Mario Tchou, il pioniere italo cinese dell’informatica

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Mario Tchou

In una graphic novel Ciaj Rocchi e Matteo Demonte ricostruiscono la vita del brillante scienziato scomparso prematuramente

Immaginate un mondo in cui a dominare il mercato dell’informatica non siano nomi come Ibm, Apple o Lenovo, ma un marchio italiano, Olivetti. Oggi a noi può sembrare fantascienza. Eppure negli anni Cinquanta del secolo scorso questo scenario è stato a un passo dal diventare realtà. Poi, la storica azienda di Ivrea non ce l’ha fatta, e il suo nome più che ai computer è rimasto legato alle macchine per scrivere. Artefice di questo mancato miracolo poteva essere Mario Tchou, un italo cinese di talento che capitanava una squadra di brillanti ricercatori italiani. Ed era a capo della Divisione Elettronica Olivetti.

Vita spezzata

Per un capriccio del destino, però, il 9 novembre 1961 in una giornata di pioggia torrenziale la macchina su cui viaggiava Mario Tchou, diretta a Ivrea e guidata dal suo autista, ebbe un incidente fatale. Con la morte dello scienziato, a soli 37 anni, preceduta un anno prima da quella di Adriano Olivetti, la storia dell’informatica imboccò un’altra direzione.

Matteo demonte e ciaj rocchiA salvare dall’oblio questa storia dimenticata ci hanno pensato Matteo Demonte e Ciaj Rocchi, illustratori, videomaker e autori di fumetti, che hanno realizzato la graphic novel La macchina zero. Mario Tchou e il primo computer Olivetti (Solferino, 20 euro). La coppia di artisti ha già contribuito a far scoprire al pubblico italiano le vicende dei primi immigrati cinesi nel nostro Paese dapprima con Primavere e autunni, in cui Matteo rievoca la storia di suo nonno Wu Li Shan, giunto a Milano nel 1931, poi con Chinamen. Un secolo di cinesi a Milano, in cui la visuale è allargata all’intera comunità cinese, alle sue vicissitudini durante il fascismo e all’imprenditoria del dopoguerra.

Non aveva una famiglia qualsiasi

Come spiega Ciaj Rocchi, a Mario Tchou sono arrivati grazie alla figura del padre, Tchou Yin, giunto a Roma nel 1918 come diplomatico presso l’ambasciata della Repubblica di Cina. «Abbiamo trovato la sua firma sui documenti di risarcimento da parte del Governo italiano a seguito dei bombardamenti sul laboratorio del nonno di Matteo in via Morazzone a Milano», racconta. «Inoltre, la firma di Tchou Yin compare anche sulle richieste di scarcerazione dei cinesi dai campi di concentramento di Isola Gran Sasso e Ferramonti di Tarsia».

Non era una famiglia qualsiasi, quella dei Tchou. «Il nonno materno di Mario Tchou era un intellettuale che aveva fondato uno dei primi giornali progressisti cinesi, sullo stile di quelli occidentali, e aveva tradotto libri come La capanna dello zio Tom e Ivanoe», puntualizza Rocchi. «La nonna era stata una delle prime donne cinesi a non tenere più i piedi fasciati. Da parte paterna erano mandarini, funzionari, e la carriera di Tchou Yin – che arriverà a essere senatore del Kuomintang in rappresentanza dei cinesi d’oltremare – è solo un’altra testimonianza del valore del clan Tchou già in Cina».

L’adolescenza a Roma

adriano olivettiIl figlio Mario, nato nel 1924, è il primogenito di una famiglia benestante, con tanto di tata tedesca, e da adolescente frequenta il liceo classico Tasso di Roma, dove annovera fra gli amici Alfredo Reichlin e Luigi Pintor. Ma la politica non è il suo interesse, ad attrarlo è la scienza e il suo sogno è andare in America. Proprio negli Stati Uniti inizierà la sua avventura professionale. Grazie a una segnalazione di Enrico Fermi, John Ralph Ragazzini – direttore del dipartimento di Ingegneria elettrica presso la Columbia University di New York – inserisce nell’ateneo questo promettente giovane italo cinese. Una serie di felici concatenazioni porterà poi Mario Tchou a conoscere Adriano Olivetti, che all’epoca ambiva a realizzare un calcolatore elettronico italiano.

L’indagine

«Mario Tchou rappresenta davvero una sintesi tra due mondi, un modello di integrazione che non si può esaurire solo negli ultimi anni di vita e con il suo lavoro alla Olivetti», aggiunge Rocchi. «Per questo abbiamo cominciato a indagare su di lui. Tutte le pubblicazioni che lo riguardavano erano sempre parziali. Nessuno si era mai preso la briga di provare a immedesimarsi nell’uomo che stava dietro e dentro al grande scienziato». I due autori della graphic novel ci sono riusciti benissimo. Ci raccontano un giovane professionista brillante nel suo lavoro. Inoltre, anche il figlio devoto e il fratello, il marito (ha avuto due mogli, entrambe italiane) e il padre amorevole. L’uomo portatore di più culture.

Ciaj Rocchi e Matteo Demonte hanno impiegato tre anni per realizzare La macchina zero. Quali difficoltà avete incontrato? «Prima di tutto la solitudine», commenta. «Scrivere (e disegnare) un libro come questo richiede molto tempo ed è un’attività da svolgere senza troppe distrazioni. Inoltre, non eravamo esperti di informatica. Abbiamo studiato a lungo per contenere tutta la materia scientifica e tecnica – che poi riguarda la storia dei calcolatori – e condensarla in poche pagine. Ci siamo addentrati, andando a ritroso in una nebulosa, fino all’origine della rivoluzione digitale, con i suoi entusiasmi, le sue contraddizioni e le sue promesse tradite. E se la vicenda biografica e familiare di Mario Tchou era già complessa di per sé, l’incontro con Olivetti ha fatto di Mario l’uomo giusto al momento giusto. Ecco, restituire tutto questo senza farne un’agiografia, è stata la bussola che ci ha guidati per tutto il percorso di lavorazione».

 

Maria Tatsos

Foto © Ciaj Rocchi e Matteo Demonte, Wikipedia

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Maria Tatsos
Giornalista professionista, è laureata in Scienze Politiche e diplomata in Lingua e Cultura Giapponese presso l'IsiAO di Milano. Attualmente lavora come freelance per vari periodici femminili, collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e con il Centro di Cultura Italia-Asia. Tiene corsi di scrittura autobiografica ed è autrice di alcuni libri, che spaziano dai diritti dei consumatori alle religioni asiatiche. È autrice del romanzo storico "La ragazza del Mar Nero" sulla tragedia dei greci del Ponto (2016) e di "Mai più schiavi" (2018), un saggio su Biram Dah Abeid e sulla schiavitù in Mauritania, entrambi editi da Paoline. Nel tempo libero coltiva fiori e colleziona storie di giardini, giardinieri e cacciatori di piante che racconta nel corso "Giardini e dintorni".

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