Emergenza Covid, protesta dei giovani laureati davanti a Montecitorio

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Hanno studiato e sono diventati psicologi, farmacisti e biologi. Durante il lockdown sono stati spesso d’aiuto, ma ora manifestano per chiedere il riconoscimento del tirocinio come abilitazione

Laureati in psicologia, farmacia e biologia impegnati anche nell’emergenza Covid, si sono fatti sentire venerdì 12 giugno davanti a Montecitorio, sede della Camera dei deeputati, rispettando le “distanze di sicurezza” previste dalle norme in vigore in questi giorni, per protestare contro il non riconoscimento del proprio ruolo, ma soprattutto per il loro curriculum. Quella di Roma è stata l’ultima e forse più eclatante fra le proteste svolte a livello nazionale, dopo quelle tenutesi in altre parti d’Italia.

Distanze invece che si allungano rispetto al lavoro per medici e infermieri, disconoscendo i pari diritti delle altre professioni sanitarie e non considerando le difficoltà di continuare e concludere il proprio percorso di tirocinio svolto durante l’emergenza dagli psicologi e da abilitandi al loro fianco. «Noi non siamo iscritti ad un albo professionale, né siamo più considerati studenti universitari. Noi, abilitandi alla professione di psicologo, siamo cittadini occupanti un limbo inascoltato». La psicologia dal 2018 è considerata una professione sanitaria (Legge Lorenzin) , poichè deve sottostare a principi etici precisi che orientano il professionista psicologo nel suo lavoro e sponsorizzazione, però non sembra ritenuta al pari di altre professioni sempre facenti parte delle professioni sanitarie.

I manifestanti hanno messo in risalto le “discriminazioni” a loro carico. «L’emergenza che stiamo vivendo ha visto nascere discriminazioni anziché stimolare cooperazione e virtù: si pensi che lo Stato ha riconosciuto un bonus di 600 euro ai colleghi psicologi iscritti all’albo, mentre a noi ne chiede 500 euro per effettuare un esame di Stato per iniziare a lavorare; o ancora che lo Stato prevede un più rapido avviamento al lavoro per medici e infermieri, disconoscendo i pari diritti delle altre professioni sanitarie e disconoscendo tutto il lavoro fatto durante l’emergenza dagli psicologi e da noi abilitandi al loro fianco. Ancora una volta lavoro gratuito, ma che ci ha identificato in un ruolo oltre che fornirci l’ennesimo perfezionamento pratico professionale».

Le spese che le famiglie hanno sostenuto in questi anni per una laurea magistrale di dottore in Psicologia (5 anni di università + 1.000 ore di tirocinio professionalizzante da aggiungere a quelle curricolari) ammonta almeno a 10mila euro. «L’esame di abilitazione che prevede il regalo allo Stato di un anno di vita lavorativa a nostre spese, chiamato tirocinio professionalizzante, che prevede, per essere ritenuto idoneo, la presentazione e accettazione di un progetto formativo e minimo 210 giorni di lavoro gratis secondo quanto richiesto dall’ente ospitante, perché sì, siamo noi a dover andare a bussare alla porta di professionisti ben avviati, visto che la domanda di tirocini è superiore all’offerta di tutor».

In nessun altro Paese europeo, eccetto l’Italia, è previsto un esame di Stato per l’autorizzazione, cioè abilitazione alla professione, ma questa è ottenuta al termine degli studi universitari, con tanto di tirocinio, e con l’iscrizione e registrazione, presso il ministero della Salute o presso il ministero delle Professioni. «Chiediamo di essere ascoltati non perché abbiamo bisogno di lamentarci di un percorso professionale che ristagna da decenni (dal 1989, ndr), ma perché all’ennesima beffa strutturale, noi non ci stiamo!». Non si vuole aggravare la situazione delle famiglie, già provate a causa della situazione di emergenza sanitaria mondiale e ancora in attesa di ricevere la cassa integrazione, 500 euro per un esame inutile e altro tempo prima di poter lavorare. Perché un esame di Stato, oltre allo studio che prevede, necessita di una spesa in denaro non indifferente e tempo prezioso.

I manifestanti chiedono un incontro al ministro Gaetano Manfredi, che presumibilmente non sembra aver ancora affrontato le ragioni della protesta. «Conosciamo bene la Costituzione e il fatto che l’abolizione degli esami di abilitazione risulterebbe incostituzionale, però non chiediamo questo, chiediamo invece che il tirocinio professionalizzante non remunerato di un anno che noi psicologi completiamo dopo la laurea venisse valutato da professionisti già iscritti all’albo ed equiparato all’esame di Stato». Tra le tante rimostranze che gli abilitandi rivendicano, va sottolineato il comportamento degli Atenei sede degli esami di Stato: alcuni Atenei non hanno ancora pubblicato i bandi di concorso (a pochi giorni dalla chiusura dell’iscrizione), mentre altri richiedono modalità di controllo al limite dell’impossibile: mani in evidenza, sguardo fisso alla camera, parete bianca, controllo del desktop e del computer stesso, controllo della stanza, oltre alla sottolineatura che, in caso di caduta della connessione, si rimettono alla possibilità di bocciare l’esaminando senza possibilità di appello né di rimborso della esosa tassa: calcolando che, nella stessa data, ci saranno migliaia di futuri professionisti di tutti gli ordini professionali, dagli architetti ai veterinari, negli stessi atenei, il rischio di crash telematico è fortemente probabile, come successe nel sito dell’Inps. È prevedibile che, date tali premesse, si aprirà un contenzioso legale inutile e dispendioso per tutti, causa una class-action di massa per gli inevitabili ricorsi legali.

I precedenti. Il 25 marzo il Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu), massima espressione della rappresentanza studentesca universitaria e organo politico e ministeriale, redige un documento nel quale si richiede al ministero dell’Università della Ricerca di legiferare in merito agli esami di abilitazione alla professione. Tale documento riporta la volontà e la necessità di una reale semplificazione di tali esami in quanto a meno di due mesi dal loro inizio non sono state date disposizioni in merito agli stessi da parte del ministero; 8 aprile: viene approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il cosiddetto “Decreto Scuola” (n. 22/2020). In quest’ultimo si fa riferimento, per la prima volta, dopo più di un mese dall’inizio dell’emergenza sanitaria, agli esami di abilitazione. Nello specifico, all’articolo 6, si fa riferimento alla possibilità, da parte del ministero dell’Università e della Ricerca, d’individuare modalità di svolgimento alternative a quelli finora vigenti, comprese le modalità a distanza, in remoto; il 24 aprile viene approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM n. 38/2020. Con quest’ultimo il ministro Manfredi fa differire i termini della prima sessione degli esami di Stato, dal 16 giugno al 16 luglio, data da considerare fittizia, in quanto appare irrealistico che le migliaia di esaminandi possano essere interrogati nello stesso giorno, creando così disparità fra gli stessi; il 29 aprile viene approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DM n. 57/2020. In quest’ultimo il ministro Manfredi, in deroga alle disposizioni normative vigenti, convoglia l’esame di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni – per la prima sessione dell’anno 2020 – in un’unica prova orale, da svolgersi in modalità a distanza, omnicomprensiva di tutte le materie previste dall’esame di Stato canonico. Nel prendere tale decisione, Manfredi consulta gli Ordini professionali per chiedere il loro parere: questi ultimi accordano il proprio consenso come riportato nella sezione iniziale dello stesso DM, senza però prevedere alcun oggettivo criterio di valutazione o di svolgimento, lasciando carta bianca alla totale “arbitrarietà” delle commissioni l’esito di una prova che è un vero e proprio concorso che, costituzionalmente dovrebbe garantire criteri di trasparenza, uguaglianza e imparzialità. Gli Ordini, dunque, esprimono tale parere senza considerare le richieste sottoposte alla loro attenzione – relative alla situazione critica che stanno vivendo migliaia di ragazzi e chiedendo informazioni in merito – ignorando così le richieste suesposte per oltre 2 mesi. Allo stesso modo vengono deliberatamente ignorate anche le rappresentanze studentesche – nella figura dell’organo ministeriale Cnsu – che avevano provato a comunicare con il ministro.

 

Giorgio De Santis

Foto © Simona Vitello

Video © Eurocomunicazione

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