hanno previsto il passaggio alle autorizzazioni all’impianto, sostitutivo dei diritti di impianto dei vigneti, in ogni caso licenze che ogni produttore deve avere. Il nuovo sistema è un compromesso con la completa deregolamentazione voluta dai vertici europei e combattuta dai maggiori produttori, Francia e Italia. In sostanza, mentre prima un produttore che intendesse mettere a frutto un nuovo vigneto poteva acquistarne i diritti, ora le nuove autorizzazioni non possono superare l’1% del potenziale produttivo nazionale, cioè per l’Italia un massimo di 6.400 ettari per ogni nuovo impianto.

Ha spaventato invece, anche se non ci sono state più novità, l’ipotesi di modificare il regolamento Ue 607 del 2009 in merito alle Denominazioni di origini protette (Dop) e le Indicazioni geografiche protette (Igp). I rischi della liberalizzazione erano che qualsiasi Paese avrebbe potuto usare etichette riservate ad altri Stati o località. Al momento E-Bacchus è la banca dati che include i registri di denominazione ai sensi del regolamento Ue 1308/2013 e gestisce gli accordi bilaterali sugli scambi con i Paesi interessati.

vino brand italianoA livello mondiale invece l’Italia nel 2015 ha superato la Francia, accaparrandosi il primato con una produzione di 48,9 milioni di ettolitri, secondo quanto riportato da Coldiretti. 332 i vini Doc, 73 quelli a Denominazione di origine controllata e garantita (Docg), 118 gli Igt. Tra le regioni in testa c’è il Veneto, che produce il 20% del totale italiano, contro il 15% di Puglia ed Emilia-Romagna. A metà 2016 le esportazioni sono incrementate del 4%, con un +9% verso il mercato cinese. Prima meta è l’Ue, che assorbe il 62% delle nostre esportazioni. Importanti per la crescita sono anche gli spumanti, in costante salita negli ultimi mesi e oramai giunti al 21% delle esportazioni. A fare da contraltare, sono però calati i consumi interni, ai minimi storici addirittura dall’unità d’Italia, -20% rispetto a 12 mesi fa, sotto i 37 litri annui pro capite.

Anche per questo brand italiano vale l’antica espressione di Cristo (e si chiude il cerchio del vino) nemo propheta in patria.

 

Raisa Ambros

Foto © Altervista; www.massuccowine.com; Travel Taste Sicily; Ticino Finanza; Comune di Atzara; scrivonapoli

 

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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