Da Damasco ad Amsterdam, scene di matrimoni interreligiosi

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Nuovo cinema siriano: intervista al regista di “Sotto il tappeto – Under the rug”

Alì W. Younis è un giovane regista siriano trasferitosi in Italia nel 2007 per motivi di studio. Frequenta per tre anni la Facoltà di Scienze Politiche all’Università di Pavia, in seguito decide di dedicarsi alla carriera cinematografica e si iscrive alla Civica Scuola di Milano. La sua opera prima è il film-documentario “Sotto il tappeto“.

Quali tematiche affronta il tuo docu-film?

«”Sotto il tappeto” racconta alcuni aspetti della società siriana attraverso tre coppie di matrimonio misto. Il mio intento era di far emergere la realtà profondamente settaria della società siriana, attraverso l’istituzione del matrimonio. Il matrimonio è infatti un potente indicatore delle dinamiche di una società e insieme al profondo intreccio tra personale e sociale ne fa un potente mezzo di emersione delle dinamiche conflittuali connesse. Quindi, andando oltre quello che appare in superficie, è da “sotto il tappeto” che emergono le asimmetrie e i contrasti tra persone o gruppi in una società (possono essere contrasti economici, di classe sociale, religiosi, ideologici)».

–  In che senso definisce la società siriana settaria?

«Mi spiego meglio. La società siriana è composita perchè frutto di una storia complessa; ad esempio, le tre principali religioni in Siria sono Islam, Cristianesimo e una minoranza ebrea. Ma l’Islam come religione non è unica e unita, ci sono 73 gruppi al suo interno e molti di questi proprio in Siria. Questo gran numero di minoranze, etniche e religiose, sono costrette a una convivenza a volte forzata. Il contrasto spesso è nascosto e ben edulcorato e le mediazioni tra le diverse parti sono fragili e contraddittorie. Nel corso della storia il nostro Paese ha affrontato questa difficile convivenza. Mi ripeto, finchè non alzi il tappeto non vedi i problemi! C’è un vero conflitto all’interno dell’Islam, tra questi gruppi. Un problema accumulato fino al 2011. Da nove anni, dall’inizio della guerra, abbiamo sempre associato alla Siria le immagini di distruzione, dei profughi, dei bambini…ma si è parlato poco della causa di questa guerra civile. Si è cercato di semplificare, come se la guerra fosse un conflitto tra due parti. Ma cosa c’è sotto? Il vero conflitto è scaturito dal corso della storia».

Perché un documentario?

«Ci tenevo a raccontare una Siria diversa, lontana dalla solita rappresentazione che viene messa in luce dai media. Inoltre volevo mostrare la realtà pura senza filtri. Il documentario, fra le varie forme audiovisive, è quella che potenzialmente permette una rappresentazione più realistica della realtà. Poi ho scelto il montaggio alternato che da più ritmo alla narrazione e molta importanza riveste anche la musica che ho inserito. Gli anni 2000 rappresentano un tentativo di cambiamento molto forte in Siria dal punto di vista sociale. Il  sentore di una nuova apertura storica verso l’Occidente in generale e l’Europa in particolare hanno provocato una spinta veso cambiamenti ed evoluzioni dei propri valori. Non era immediato sentire questo cambiamento o questa volontà di cambiamento ma si rispecchiava in vari settori del quotidiano. Ad esempio l’introduzione di una nuova musica nella vita quotidiana, che ha tentato di mantenere una linea classica araba ma contemporaneamente ha “osato” introdurre nuove linee influenzate da una musica occidentale. Dunque anche la musica scelta per questo film tenta di raccontare questi conflitti, tra nuove e vecchie convinzioni, che a mio avviso hanno marchiato per sempre questo periodo storico della Siria».

Come hai scelto i protagonisti?

«Cercandoli ho girato quasi mezzo mondo! Ma partiamo dall’inizio. La mia idea originaria era di realizzare tutto a Damasco ma nel 2014, quando ci sono andato, ho riscontrato diversi problemi organizzativi. Oltre a questo, all’ultimo momento alcuni ragazzi che avevo ingaggiato si rifiutavano di parlare di problematiche interfamiliari. Era comprensibile: la gente trova difficoltà a raccontare la vita nelle proprie famiglie. Inoltre avevo scoperto che una delle coppie che volevo intervistare era appena andata in Egitto. Ci tenevo ad intervistarli proprio nel loro Paese d’origine: May una ragazza musulmana alauita e Elias cristiano cattolico; per la legge religiosa, che influenza anche il diritto, era un matrimonio impossibile. Tornato in Italia, dopo diverse ricerche, li ho rintracciati ad Amsterdam e nel frattempo ho trovato anche le altre due coppie (formate da musulmani, alauiti e sunniti). Così ho raccolto le testimonianze di questi siriani che vivono lontani dalle restrizioni e quindi più liberi di esprimersi. Ma nonostante questo, c’è stato qualcosa che mi hanno detto che non volevano fosse trasmesso perchè temevano potesse compromettere i loro rapporti coi genitori. Il racconto delle tre storie di matrimoni interreligiosi, vorrei portasse la società siriana a riflettere sulle proprie contraddizioni interne e allo stesso tempo le moderne società europee a scoprire le dinamiche di un mondo così vicino e le inadeguate semplificazioni che inevitabilmente ne derivano».

 

Antonio Vanzillotta

Foto © Alì W. Younis

Video © Eurocomunicazione

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Antonio Vanzillotta
Giornalista pubblicista, laureato in lettere indirizzo cinema e teatro, appassionato di tematiche socio-politiche ha iniziato all’agenzia stampa Adn-kronos di Milano. Dopo una breve collaborazione con la facoltà di scienze politiche, si è trasferito in Liguria per continuare la sua attività giornalistica presso testate cartacee e on-line. Attualmente nel capoluogo lombardo si occupa di viaggi e terzo settore con il prezioso ausilio della sua macchina fotografica.

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