Lavoratore fragile: maneggiare con (più) cura!

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I limiti e le incertezze delle regole che dovrebbero tutelare chi è più esposto ai rischi del contagio

La produzione alluvionale di norme che ha interessato il mondo del lavoro durante questo periodo di emergenza sanitaria ha, tra le altre cose, dato vita a una nuova categoriadi lavoratori: i cosiddetti lavoratori fragili.

Si tratta di quelle persone che sono considerate più esposte ai rischi del contagio delle altre perché portatrici di disabilità grave o perché in condizioni di salute compromesse da uno stato di immunodepressione, da patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita.

Le prime tutele: i dubbi e le incertezze

La vita di questa nuova categoria è stata travagliata fin dall’origine. Nata il 17 marzo scorso in conseguenza di una previsione del Decreto Cura Italia, ha conosciuto, infatti, l’avvicendarsi di articoli di legge e di indicazioni ministeriali, tutt’altro che chiari nell’applicazione. Quasi non bastasse lo stato di incertezza e di preoccupazione con cui i lavoratori fragili stanno affrontando, più di chiunque altro, questi mesi. 

A fronte dell’unica certezza, e cioè che l’assenza dal lavoro di questi lavoratori dovesse essere trattata alla stregua del ricovero ospedaliero, le difficoltà interpretative che la regolamentazione poneva – e in parte pone tutt’ora – erano molteplici. Solo per ricordarne alcune: quale fosse il soggetto deputato a certificare la condizione di fragilità tra il medico di famiglia, la ASL e il medico competente aziendale, e se la norma precludesse al datore di lavoro la possibilità di pretendere da tali lavoratori una prestazione in smartworking.

A questi dubbi si aggiungeva la scelta del legislatore, difficilmente comprensibile, di non escludere (come fatto per i lavoratori in quarantena) le assenze dei lavoratori fragili dal comporto, ossia il periodo massimo di malattia il cui superamento abilita il datore di lavoro a risolvere il rapporto. Esponendoli, così, al rischio di essere licenziati, paradossalmente, per una assenza resasi necessaria per cautelarli dalla pandemia. Pur con tutti i loro limiti, queste norme hanno assicurato una tutela ai lavoratori con fragilità fino alla fine del luglio scorso. Poi, più nulla per più di due mesi. Lasciando, così, in uno stato di incertezza e di attesa i lavoratori interessati, i medici di famiglia e le aziende.

La nuova norma di legge

Solo recentemente la Legge di conversione del Decreto Agosto è intervenuta a colmare questo vuoto normativoLa nuova regola ha esteso fino al 15 ottobre la precedente disciplina e ha previsto, a partire dal 16 dello stesso mese e fino al 31 dicembre 2020, una tutela del tutto differente: il diritto del lavoratore fragile di essere adibito a una diversa mansione o inserito in specifiche attività di formazione professionale, purché effettuabili in smart-working

Stavolta la soluzione del problema è quindi rimessa del tutto in capo alle aziende. Con quell’inciso, “di norma”, piazzato lì in mezzo all’articolo di legge, a confondere ancora più le ideeSe si tratta, infatti, di aziende di grandi dimensioni o che svolgono attività produttive tali da avere spazi di ricollocazione di questi lavoratori in attività che possono essere svolte in smartworking, il tema è “solamente” quello dei costi di una formazione verosimilmente necessaria per permettere al lavoratore di svolgere il nuovo lavoroMa cosa succede al lavoratore fragile se l’azienda ha piccole dimensioni o svolge attività scarsamente remotizzabili o che non possono in alcun modo essere svolte in smartworking e non abbia nemmeno attività di formazione da erogare ai dipendenti in questione

A quanto pare, quindi, ad essere “fragile” non è soltanto il lavoratore ma, decisamente, anche l’impianto di tutele pensate dal legislatore.

 

Michela Bari

Foto © Orizzontescuola, Christian Erfurt via Pexels, Christin Hume via Pexels.

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