1920, la rivolta ad Ancona dell’11° Bersaglieri

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L’evento avvenne nel contesto storico del Biennio Rosso caratterizzato da sommosse popolari e provò al governo Giolitti che il Paese non avrebbe sostenuto ancora l’occupazione dell’Albania

La storia che racconteremo, peraltro poco conosciuta, è contenuta nel libro “Quaderno III 2020” dal titolo: “Il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (1919-1922)” pubblicato dall’Ufficio Storico della Polizia di Stato, ed è a cura di Raffaele Camposano, primo dirigente della Polizia di Stato e dal 2009 dirigente del Museo e Ufficio Storico della Polizia di Stato.

Al termine della Prima Grande Guerra le autorità politiche e di Sicurezza Pubblica avevano lamentato l’insufficiente organico del Corpo delle Guardie di Città, stabilito in circa 13.000 agenti. Poiché l’Arma dei Carabinieri impegnata al fronte e nei servizi disposti dal ministero della Guerra non era stata in grado di assicurare l’ordine pubblico, fu spesso utilizzato per sedare rivolte contro la popolazione stremata dalla fame, il Regio Esercito. Durante il conflitto erano stati mobilitati oltre cinque milioni di italiani, ma ora nel 1919 a guerra finita, per ridurre le spese, al ministro della Guerra, generale Alberto Albricci, era stato dato l’incarico di operare un drastico ridimensionamento dell’Esercito. Al momento dell’armistizio con l’Austria i militari erano oltre 3 milioni e la smobilitazione procedette dapprima velocemente, poi per problemi contingenti a rilento. Era usuale all’epoca, dato l’esiguo numero delle forze di Polizia, per sedare manifestazioni e dimostrazioni delle masse di lavoratori e braccianti, organizzate politicamente che rivendicavano terre da coltivare, nonché per scioperi che sfociavano spesso in conflitti sanguinosi, impiegare per sedarle, l’utilizzo del Regio Esercito. Se da una parte l’impiego delle truppe, in servizio di ordine pubblico, fu poco gradito, finì poi per rivelarsi anche pericoloso, in quanto i militari, avvicinati da elementi socialisti o anarchici, tendevano a fraternizzare con i protestatori. Il non totale affidamento offerto da reparti militari composti da elementi stanchi, e desiderosi di tornare alle loro famiglie, spianò la strada alla militarizzazione della Polizia e alla conseguente istituzione della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza. Fu in questo contesto storico che avvenne la Rivolta dei Bersaglieri meglio nota come la rivolta di Ancona, scoppiata nel giugno del 1920 nella città adriatica ed estesasi poi ad altre città.

Nella arretrata e feudale Albania, all’epoca occupata dagli italiani, le cose si stavano mettendo male per il Regio Esercito. L’offensiva albanese aveva espugnato alcuni nostri presidi causando morti e feriti, il generale Settimio Piacentini che comandava quel territorio, chiese quindi urgentemente a Roma dei rinforzi. Il 19 giugno 1920 il ministro della Guerra Ivanoe Bonomi facente parte del Governo Giolitti decise che era l’11° Reggimento di Bersaglieri di stanza nella Caserma “Villarey” di Ancona a dover partire per l’Albania per raggiungere Valona, occupato dal corpo di spedizione italiano, che nel frattempo era stato decimato non solo dalla resistenza albanese, ma da una grave epidemia di malaria, essendo il nostro esercito acquartierato in territorio paludoso. I Bersaglieri sarebbero dovuti partire alle luci dell’alba del 26 giugno 1920 a bordo di due bastimenti mercantili con equipaggi della Regia Marina. Il contingente era composto di quattrocento uomini e comprendeva anche il 17° fanteria giunto da Ascoli Piceno. Due giorni prima (24 giugno) l’ordine di partenza era stato ricevuto dal comandante generale Tiscornia della caserma di Ancona, che lo ratificò la sera stessa al colonnello Paselli, ma né gli ufficiali né i soldati sapevano nulla. Solo l’indomani ne fu data notizia agli ufficiali e alla truppa. Le reazioni alla notizia furono opposte. Gli ufficiali eccitati per l’inaspettata possibilità di carriera si dichiararono favorevoli, i soldati, specie i più anziani che non vedevano l’ora di congedarsi dopo quaranta mesi di ferma, si lamentarono di dover partire ancora per la guerra. Si erano appena salvati da quella conclusa e ora rischiavano di ammalarsi seriamente di malaria o morire per un colpo di mitraglia in Albania.

Molti ne discussero animatamente fra loro. Il più risoluto fu il bersagliere Monaldo Casagrande che decise di passare all’azione. Alcuni militari si misero in contatto con i rappresentanti delle Camere del Lavoro locali con vari socialisti e anarchici che diedero subito il loro appoggio con l’indizione, il giorno seguente, dello sciopero generale seguito da comizi e cortei per impedire la partenza del contingente. Fatto sta che alcuni militari grazie alle assicurazioni ricevute, organizzarono una rivolta in caserma confidando nel sostegno della popolazione. Il gruppo dei militari ribelli, fece irruzione nel corpo di guardia, prese in ostaggio l’ufficiale di picchetto, quindi neutralizzarono altri ufficiali e militari contrari alla rivolta imprigionandoli. Tagliati i collegamenti telefonici con l’esterno e forzata l’armeria, posizionarono una mitragliatrice davanti al portone di ingresso. Per il trambusto, cominciarono ad arrivare all’esterno alcuni cittadini incuriositi e solo dopo qualche ora le forze dell’ordine, che iniziarono l’accerchiamento della caserma. Un battaglione di Carabinieri si posizionò intorno, mentre la Reale Marina fece affluire rinforzi da Pesaro. Nel frattempo la notizia si era sparsa per tutta la città, una folla di donne e bambini inneggiò alla rivoluzione, fraternizzando con i ribelli e si pose davanti al portone. Alcuni giovani riuscirono ad entrare e ne uscirono armati con fucili, bombe a mano e due mitragliatrici. I ribelli uscirono dalla caserma con un autocarro blindato e furono fatti segno a colpi di arma da fuoco da parte delle forze di Polizia, il blindato rispose uccidendo un carabiniere. I facchini del porto, gli operai del cantiere navale, i ferrovieri e i tramvieri, i muratori e altri lavoratori indissero uno sciopero generale. Maestranze di altre città, venute a conoscenza proclamarono scioperi di solidarietà con scontri con la forza pubblica. Così avvenne a Jesi, Osimo, Tolentino, Macerata, Fabriano e Pesaro poi a Cesena dove un agente investigativo morì pugnalato da un anarchico. A Milano fu proclamato uno sciopero per solidarietà, anche a Roma fu proclamato uno sciopero generale.

Il Prefetto di Ancona chiese a Roma urgenti rinforzi con almeno 1.000 uomini di truppa e 500 Guardie Regie, nonché una nave da guerra. Ancona città tradizionalmente operaia, era conosciuta dalle autorità per la forte presenza anarchica, socialista e repubblicana e aveva fama di città ribelle e antimilitarista. La situazione precipitò, molti cittadini si armarono con fucili da caccia e moschetti, depredati alle piccole caserme e presidi militari isolati. Gruppi di scalmanati cominciarono a sparare contro le Regie Guardie e i Carabinieri che incontravano e cercarono di impedire, al porto, lo sbarco dei rinforzi provenienti da Pesaro. Alle 16 fu presa d’assalto la caserma dei Carabinieri. Si cercò di fermare la rivolta con i cannoni di una torpediniera, ma le cannonate non sortirono l’effetto e fu sospeso il tiro. Intanto a Roma alla Camera dei Deputati, nella seduta del 26 giugno, il ministro della Guerra Bonomi negava che l’11° Bersaglieri dovesse partire per Valona. Durante la notte ad Ancona nel buio più totale un treno in transito fu mitragliato e si ebbero cinque morti tra i passeggeri. Un treno speciale partì nella notte dalla Capitale con 500 Regie Guardie e, malgrado vari ostacoli posti sulla linea ferroviaria da altri manifestanti nei pressi di Terni, giunse ad Ancona alle 9,30. Mentre il treno si avvicinava alla città adriatica fu fatto segno a scariche di fucileria che uccisero un tenente e ferirono tre guardie. Allo scalo ferroviario con due battaglioni di Carabinieri in appoggio, le Regie Guardie cercarono di ristabilire l’ordine rimovendo barricate ed effettuando perquisizioni nelle case per riprendere le armi e le munizioni. A conclusione della sollevazione il bilancio dei tre giorni di accaniti scontri fu di 26 morti e un centinaio di feriti molti dei quali furono curati in casa per evitare guai con la giustizia. Le Guardie Regie furono impegnate con scontri a fuoco con i bersaglieri e le forze insurrezionali per liberare la caserma e i presidi, contendendo vie e piazze palmo a palmo e ponendo fine ai moti anconetani. Nel processo ai rivoltosi che si svolse dall’8 al 21 febbraio del 1921 in Corte di Assise di Ancona, furono condannati 13 soldati con pene comprese tra i 6 anni di reclusione militare e gli 8 mesi. Nessun civile fu condannato fra quelli rinviati a giudizio. L’ex bersagliere Orciani manovratore della mitragliatrice, fu condannato a 20 anni di reclusione ma dopo i moti, riuscì a fuggire ed espatriò clandestinamente in Argentina da dove era giunto nel 1917, per partecipare alla guerra contro gli Austro-ungarici e fece poi perdere le sue tracce. Un altro bersagliere, Monaldo Casagrande, fu arrestato a Genova mentre stava per imbarcarsi per l’America. Scontata la pena di 6 anni, emigrò anche lui in Argentina dove morì nel 1949. Per non esacerbare gli animi i giudici comminarono pene miti o assolutorie, ricorrendo al cosiddetto “reato di folla”. Onde cancellare il disonore per la secessione anconetana, l’11° Bersaglieri venne trasferito in Friuli a Cormons (Ud). I nomi dei caduti furono iscritti in una lapide posta all’interno della locale Questura di Ancona, ma negli anni Ottanta questa, trasferitasi in altra sede, la lapide è stata rimossa e tutto è caduto nell’oblio.

 

Giancarlo Cocco

Foto © YouTube, Giancarlo Cocco, AdeBooks

 

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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