Brexit, senza manodopera a basso costo a rischio la filiera produttiva

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Per il premier britannico Johnson è il prezzo della transizione verso un nuovo modello economico

A poco meno di un anno dall’effettività della Brexit, continuano a emergere problemi più o meno prevedibili legati all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Negli ultimi giorni la carenza di manodopera nella catena logistica ha inficiato il trasporto di benzina e beni alimentari. Mentre restano delicate la questione confini con Irlanda e Gibilterra e quelle con la Francia relative a pesca ed energia.

Nuovo modello economico

Queste conseguenze sono state al centro del dibattito dell’annuale conferenza dei Conservatori. Il premier Boris Johnson si è fatto fautore del cambiamento di sistema economico, in cui la fase transitoria va affrontata con coraggio. Basta bassi «stipendi, crescita e produttività», gli obiettivi devono essere «forza lavoro qualificata e alti salari».

Nel discorso, Johnson ha insistito sulle opportunità che la Brexit può portare, come nuove partnership commerciali, in particolare con l’ormai storico alleato Stati Uniti. Dito puntato invece contro le imprese, «assuefatte» all’importazione di manodopera sotto costo dall’estero. Ad aggiungere responsabilità ci ha pensato la ministra degli Esteri Liz Truss, secondo cui la soluzione non spetterebbe ai ministri, ma alle stesse aziende. «Non credo in un sistema economico controllato», ha affermato la Truss, «non credo che il primo ministro sia responsabile di cosa finisca sugli scaffali».

Resistere fino a Natale

In un’intervista precedente la conferenza dei Conservatori, Johnson ha dichiarato che bisognerà tenere duro almeno fino a Natale. La non auspicabile alternativa di breve termine sarebbe tornare a un’immigrazione incontrollata.

E parlando del Natale, la popolazione britannica è nel frattempo preoccupata per le possibili carenze di tacchino da qui alle festività. Per non rinunciare alla tradizione, c’è stata una corsa agli approvvigionamenti di carne surgelata, con vendite quadruplicate (409%) rispetto a un anno fa.

Non tutto andrà sprecato

BrexitLa scarsità di personale nei mattatoi rischia anche di portare alla macellazione e all’incenerimento circa 120 mila maiali, direttamente nelle fattorie. Vero è che, come ha replicato Johnson alla BBC, l’abbattimento è l’ineluttabile destino dei suini di allevamento, ma ci sono differenze sostanziali. La carne verrebbe sprecata senza finire sulle tavole, mentre gli allevatori affronterebbero ingenti perdite economiche in un periodo già di delicata transizione.

Gli esperti industriali però affermano che dalle carcasse sarà possibile ottenere biodiesel e altri prodotti non destinati al consumo alimentare umano, ma di altri animali. Il protocollo prevede infatti che il benestare per la vendita commerciale arrivi solo dopo macellazione nei mattatoi e non nelle fattorie. Tutto questo, comunque, con alti costi per gli allevatori, costretti alle spese necessarie al sostentamento degli esemplari così come allo smaltimento dei corpi.

Scarsità di manodopera

L’associazione di categoria ha risposto al Governo, sostenendo come la crisi del lavoro non dipenda dagli stipendi troppo bassi. Il vicepresidente nazionale Tom Bradshaw ha sottolineato come la paga sia di 18 sterline l’ora, ma che la posizione non eserciti attrattiva sui giovani britannici. L’industria ha così chiesto al Governo l’assegnazione di visti temporanei, destinati a lavoratori stranieri che possano colmare il vuoto lasciato nella filiera alimentare.

I confini con l’Irlanda

Nel frattempo restano tesi i rapporti tra Regno Unito e Ue sui confini tra Irlanda e Irlanda del Nord. Si stringono i tempi per arrivare a una revisione condivisa del Protocollo di intesa, entro una «decina di giorni», spera David Frost, ministro della Brexit. Le attuali disposizioni, non gradite agli unionisti irlandesi, prevedono il controllo merci nei porti del Nord, creando una frontiera di fatto nelle acque intorno all’isola.

A sperare in rapidi accordi c’è anche la Camera di Commercio britannica, che chiede a gran voce certezze. «L’ultima cosa di cui gli esportatori hanno bisogno sono dazi sulle esportazioni di beni britannici», spiega William Bain, responsabile per le politiche commerciali. Unità di intenti anche da parte europea, per bocca del portavoce Dan Ferrie. «Stiamo lavorando intensamente per soluzioni pratiche», ha dichiarato.

Il pericolo maggiore è che la Gran Bretagna opti per la sospensione unilaterale dell’accordo, sfruttando l’articolo 16 del Protocollo, qualora non si arrivasse a una soluzione. In ballo c’è anche la storica intesa del 1998 che, vietando confini tra le due Irlande, pose fine alla fase più sanguinosa del terrorismo.

Gibilterra e Schengen

BrexitSi riaprono anche i negoziati su Gibilterra, enclave britannica in territorio spagnolo. Il Consiglio dell’Unione europea ha dato il via libera a un nuovo mandato alla Commissione per raggiungere un accordo «ampio e bilanciato». Già nel 2020, Spagna e Regno Unito avevano raggiunto una soluzione morbida che mantenesse Gibilterra nell’area Schengen, dato che sono circa 15mila i lavoratori transfrontalieri.

I nodi sono relativi in particolare alla sicurezza marittima, che dovrebbe rimanere cogestita dall’Agenzia europea Frontex. Mentre l’Ue ha ritirato la richiesta di consentire interventi della polizia spagnola in territorio di Gibilterra.

Licenze per la pesca

Più a nord, invece, i problemi sono sorti con la Francia, che ha intensificato la pressione sul Regno Unito per i diritti sulla pesca. La tensione è sorta dopo che Londra ha concesso solo 12 licenze nelle proprie acque territoriali su 47 domande presentate da piccole imbarcazioni.

Il primo ministro francese Jean Castex ha accusato la Gran Bretagna di non rispettare gli accordi seguiti alla Brexit. «Mese dopo mese, il Regno Unito ha presentato nuove condizioni e ritardato la concessione di licenze. Questo non può essere tollerato».

Le forniture di energia

Londra difende il suo approccio, in linea con gli impegni presi, aggiungendo che il 98% delle candidature Ue sono state accettate. Per la Francia, anche gli altri accordi bilaterali fra i due Paesi, a questo punto, possono essere considerati a repentaglio. A risentirne potrebbero essere le forniture di energia. Secondo un documento governativo dello scorso luglio, ben il 47% delle importazioni britanniche di elettricità viene dalla Francia, che minaccia ritorsioni.

Ai possibili aumenti in bolletta, si aggiungono nuovi incrementi delle tasse. Misure necessarie, a giudizio di Johnson, dopo il «meteorite» (la pandemia di Covid19) che ha innalzato il debito pubblico a 2mila miliardi di sterline. Il premier fa comunque appello allo «spirito unico» dei britannici, che rimodelli il Paese dopo la Brexit verso un nuovo «conservatorismo radicale».

 

Raisa Ambros

Foto © omfif.org; The New Yorker; Farmers Guardian; Financial Times; Daily Express; which.co.uk;

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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