Intervista a Michael Zampino, Globo d’oro per la miglior sceneggiatura

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Michael Zampino

Il regista italo-francese vince il premio assegnato dalla giuria dei corrispondenti dell’Associazione della Stampa Estera in Italia

Italo-francese, laureato in Economia, Michael Zampino ha lavorato per circa 15 anni nel settore petrolifero. Dopo gli studi di Cinema alla New York University e la creazione della società Panoramic Film a Roma, realizza nel 2004 il cortometraggio Goodbye Antonio proiettato in oltre 50 festival e vincitore di diversi premi. Nel 2011, esordisce con L’Erede, un thriller psicologico ben accolto dalla critica.

L’ultimo successo

Con Governance, Michael vince, insieme a Heidrun Schleef e Giampaolo Rugo, il Globo d’Oro 2021 per la miglior sceneggiatura e il Premio Kineo al Festival di Venezia.

Il film, uscito in esclusiva su Amazon Prime, disponibile dal 21 ottobre prossimo in DVD e Blu Ray, è un thriller ambientato nel mondo del petrolio, una fiaba immorale sul potere del denaro.

L’intervista

Dopo Governance, sta sviluppando con Alba Produzioni il film Laghat, uno sport movie ambientato nel mondo delle corse ippiche. Il nuovo progetto, alla cui sceneggiatura collabora nuovamente con Heidrun Schleef, si ispira al romanzo di Enrico Querci, Laghat, il cavallo normalmente diverso.

  • Può darci qualche anticipazione sul nuovo film? Dove e quando è ambientato?

«Il film racconta la storia di un rapporto molto particolare tra un purosangue speciale, Laghat, che ha un handicap agli occhi e un giovane fantino indisciplinato, Andrea Mariani. È uno sport-movie focalizzato, non tanto sulle corse ma sull’evoluzione del rapporto fra questo ragazzo e questo cavallo. Per certi versi si tratta di un romanzo di formazione: questo ragazzo poco a poco evolverà anche come uomo, attraverso i sacrifici e la generosità di questo cavallo».

«Il film è ambientato oggi, anche se nella vita reale Laghat ha effettuato le corse della sua carriera agonistica nella metà degli anni 2000. I luoghi saranno probabilmente la Toscana, l’ippodromo di San Rossore, dove è originario Laghat, e anche l’ippodromo Capannelle a Roma».

  • Per la realizzazione di questo nuovo progetto come si sta preparando e quali sono le sfide maggiori?

«Laghat è tratto da una storia vera, quella di questo cavallo che ha dei problemi di vista e che malgrado il suo handicap ha vinto 26 corse nella sua carriera e che adesso si gode la pensione in una scuderia di San Rossore in Toscana. Abbiamo fatto dei sopralluoghi all’ippodromo di Capannelle e anche all’ippodromo di San Rossore in Toscana per vederlo, per incontrare i fantini che lo hanno montato e per discutere con l’autore del romanzo Laghat, Enrico Querci, che è anche un consulente prezioso nella redazione della sceneggiatura. Lui conosce infatti tutti i dettagli, aneddoti e aspetti tecnici di questo settore che è l’ippica».

«La maggiore difficoltà, per questo nuovo progetto è raccontare un film, una storia ambientata in un settore che io non conoscevo – quello dei fantini, dei cavalli da corsa, delle scuderie – e creare un film di genere drammatico che cerca di restituire la realtà. Non si tratta di un film Disney, di una fiaba per bambini o adolescenti piuttosto di un film che è indirizzato a un pubblico più adulto e racconta il dramma, i trionfi e le miserie di questo giovane fantino. Vogliamo raccontare questo sodalizio particolare fra queste due creature, per certi versi tutti e due handicappati in alcuni lati del loro carattere e della loro fisicità, e quindi la difficoltà maggiore è proprio entrare in quel mondo».

  • Quando inizierete le riprese?

«L’obiettivo è quello di una lavorazione nell’autunno 2022 tenendo conto di diversi fattori. Innanzitutto i tempi per la produzione, trovare finanziamenti e avere alcuni partner potenziali che possono aderire al progetto. Poi ci sono aspetti tecnici: i cavalli d’estate non possono essere allenati anche davanti alla macchina da presa per ragioni di temperature troppo elevate quindi bisognerà prevedere una lavorazione dopo l’estate. Infine la sfida del casting: la ricerca del protagonista, un giovane fantino».

«La scelta è quella di avere un protagonista sullo schermo che sia credibile come fantino ed è molto complicato che un attore anche bravo, che sa montare a cavallo, possa restituire sull’immagine dei gesti, dei comportamenti e una relazione col cavallo che sia così rilassata e così esperta come possono realizzarla i veri fantini o gli artieri. Quindi stiamo valutando anche l’ipotesi di avere come protagonista un fantino o almeno un ragazzo che lavora nel settore e che abbia il profilo del nostro protagonista. Un ventenne con delle caratteristiche molto particolari perché i fantini non devono superare un certo peso, di solito hanno un peso tra 48 e i 52 kg, una fisicità molto particolare e quindi è una ricerca che sarà probabilmente lunga e specifica».

«Poi c’è la necessità di lavorare con un stunt coordinator che possa darci una consulenza per la realizzazione delle sequenze di corsa, le corse ippiche sono ovviamente molto stressanti per i cavalli e necessitano anche un approccio alla realizzazione molto dettagliata con storyboard e una pre-organizzazione molto accurata».

  • Spesso dirige e si occupa della sceneggiatura del film, come è avere così tanto controllo?

«Io sono cosceneggiatore sia di Governance che di Laghat. Questo non vuol dire avere maggiore controllo finale sul lungometraggio. Tutto questo dipende anche dalla produzione, dal budget a disposizione, da eventuali tagli che saranno necessari in funzione del budget, quindi il controllo non è soltanto l’aspetto artistico. Quando il regista è anche sceneggiatore è vero che consente di poter dare magari dell’indicazioni agli attori un po’ più precise sui personaggi perché sono stati scritti proprio dal regista, però alla fine il controllo è qualcosa di molto più ampio, molto più generale e quindi questo controllo è importante se alla fine la produzione è in grado di poter girare il copione che è stato scritto, quindi se il budget a disposizione consente anche di poter restituire sullo schermo tutte le scene che erano previste nel film».

  • Quando si lancia su un nuovo progetto, come prendono vita le sue idee, di cosa si occupa per primo?

«La nascita di un progetto può avere come origine diverse fonti. Per esempio, su Governance, la mia esperienza nel mondo petrolifero, nel mondo dell’industria per tanti anni è stato il motore della creazione, il motore della scrittura. Io ho conosciuto i personaggi che sono ritratti nel film, le situazioni, gli aneddoti quindi provo sempre molto piacere a scrivere, raccontare una storia con personaggi che ho frequentato».

«Trasferire sullo schermo una realtà che io ho conosciuto, per me è un esercizio più piacevole che mi dà anche una garanzia di verità e di forza narrativa perché il cinema non è solo un discorso di “verità” ma di trasmettere al pubblico qualcosa di verosimile, non per forza vero – al pubblico interessa poco sapere se è vero o non – ma con una forza narrativa che sia credibile e che la situazione e i personaggi siano credibili. Nel caso mio c’è questa concomitanza tra la verità delle situazioni che ho affrontato in azienda e la scrittura, e per questo è stato più facile la restituzione di quest’esperienza nel mondo della fiction».

«Un’altra origine per un progetto è quando un produttore propone un’idea come nel caso di Laghat in cui a far scattare il meccanismo di scrittura è stato il produttore. Sandro Frezza, il produttore di Alba Produzioni, è un grande appassionato di cavalli, dell’equitazione ed è lui che mi ha chiesto di leggere il romanzo di Enrico Querci, con l’obiettivo di verificare se si poteva farne un film. Un progetto può nascere da fonti completamente diverse non per forza dallo sceneggiatore o dal regista ma ovviamente anche da un’idea della produzione, quindi non c’è una fonte unica».

  • Come ha preso forma la storia nella sua mente? È partito prima dai personaggi o dal definire il tema?

«Secondo me, per la redazione di una sceneggiatura, prima di iniziare a scrivere una scaletta, bisogna riflettere sui personaggi. Personalmente devo conoscere il personaggio, devo poter vederlo muoversi, avere un’idea sulla sua etica, sul suo profilo fisico e psicologico. Devo capire anche il mondo in cui sta vivendo, gli altri personaggi che gli stanno intorno, quindi partire dai personaggi per poi capire come evolveranno in un ambiente particolare. La scaletta è costruita dal personaggio non tanto dallo sceneggiatore».

«In effetti le azioni, le scene, gli eventi, gli accadimenti della storia sono il risultato delle movenze del personaggio principale o dei personaggi, è lui che trascina la storia e non il contrario almeno per il tipo di film che sto proponendo».

«Ad esempio la storia sulla quale stiamo lavorando con Heidrun Schleef, Laghat, è nata dalla vita reale del cavallo. Siamo partiti da una realtà, da questo purosangue che ha vinto 26 corse e abbiamo cucito attorno a lui una realtà giusta per il dramma che vogliamo raccontare. Il fantino quindi è un personaggio di fantasia perché nella realtà Laghat è stato montato da diversi fantini, però per il cinema abbiamo voluto focalizzarci su un rapporto specifico fra un fantino specifico Andrea Mariani e Laghat e quindi abbiamo isolato dalla storia reale un aspetto particolare».

«Bisogna far vivere i personaggi e credo che qualche volta il tema viene fuori da sé: durante la scrittura s’impone il tema, s’impone un argomento ed è sempre più interessante scoprirlo strada facendo secondo me».

  • L’opera prima è del 2011 con “L’erede- the Heir”, cosa è cambiato da allora?

«Rispetto a L’erede del 2011 sono cambiate tante cose. Il primo aspetto è tecnico: si gira in digitale con delle macchine da presa che oggi sono anche più leggere, quindi senza il costo della pellicola e dello sviluppo. La post-produzione è totalmente diversa proprio per queste ragioni, le attrezzature sono diverse. Con il digitale non è accelerato il tempo di ripresa, ma ha soltanto dato più opportunità di ripetere magari più scene e la sensazione di poter ripetere delle scene a costo minore. Questo può essere però una trappola perché il costo di un set non è soltanto la macchina da presa e quello che era la pellicola, ma il tempo, la troupe e quindi non è che questa rivoluzione digitale abbia abbassato in maniera significativa i budget dei film».

«Dal 2011 inoltre è anche molto cambiato il mercato. Con le piattaforme streaming sono cambiate le fonti di finanziamento dei film e si spera per una maggiore diversità e per dare al cinema indipendente una visibilità che per molti anni non ha avuto».

«Infine c’è un cambiamento anche personale perché credo che durante tutti questi anni in cui ho lavorato ho potuto vedere, anche attraverso la produzione di opere di terzi, l’evoluzione tecnologica, l’evoluzione del mercato. A livello personale direi che questo tempo è stato molto utile anche per sviluppare progetti personali come Governance, un film che ha incontrato molti ostacoli per la sua realizzazione. Spero che quel tempo sia stato prezioso per me per maturare artisticamente, per riuscire a raccontare delle storie sempre più convincenti e originali».

 

Cecilia Sandroni & Bianca Chellini

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Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

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