L’Europa a un bivio. Sul Recovery Fund in gioco due idee di Ue
«Vogliamo essere solidali con gli Stati che sono stati colpiti duramente dalla crisi, ma riteniamo che la strada giusta siano mutui e non contributi. Nei prossimi giorni presenteremo una proposta con una serie di idee. Siamo convinti che il rilancio dell’economia europea sia possibile, senza una comunitarizzazione dei debiti». Parola di Franz Kurz. Il giovane presidente austriaco alla guida del fronte dei “rigoristi” del Nord boccia la proposta franco-tedesca di un Fondo per la ripresa con 500 miliardi rimborsati da tutti gli Stati dell’Unione europea. Austria, Olanda, Svezia e Danimarca (stavolta, però, manca la Finlandia) aprono formalmente le ostilità con Berlino e Parigi sul Recovery Fund. L’iniziativa di Macron e Merkel non è piaciuta. Il cambio di rotta della cancelliera tedesca sul debito comune ha lasciato soli Kurz e il primo ministro olandese, Mark Rutte (a destra nella foto). Che hanno deciso di proseguire per proprio conto con svedesi e danesi. Nuovi equilibri, dunque. Ma soprattutto due diverse scuole di pensiero, due diverse idee di Europa.
Sì perché sul Recovery Fund si gioca una partita essenziale per il futuro dell’Ue. La mutualizzazione del debito attraverso i famigerati eurobond rappresenta per Bruxelles un’opportunità per un “nuovo patto” che cambi il volto dell’Unione europea nei prossimi decenni.
Due le opzioni attuali. La prima: mantenere lo status quo di un’Europa confederale in cui le relazioni tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione sono state vincolanti, ma fino a un certo punto. E in cui i Paesi economicamente più forti, anche quelli di modeste dimensioni, hanno dettato regole e agenda delle politiche monetarie e di mercato, tirando ciascuno l’acqua al proprio mulino e senza mai volere un’effettiva federazione e unità politica. Della serie, ognuno per sé e Dio per tutti. Un’idea di Europa che si sposa bene con le spinte nazionaliste interne agli Stati e destinata nel tempo a indebolire l’architettura istituzionale dell’Unione e ogni processo di integrazione europea. In questa direzione va il primo ministro austriaco quando dice: «non accetteremo forme di condivisione del debito».
E una seconda: ricompattare l’Europa sotto choc per la contrazione economica senza precedenti che si aperta con il coronavirus. Come? Con politiche economiche e finanziarie nuove e mettendo a disposizione dei Paesi più colpiti anche risorse a fondo perduto da spalmare su tutti i 27 Stati membri, appunto con debito comune. E con una politica di riforme e di rinnovamento: un progressismo europeo pronto a inserire nel bilancio pluriennale voci e risorse inedite da reperire con eurobond che poi la Commissione rimborserebbe agli investitori. Una novità senza precedenti. Un cambio di passo vero verso un’Europa solidale, davvero unita e più forte nello scenario internazionale. Anche dopo il 2008 fu avanzata una proposta simile, ma non andò importo. Paesi come La Grecia dovettero chiedere prestiti e le condizioni imposte furono pesantissime. Stavolta la crisi è diversa. Gli esperti la chiamano “simmetrica“. Tutti sono dentro e nessuno può salvarsi da solo. La Germania finalmente lo ha capito. L’asse decisionista con la Francia non è politically correct nei confronti degli altri partners europei, ma almeno ha creato un fronte più forte verso il cambiamento e per l’adozione di strumenti inediti per affrontare l’emergenza. Anche le istituzioni dell’Ue sembrano averlo compreso.
La Bce lancia da settimane segnali in questa direzione. «Il Patto di stabilità va rivisto e adeguato alle nuove sfide», ha detto di recente Christine Lagarde. Che anche nei confronti della recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca sul programma di acquisto di titoli lanciato nel 2015 non ha esitato a prendere una posizione decisa e di difesa del proprio operato. «Continueremo a fare tutto il necessario per fronteggiare la situazione eccezionale che si è creata». La Commissione è dello stesso avviso. Il 27 la presidente Von der Leyen è attesa a Strasburgo per presentare la sua proposta di Recovery Fund. A metà giugno saranno i rappresentanti dei governi a dover dire la loro. Le condizioni per una svolta ci sono. Ma serve coraggio.
Annamaria Graziano
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