Regno Unito: i quattro Paesi fanno ancora quadrato?

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UK

Irlanda del Nord, una questione di protocollo

Clima infuocato

David Frost, principale negoziatore della Brexit per il Regno Unito, si aspetta che l’Unione europea chieda più tempo, si ritiene due mesi, per ratificare l’accordo commerciale.

Oltre alle notizie del previsto ritardo, Frost ha elencato una serie di “fastidiose questioni di confine“. Bruxelles, a suo avviso, deve impegnarsi con “spirito diverso” per allacciare relazioni di buon vicinato.

L’Observer intanto rivela che, a gennaio 2021, il volume delle esportazioni dai porti britannici verso l’Ue è diminuito del 68% rispetto al gennaio dello scorso anno.

Frattanto Michael Gove, responsabile dell’attuazione dell’accordo sulla Brexit, pianifica per giovedì un incontro a Londra con il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič.

Tema: risolvere le questioni ancora in essere sulla controversia relativa al protocollo dell’Irlanda del Nord.

Le gaffes e metafore delle ultime settimane

UK

Il ministro Gove ha paragonato le recenti difficoltà con l’Ue a un aereo in decollo, momento di instabilità in cui può verificarsi un aumento del livello di turbolenza.

«Ma poi alla fine raggiungi un’altitudine di crociera e l’equipaggio ti dice di toglierti le cinture di sicurezza e goderti un gin and tonic e alcune noccioline», ha dichiarato alla stampa. E poi ha aggiunto che «non siamo ancora nella fase del gin and tonic e delle noccioline, ma sono fiducioso che lo saremo».

La scorsa settimana Ursula Von der Leyen ha sostenuto – si ritiene del tutto accidentalmente – la causa Brexit. La presidente della Commissione europea ha paragonato infatti, in un passaggio contestato, la Gran Bretagna a un veloce motoscafo capace di garantire i vaccini.

L’Unione europea invece? In confronto a Uk, è come una nave cisterna, affidabile, ma lenta. Risponde così alle indicazioni del capo di Barclays: la City londinese dovrebbe ignorare la minaccia post-Brexit rappresentata dall’Ue e concentrarsi invece sulla competizione con i principali centri finanziari di New York e Singapore.

Reazioni a catena

Non è giunta alcuna reazione immediata da parte dell’Unione europea ai commenti di Frost sulla richiesta di un rinvio per la ratifica dell’accordo commerciale.

Tuttavia, il 9 febbraio è emerso che l’Irlanda e la Commissione europea stanno esplorando modi per creare un meccanismo di allerta interno dell’Ue per proteggere il protocollo dell’Irlanda del Nord ed evitare la ripetizione del fiasco dell’articolo 16 di due settimane fa.

L’emittente radiofonica RTE sostiene che funzionari irlandesi e della Commissione si siano incontrati martedì 9 per discutere i meccanismi che segnaleranno le implicazioni per l’Irlanda del Nord, intenzionali o meno, in qualsiasi futura legislazione dell’Ue.

L’obiettivo è evitare ogni ripetizione dell’errore del 29 gennaio, quando la commissione ha invocato l’articolo 16 del protocollo per cercare di salvaguardare le scorte di vaccino Covid-19. Inizialmente inconsapevole del tumulto politico che ciò avrebbe causato a Dublino, Belfast e Londra, la commissione ha poi fatto una rapida inversione a U.

Antefatti

Il 13 gennaio Boris Johnson afferma durante un incontro pubblico che, qualora sorgessero problemi “sproporzionati” con l’Unione, non esiterebbe “a far scattare l’articolo 16, se necessario”. Ossia decidere unilateralmente di reimporre i controlli su alcune merci alla frontiera; in questo contesto, i vaccini.

La provocazione, suonata a taluni come minaccia vale a dire: stabilire un confine netto tra Irlanda del Nord – NI e Repubblica d’Irlanda – ROI.

Nessuno dice niente, il primo ministro glissa.

Quando poi il 29 gennaio Ursula Von Der Leyen e l’Ue cercano di imporre il controllo dei vaccini in uscita dall’Unione e diretti in Irlanda del Nord attraverso l’istituzione di un confine rigido, l’opinione pubblica grida allo scandalo.

La situazione attuale

UKLa fine del periodo di transizione porta alla luce, dopo le note frizioni sui vaccini, le difficoltà interne agli Stati parte del Regno Unito. Nonostante il raggiungimento dell’intesa sulle future relazioni, l’uscita del Regno Unito dall’Ue comporta profondi cambiamenti a cui imprese, lavoratori, pubbliche amministrazioni e cittadini non sono ancora pronti.

Il Regno Unito non partecipa più alle politiche dell’Unione: oggi appaiono nitidi gli ostacoli bilaterali, prima sfumati, relativi agli scambi di beni e servizi, nonché alla mobilità e agli scambi transfrontalieri delle merci.

Dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito non è più parte dell’unione doganale. Le formalità doganali prescritte dal diritto dell’Unione si applicano quindi – nonostante la vigenza di un accordo di libero scambio – a tutte le merci che entrano nel territorio doganale dell’Unione dal Regno Unito o che lo lasciano, dirette in Uk.

L’anomalia dell’Irlanda del Nord

Per comprendere i recenti accadimenti occorre tornare indietro nella storia, a quasi un secolo fa.

Nel 1922 vi è la partizione dell’isola di Irlanda. Sei contee nel Nord dell’isola – quelle che oggi chiamiamo Irlanda del Nord – scelgono di rimanere nel Regno Unito. Il resto dell’Irlanda diventa prima indipendente e successivamente una repubblica, la Repubblica d’Irlanda. Molti degli abitanti dell’Irlanda del Nord discendono da coloni protestanti portati da Giacomo I nel XVII Secolo durante la Plantation of Ulster. Tuttavia esiste ancora una grande minoranza cattolica, così come continua a esserci una significativa minoranza protestante nella Repubblica.

Il 10 aprile 1998 viene firmato l’Accordo del Venerdì Santo, multilaterale, volto alla risoluzione del conflitto nordirlandese, entrato in vigore nel 1999 a seguito di un referendum.

L’accordo, che rappresenta uno dei più importanti sviluppi del processo di pace in Irlanda del Nord, disciplina tra l’altro le questioni relative alla sovranità, ai diritti civili e culturali, allo smantellamento degli armamenti, alla smilitarizzazione, alla giustizia e alla polizia.

Esso definisce lo status e il sistema di governo dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, la relazione tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, e la relazione tra la Repubblica d’Irlanda e il Regno Unito.

Cosa cambia con il 2021

UK EUIl 1 gennaio 2021 entrano in vigore l’uscita del Regno Unito dalla Ue e il protocollo Irlanda del Nord – NI. L’articolo 16 del protocollo NI mira a evitare un confine netto tra questa e la Repubblica di Irlanda – ROI. Il documento intende garantire l’integrità del mercato unico delle merci dell’Ue, facilitare l’accesso illimitato per le merci NI al mercato UK e l’inclusione di merci NI negli accordi di libero scambio tra il Regno Unito e Paesi terzi.

Come risultato del protocollo, NI è rimasta in effetti nel mercato unico delle merci dell’Ue, mentre Inghilterra, Scozia e Galles hanno lasciato tale mercato.

Ciò consente alle merci di fluire da e verso NI verso il ROI e il resto dell’Ue come accadeva quando il Regno Unito era un membro dell’Ue. Pertanto senza controlli doganali, tariffe o nuove pratiche burocratiche.

Le norme dell’Ue in materia di dogane e regolamentazione dei prodotti agroalimentari continueranno ad applicarsi alle merci che arrivano in NI.

Una partita a scacchi

In altri termini, nella misura in cui le norme doganali dell’Ue si applicano nel Regno Unito nei confronti dell’Irlanda del Nord, l’Unione e il Regno Unito convengono di trattare l’Irlanda del Nord ai fini dell’applicazione di dette norme, come se facesse parte del territorio doganale dell’Unione.

Allo stesso tempo, dato che l’Irlanda del Nord fa parte del territorio doganale del Regno Unito, per quanto riguarda i diritti e gli obblighi dei Paesi terzi (compresi i partner preferenziali dell’Ue) l’Irlanda del Nord non fa parte del territorio doganale dell’Unione.

Già in una fase iniziale dei negoziati in vista del recesso del Regno Unito dall’Ue, sia il Regno Unito che l’Unione hanno riconosciuto la situazione unica dell’Irlanda e dell’Irlanda del Nord. Entrambe le parti hanno convenuto che occorreva una soluzione specifica per conciliare i diversi interessi in gioco.

Tale soluzione è stata trovata nella forma del protocollo sull’Irlanda e l’Irlanda del Nord, che:

  • evita una frontiera fisica tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord e tutela l’economia dell’intera isola e l’accordo del Venerdì Santo in tutte le sue dimensioni
  • salvaguarda l’integrità del mercato unico dell’Unione, insieme a tutte le garanzie che offre in termini di tutela dei consumatori, salute pubblica e degli animali o lotta contro la frode e il traffico di esseri umani
  • mantiene l’Irlanda del Nord nel territorio doganale del Regno Unito in modo che possa beneficiare di futuri accordi di libero scambio che il Regno Unito concluderà con Paesi terzi.

Scozia, Galles e Irlanda del Nord

UK

Keir Starmer, leader del Labour, è l’uomo del momento. Se ancora o come àncora di salvezza di Boris Johnson, è presto per dirlo. Esortato a sostenere le riforme radicali secondo i piani elaborati per J. B. Corbyn – politico britannico, leader del Partito Laburista dal 2015 al 2020 – sta prendendo piede.

Il lungo rapporto commissionato da Corbyn raccomanda di riorganizzare il Regno Unito come stato federale, supervisionato da un nuovo “consiglio dell’unione”.

Deve poi sostituire la Camera dei Lord con un Senato eletto, e dare nuovi e sostanziali poteri finanziari e politici a Scozia, Galles e Irlanda del Nord.

Figure di alto livello all’interno del Labour – tra cui Gordon Brown, centristi vicini a Starmer e alleati di Corbyn come l’ex cancelliere ombra John McDonnell – ritengono che la Brexit, l’impatto della crisi Covid sulle regioni inglesi e la crescente rabbia per i sottoinvestimenti nel Nord dell’Inghilterra, abbiano alimentato un forte appetito per una riforma significativa.

Brown, ex primo ministro, consiglia a Starmer di istituire una nuova commissione costituzionale che dovrebbe essere lanciata dai laburisti all’inizio della primavera.

«C’è fermento in corso in questo momento», ha detto McDonnell al Guardian.

I laburisti sono sotto pressione. Devono dare nuovi poteri alla Scozia per contrastare le richieste di un secondo referendum sull’indipendenza?

La Scozia secondo le previsioni

Il rapporto della London School of Economics e della City University di Hong Kong indicano che l’indipendenza potrebbe costare all’economia scozzese 11 miliardi di sterline all’anno.

L’analisi valuta solo gli impatti dell’aumento dei costi commerciali ed esclude invece altre questioni economiche o fiscali successive all’indipendenza. Tagli o aumenti degli investimenti interni, cambiamenti nell’immigrazione, cambi di valuta o cambiamenti fiscali non sono oggetto delle previsioni.

Il governo scozzese sta attualmente lottando con il quasi crollo delle esportazioni di pesce locale nell’Unione a causa dei controlli doganali post-Brexit. La spesa annua per il servizio sanitario nazionale è pari a circa 14 miliardi di sterline.

Se la Scozia fosse indipendente le converebbe rientrare a far parte dell’Unione piuttosto che rimanere fuori sia dall’Ue che dal Regno Unito. Oggi, si afferma nel rapporto, il Regno Unito è il partner commerciale più grande e più importante della Scozia. Rappresenta infatti il 61% delle sue esportazioni e il 67% delle sue importazioni, di quattro volte maggiori del commercio con l’Unione.

L’indipendenza aumenterebbe i costi commerciali con il resto del Regno Unito dal 15% al ​​30%.

Gli elettori devono sapere quali saranno i probabili costi e benefici di ogni decisione

Fiona Hyslop, segretaria all’economia del governo scozzese, ha un pensiero preciso. «Il Paese trarrebbe enormi benefici dall’indipendenza solo dopo una fase di assestamento» ha dichiarato. Esattamente come accaduto all’Irlanda.

«Nel mondo reale» – ha spiegato Hyslop – attraverso l’adesione all’Unione, l’Irlanda indipendente ha ridotto drasticamente la sua dipendenza commerciale dal Regno Unito, diversificandosi in Europa».

E il suo reddito nazionale pro capite ha superato quello del Regno Unito.

«Con le nostre risorse economiche e i vantaggi, il controllo della politica economica e l’adesione all’Ue, la Scozia sarebbe in una posizione ideale».

Galles

Gli effetti di un’eventuale vittoria degli indipendentisti in Scozia si farebbe sentire anche in Galles, nonostante il voto a favore della Brexit espresso nel 2016.

Benché il premier laburista Mark Drakeford avesse definito l’accordo “debole e deludente”, lo considerava tuttavia almeno come una base “su cui negoziare accordi migliori in futuro“.

Grazie alla gestione indipendente della pandemia Drakeford oggi è più popolare e forte. La salute, infatti, è di competenza delle varie nazioni costitutive e non solamente del primo ministro.

Presto dovrà fare i conti con le scelte per il futuro del Galles.

Forse anche mediando con quel partito nazionalista/indipendentista – Plaid Cymru – che negli scorsi mesi ha proposto un primo referendum esplorativo sull’uscita dall’Unione.

 

 

Chiara Francesca Caraffa

Foto © Canva, Bing Hui Yau, Peter Cziborra/Reuters, Commissione europea, Jessica Taylor

Video © Eurocomunicazione

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Chiara Francesca Caraffa
Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

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