Moldavia, investire sull’industrializzazione per il salto di qualità

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Denis Rosca, cofondatore del partito europeista PACE espone soluzioni e risposte ai falsi miti che hanno bloccato il pieno sviluppo economico del Paese

«È fenomeno comune, negli Stati con una debole democrazia: bloccare l’industrializzazione e la transizione verso un’economia di mercato consente alla classe politica di mantenere il controllo sul sistema esistente. I leader politici sono concordi nel gestire un PIL inferiore ma controllabile piuttosto che un PIL in crescita basato sulla libera concorrenza». A dirlo è Denis Rosca, dottorando in Economia – specializzazione in Industrializzazione – e cofondatore di PACE, Partidul Acasă Construim Europa, il Partito moldavo Costruiamo l’Europa a Casa Nostra.

I Paesi ex-sovietici hanno avuto uno sviluppo industriale più lento, avvertendo la necessità di forti politiche agrarie che generavano il «14-16% del PIL» a fronte di una media europea dell’1 o 2%. I bassi salari nell’agricoltura, però, «portano basse entrate in termini di imposte e di fondi pensione». Negli anni, dunque, si sono sviluppati una serie di falsi miti sull’economia, sintetizzati da Rosca in 10 punti principali.

1- Lo Stato non ha soldi. «La popolazione con una memoria sovietica ancora vivente sa che solo lo Stato investe in beni. Nel mondo, il ruolo statale è regolare l’attività economica e semplificare le attività contribuendo a risolvere le sfide, a far accedere alle infrastrutture, alla riqualificazione del personale eccetera».

2- Non c’è mercato per i nostri prodotti. «Queste argomentazioni sono fatte da chi non è entrato nel cuore dei processi internazionali». La popolazione mondiale continua a crescere, «con essa il consumo di varie categorie di prodotti. E la maggior parte dei Paesi è a disposizione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per l’accesso al mercato dei prodotti stranieri».

3- Il Paese ha una superficie troppo piccola. «Si ritiene che un’area più vasta possa consentire lo sviluppo sia dell’agricoltura che dell’industria». Ma se prendiamo Israele, «ha un PIL equivalente alla somma di quelli di Romania e Ucraina ma con una superficie 40 volte inferiore. È un’argomentazione basata su percezioni generali e non su calcoli economici avanzati».

4- La mancanza di risorse naturali. «Molti cittadini sono convinti che l’assenza di petrolio o materie prime preziose sia determinante nella qualità dei servizi statali». Ma nel XXI secolo «il capitale umano è più importante delle risorse». Un esempio in tal senso è il Giappone, privo di risorse naturali significative ma tra le prime tre economie mondiali. E nemmeno «i Paesi con un maggiore PIL pro capite hanno queste disponibilità».

5- La popolazione influenza l’industrializzazione. «È un altro argomento speculativo di funzionari che rifiutano cambiamenti strutturali». Il Regno Unito, ad esempio, ha una popolazione di gran lunga inferiore all’India, che supera il miliardo di abitanti, ma PIL nominale e pro capite sono molto più sviluppati.

6- Il costo dei fattori di produzione. «Anche qui si fa riferimento a una visione astratta secondo cui in alcune regioni il costo di produzione sia più economico». Ma, studiando il ciclo del valore di una materia prima, può succedere che «l’intero processo sia più redditizio se sviluppato sul posto». L’industrializzazione comporta il rischio di non essere competitivi nel lungo periodo, «per questo si evita di sviluppare progetti che richiedono investimenti massicci». Non si può estendere il discorso a tutte le materie prime, ma «abbiamo tanti esempi di Paesi con uno stipendio medio abbastanza elevato a fronte di alti prezzi di vendita dei prodotti finiti e di un complesso sviluppo industriale orizzontale per i maggiori ricavi».

7- L’enorme consumo di energia. «È una motivazione portata avanti di chi ha scarsa formazione nel settore». Il maggiore dispendio si ha nella fase di estrazione delle risorse grezze, «nelle altre fasi il consumo è inferiore. Ecco perché molti Paesi, pur avendo importanti risorse naturali, rimangono meno sviluppati di altri che commerciano il prodotto finito».

8- L’impatto ecologico. È possibile investire nell’industria e nella green economy allo stesso tempo. «La realtà è che alcuni Stati insistono sul rispetto delle norme ambientali, altri no. E là dove vengono create soluzioni ecologiche, l’ambiente non ne risente». Un buon processo di riciclaggio, di gestione di acqua e rifiuti, «può sviluppare nuovi posti di lavoro rispettando l’ambiente e le norme in materia di ecologia».

9- L’esaurimento delle risorse esistenti energetiche. Queste si dividono però in diverse categorie. Esauribili, rinnovabili (come il legname), riciclabili, che sono la vasta maggioranza, inesauribili (energia eolica, solare, geotermica, idrica, idrotermica e altre ancora). «È necessario analizzare il termine “materia prima” in modo complesso, in modo che non venga utilizzato troppo genericamente».

10- L’industrializzazione selettiva. «Si pensa che lo Stato debba stimolare solo le industrie più avanzate, con margini di profitto elevati e competitività sul mercato». Se l’intenzione è di per sé positiva, «nel processo di attuazione questo approccio diventa instabile in termini di manutenzione delle infrastrutture o delle materie prime». Una corretta industrializzazione deve «evitare le situazioni di crisi, seguendo i principi delle sue varie fasi. Qualsiasi tecnologia più avanzata necessita un’industria primaria, come la lavorazione dei metalli».

Secondo Rosca, quindi, la nuova Moldavia ha maggiori possibilità di fare il salto di qualità dal punto di vista economico con dei ben precisi programmi industriali. Nel periodo di dominazione sovietica, l’industria era più sviluppata che allo stato attuale e «molti hanno nostalgia dei successi» di allora. Con la transizione dal socialismo reale a un’economia di libero mercato, c’è stata una gestione del settore di gran lunga peggiore.

«Ci sono 30 categorie di materie prime non utilizzate, a partire dal riciclaggio dei rifiuti, della plastica, dei metalli, la lavorazione delle pelli» e molto altro, lamenta Rosca. A pieno regime, secondo i suoi studi, le aziende potrebbero arrivare a fatturare «il 70% del totale delle importazioni annuali».

Il vantaggio che la scarsa industrializzazione comporta è la possibilità di attrarre investimenti. Un settore appetibile è quello energetico, la legislazione moldava «obbliga lo Stato ad acquistare le eccedenze energetiche», spiega Rosca, «aprendo l’opportunità allo sviluppo di fonti rinnovabili».

Il tessuto produttivo del Paese è cambiato negli ultimi anni e ora tra i settori leader ci sono l’industria automobilistica, tessile, ma si può riscontrare anche un aumento della tecnologia di informazione (IT), grazie anche a un regime fiscale agevolato. La Moldavia ora guarda con attenzione al mercato europeo, verso cui va il grosso delle esportazioni, circa il 70%.

Le statistiche sul tessile sono però viziate dall’outsourcing, l’appalto a società esterne di interi cicli produttivi. «In Moldavia avviene la cucitura di molti marchi internazionali. Abbiamo circa 30 mila dipendenti qualificati ma a causa dell’assenza di altre fasi, a partire dalla lavorazione delle materie prime, questa attività non rientra ufficialmente nel settore».

Per superare la serie di sfide che il Paese sta affrontando, la Moldavia guarda all’Europa e alle cosiddette “tigriasiatiche, tutte quelle economie come Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan, Singapore, che nella seconda metà del Novecento hanno intrapreso un percorso di industrializzazione che ha portato a importanti mutazioni strutturali.

Dallo studio dei vari casi di successo, Rosca ha individuato alcune risposte e soluzioni che potrebbero portare la Moldavia a un livello successivo di sviluppo.

«Graduali privilegi alle imprese che si occupano di un intero ciclo produttivo, dalla materia prima al prodotto finito, in termini di prestiti preferenziali, sussidi, accesso alle infrastrutture e agevolazioni fiscali; creazione di specifiche piattaforme di categoria; analisi macroeconomiche degli effetti dei programmi statali sull’economia, in modo da identificare soluzioni su riqualificazione del personale, politiche doganali, incentivi; analisi delle materie prime non sfruttate per presentare le opportunità di investimento in Moldavia».

I rapporti con l’Unione europea hanno già fatto sì che diverse categorie certificate di prodotti siano state immesse nel mercato continentale e un prodotto in forte crescita qualitativa – meno per quanto riguarda l’export – è il vino: nel 2019 i vini moldavi hanno ottenuto oltre 400 premi internazionali. La chiusura di Rosca è sul turismo, «stiamo implementando sette nuovi programmi per attrarre turisti, abbiamo posti meravigliosi e persone interessanti. Vi invito a visitare la Repubblica di Moldavia!».

 

Raisa Ambros

Foto © Denis Rosca; agora.md; moldova.org; madein.md; bani.md; usaid.gov

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

1 commento

  1. Il capo del cosi detto partito ” PACE” Cavcaliuc è un ex poliziotto corrotto e partecipe a molti reati contro il popolo moldavo e i cittadini di Moldova .Con uno stipendio modesto e una famiglia con due figli a carico e riuscito a costruirsi un piccolo impero che pochi italiani se lo possono permettere.

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