Alexandru Grumeza e i rischi neurologici del Covid, mentre la Moldova è pronta a vaccinare

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Grumeza

Secondo il neurologo moldavo sappiamo ancora troppo poco delle conseguenze dell’infezione sul lungo periodo. Fondamentali studio e ricerca, la migliore prevenzione resta evitare il contagio

Il Covid19 è una malattia tutto sommato nuova e, per quanto in questo anno di pandemia si sia appreso molto su modalità di contagio, sintomi e decorso, c’è ancora tanto da capire. Ad esempio, su quali saranno gli effetti nel lungo periodo per chi è guarito.

Effetti neurologici

Grumeza«Le complicanze neurologiche sono ancora poco conosciute», spiega Alexandru Grumeza, capo del Pronto Soccorso dell’Istituto di Neurologia e NeurochirurgiaDiomid Gherman“ di Chişinău, Moldova. «Possono verificarsi durante il periodo più acuto di infezione o a distanza di tempo» dalla guarigione.

Grumeza non è virologo, quindi sta concentrando gli studi strettamente sul suo campo di lavoro, da membro della Commissione di Neurologia del ministero della Salute, del Lavoro e della Protezione Sociale. «Non sappiamo esattamente le modalità di recupero dopo un danno neurologico», continua il neurologo.

«I cambiamenti emotivi e quelli legati alla fatica sono più controllati, ma complicazioni come ictus, polineuropatie (malfunzionamento simultaneo di molti nervi periferici, ndr), miopatie possono causare gravi disabilità croniche». Che possono richiedere anni di riabilitazione altamente specializzata.

I precedenti storici devono metterci in guardia. Dopo la famigerata pandemia di Spagnola di inizio ‘900, molti hanno evidenziato gravi patologie neurologiche degenerative. Come encefalite letargica o sindrome di Parkinson, «che non potevano essere previste o conosciute».

Gli studi

I problemi respiratori – fino alla polmonite interstiziale atipica – sono quelli più comuni, in questo periodo si è parlato molto anche della perdita di olfatto e gusto e dei mal di testa. Ma, come anticipato, non sono i soli.

Uno studio condotto nel Regno Unito ha analizzato i database di 125 ospedali del Paese in cui i pazienti positivi al coronavirus hanno sviluppato disturbi neurologici. Più della metà di questi ha subito un ictus, sono casi piuttosto rari – si parla di già ospedalizzati e non di positivi in generale – ma anche «trascurati», sostiene l’autore dello studio Benedict Michael, neurologo presso l’Università di Liverpool. Per questo sarà fondamentale affidarsi alla ricerca.

Altri problemi neurologici includono psicosi, declino neurocognitivo, ansia, depressione, cambiamenti della personalità, manie e catatonia «solitamente riscontrate nella schizofrenia», puntualizza Grumeza.

Come fu per la Sars, anche il Covid19 può lasciare un senso di stanchezza generalizzata, di cui ancora non si può prevedere la durata effettiva. «Al momento, però, ci sono troppi pochi studi per commentare il legame tra mutazioni virali e manifestazioni neurologiche».

Sport e prevenzione

La migliore prevenzione al momento resta evitare di esporsi al virus. Ma anche l’attività fisica ha la sua importanza, sia per la riabilitazione dopo la malattia che per evitare complicanze fisiche e perfino neurologiche.

Grumeza è un fervente sostenitore dello sport come metodo per tenere sotto controllo i nervi e sviluppare la concentrazione. Lui stesso pratica il braccio di ferro, attività per cui ha ricevuto il titolo di allenatore emerito della Repubblica di Moldova. È inoltre trainer personale del campione del mondo 2017 Daniel Procopciuc, membro della federazione internazionale e del comitato di classificazione atleti con disabilità, responsabile del Dipartimento Sport per il partito europeista PACE, di cui è cofondatore.

«Il cambiamento delle abitudini alimentari e una maggiore sedentarietà» dovuti alle restrizioni alla circolazione «possono avere effetti negativi e duraturi sul benessere fisico e mentale della popolazione», mette in guardia Grumeza. «L’esercizio stimola il nostro sistema immunitario, il che è molto importante per prevenire le infezioni da coronavirus».

«Vari studi in Europa e negli Stati Uniti hanno evidenziato un tasso di infezione da Covid19 inferiore nei gruppi di atleti», prosegue Grumeza. «Abbiamo riscontrato empiricamente le stesse osservazioni seguendo l’incidenza e l’evoluzione dei casi di Covid tra atleti della federazione. Penso che questo non possa essere trascurato».

La situazione moldava

Al momento la situazione legata al Covid19 in Moldova è ancora seria. A inizio febbraio i contagi accertati sono più di 160 mila, 15 mila dei quali nella fase attiva della malattia. I decessi hanno raggiunto quota 3.500, a fronte di una popolazione di 3,5 milioni di abitanti. Il 20% dei casi richiede un ricovero per assistenza specialistica o monitoraggio delle condizioni.

In un anno le cose sono comunque migliorate, non c’è più l’emergenza dei primi mesi di pandemia. Interi ospedali o reparti sono stati riorganizzati per fronteggiare il grande afflusso di pazienti e si è intervenuto anche sulla formazione del personale medico.

L’attesa del vaccino

L’arrivo dei primi vaccini è stato a tempo di record, ma i numeri sono più bassi di quelli annunciati. E la vaccinazione di massa stenta a decollare un po’ dappertutto. La Moldova è però messa anche peggio, non avendo ancora ricevuto nessuna dose. Ma le cose dovrebbero cambiare proprio nei prossimi giorni.

La cooperazione internazionale

GrumezaL’Unione europea ha da oltre dieci anni stipulato il Paternariato orientale con alcune Repubbliche ex sovietiche – Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Ucraina e, appunto, Moldova. In base a questo sistema di rapporti, l’Ue ha messo in campo 65 milioni di euro per le necessità più stringenti. Più ulteriori fondi, pari a quasi un miliardo di euro, per ristori economici e ristrutturazioni dei sistemi sanitari.

Inoltre, la Moldova ha stretti legami con la Romania, il che la pone in una condizione di relativo privilegio. La Romania condividerà buone pratiche e gli insegnamenti appresi in questo periodo, parallelamente sarà valutata la situazione epidemiologica e, tenendo conto dei meccanismi europei, nella discussione sulle dosi spettanti alla Romania sarà inclusa la quota moldava.

«Non possiamo che ringraziare per il sostegno», commenta Grumeza, «sarà sicuramente utile per evitare interpretazioni sbagliati e rischi primari» legati all’inesperienza.

Il personale medico

Grumeza«Il personale medico di prima linea è pronto per essere vaccinato», rassicura Grumeza, sono anche stati «individuati gli spazi per la conservazione del vaccino. Nell’ambito del Covid19 Response Mechanism, finanziato dal Fondo Globale, è stato richiesto l’acquisto di quattro congelatori, due con un regime di -20°C e due da -70° C».

Secondo quanto previsto dal piano di immunizzazione nazionale, dopo il personale medico sarà avviata la seconda fase, che coinvolgerà adulti sopra i sessant’anni, persone con comorbidità, dipendenti di strutture di manutenzione e garanzia dell’ordine pubblico, difesa e sicurezza nazionale, personale penitenziario, scolastico e dei servizi sociali. Gli stessi criteri che vengono applicati in Europa e a livello internazionale.

Grazie alla piattaforma COVAX, uno dei pilastri di ACT (Access to Covid19 Tools), strumento di cooperazione internazionale cogestito da GAVI (Global Alliance for Vaccines and Immunizations) sotto l’ombrello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Moldova dovrebbe essere presto in grado di coprire gratuitamente il 20% della popolazione.

In seguito la Moldova potrà ottenere altre dosi per un’ulteriore 30% degli abitanti, a prezzi preferenziali. In più, si confida in possibili donazioni dall’Ue o da altri Stati, «Nel frattempo il Ministero della Salute ha iniziato a preparare la fornitura alla popolazione».

Le reazioni della popolazione

Tutto il mondo sta vivendo un dibattito sui vaccini per il Covid19, sia in termini di sicurezza che di obbligatorietà della somministrazione. «L’accettazione della popolazione è un elemento critico nello svolgimento dei programmi di immunizzazione».

Per la loro riuscita, la Moldova, come del resto tutti gli altri Paesi, dovrebbe seguire «un approccio integrato basato su promozione e coinvolgimento delle parti interessate; informazione pubblica; comunicazione del rischio e mobilitazione sociale; sviluppo delle capacità degli operatori sanitari come beneficiari del vaccino e come vaccinatori; analisi dell’ascolto sociale».

Secondo gli ultimi studi sulle visioni comportamentali condotti in Moldova a novembre 2020, la percentuale di accettazione del vaccino nella popolazione si attesta poco al di sopra del 30%. Il 70% ha dubbi sull’efficacia e «vuole garanzie che il vaccino sia stato testato a lungo, senza effetti collaterali». Il 24% è invece convinto che il virus non sia reale o non è del tutto sicuro che esista.

 

Angie Hughes

Foto © Alexandru Grumeza; Neurology advisor; King’s College London; Mediafax

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Angie Hughes
Scrivere in italiano per me è una prova e una conquista, dopo aver studiato tanti anni la lingua di Dante. Proverò ad ammorbidire il punto di vista della City nei confronti dell'Europa e delle Istituzioni comunitarie, magari proprio sugli argomenti più prossimi al mio mondo, quello delle banche.

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