La scadenza rinviata della Brexit e le sue conseguenze nel settore della pesca

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L’accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Ue, fissato per domenica 13 dicembre, è stata ancora una volta posticipato. Londra e Bruxelles hanno deciso di prolungare i negoziati per un accordo commerciale

Il Regno Unito, che ha ufficialmente lasciato l’Unione europea lo scorso 31 gennaio, abbandonerà definitivamente il mercato unico e l’unione doganale il 31 dicembre.

L’obiettivo è evitare un “no deal”, un’uscita senza accordo

«Nonostante l’esaurimento dopo quasi un anno di trattative, nonostante il fatto che le scadenze siano state ripetutamente superate, crediamo che in questa fase sia responsabile di fare uno sforzo in più», hanno dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il primo ministro britannico Boris Johnson in una dichiarazione congiunta.

Un’attesa particolarmente pesante e stressante per i pescatori

«Dobbiamo lasciare che i negoziati vadano fino in fondo», ha dichiarato Olivier Le Nezet, presidente della commissione per la pesca della Bretagna, «è vero che stanno giocando con i nostri nervi. Ma fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo secondo, i negoziati si svolgeranno e noi saremo sempre solidali in Europa (…) E dobbiamo trovare una soluzione che permetta all’economia e al settore di proseguire in un approccio di sfruttamento sostenibile della risorsa».

Posizioni agli antipodi e sanzioni

Le posizioni sono opposte, gli inglesi vogliono riconquistare la totale libertà commerciale, e gli europei vogliono proteggere il loro mercato unico. Per la pesca, i britannici da un lato vogliono riacquistare la piena sovranità sulle loro acque territoriali e potersi concedere diritti di pesca specifici, rinegoziati ogni anno. Mentre i Paesi europei vogliono continuare a potervi pescare, con quote distribuite tra i Paesi così come sono oggi. In assenza di un accordo, si applicano le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che sono sinonimo di dazi doganali o quote. A rischio di un nuovo shock per le economie già indebolite dal coronavirus.

Pesca nelle acque britanniche

Le acque britanniche sono estremamente ricche di pesce e questo è il problema. Il 40% del pesce pescato in Europa è di questa zona, ovviamente dai britannici, ma anche dai danesi, dai belgi, dagli olandesi o dai francesi.

Le conseguenze di un divieto di pesca

Se i pescatori europei non avranno più accesso a queste zone, si ritroveranno tutti a pescare nella parte meridionale della Manica, sul versante francese. L’altra conseguenza è per gli stessi britannici che esportando il 70% dei loro prodotti ittici nell’Unione europea dovrebbero quindi pagare troppi dazi doganali.

Navi della Royal Navy per proteggere le acque britanniche

Il ministero della Difesa britannico ha annunciato che le navi della Royal Navy sono pronte a proteggere le zone di pesca nazionali dove potrebbero verificarsi dissensi in caso di mancato accordo.

Evitare la concorrenza sleale

L’Ue è pronta ad offrire a Londra un accesso esente da dazi e contingenti al suo mercato a condizione, però, di poter mettersi al riparo contro qualsiasi rischio di dumping britannico in materia ambientale, sociale, fiscale o di aiuti di Stato.

Misure di emergenza in caso di situazione di “no deal”

Al fine di proteggere le sue aziende, l’Europa vuole poter adottare contromisure rapide, come i dazi doganali, senza aspettare che la controversia venga risolta attraverso una procedura di arbitrato convenzionale, e Londra si oppone fortemente a questo.

Le misure d’emergenza Ue

La Commissione europea ha intanto pubblicato, giovedi 10 dicembre, delle misure di emergenza per mantenere, in caso di “no deal”, il traffico aereo e stradale tra il Regno Unito e l’Ue per sei mesi, nonché l’accesso reciproco alle acque di pesca per un anno.

 

Rossella Vezzosi

Foto © Business Insider, Cartoon Movement, Dw, Daily Express

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